l'Unità
Fini in
Israele: «Il fascismo è un male assoluto»
di Umberto De
Giovannangeli
"Feliks
Ciwinski, 4 anni, Polonia... Anna Bakker, 7 anni, Olanda... Ester Fano, 6 anni,
Italia...". Mille fiammelle accese illuminano i volti dei bambini ebrei
uccisi nei lager nazisti. Una voce monocorde, recita all'infinito i loro nomi,
spezzando così il silenzio che regna nel Luogo delle Rimembranze. Quel
silenzio, quei bambini, la memoria di una tragedia senza uguali nella storia,
accompagnano Gianfranco Fini nella tappa più attesa, più vera, della sua
visita in Israele. Gerusalemme, monte Herzl, Mausoleo di Yad Vashem. C'è una
immagine che può racchiudere il senso di un "viaggio" lungo dieci
anni, consegnandolo alla storia. È quella del vice premier "post
fascista" che, sotto una pioggia battente, fa il suo ingresso al Memoriale
dell'Olocausto indossando la "kippa", il copricapo ebraico, con al
fianco il presidente delle Comunità ebraiche italiane, Amos Luzzatto. Attorno
al leader di Alleanza Nazionale "sfilano" le immagini della barbarie
nazifascista abbattutasi contro gli Ebrei, colpevoli di esistere: il ghetto di
Varsavia in fiamme, le prime deportazioni, l'antisemitismo che si fa regime di
sterminio. Per Fini è un viaggio in un passato che non passa e che non
accetta di essere rimosso, svilito, calpestato in nome delle "ragioni della
politica". Ogni foto, ogni didascalia, ogni oggetto recuperato dai lager
nazisti - una spazzola, un paio di occhiali, le scarpe di un bambino...- è uno
scioccante atto d'accusa verso coloro che hanno pianificato e praticato la
"soluzione finale" della questione ebraica. In Germania come in
Italia. C'è incredulità, stupore, anche angoscia nelle domande che il vice
premier italiano rivolge alla sua guida. Ma non filtra commozione. E' come se
Fini si fosse imposto, forse per pudore o per autodifesa, di tirare "il
freno a mano" ai sentimenti. E' come se gli orrori testimoniati da quelle
immagini di inarrivabile crudeltà appartenessero ad un vissuto insopportabile,
disumano, a cui il leader di An si sente estraneo, non responsabile. I flash
delle telecamere, la pressione dei giornalisti, il nervosismo dei diplomatici,
israeliani e italiani, che hanno preparato la "storica visita": il
gigantismo mediatico e il freddo protocollo della diplomazia, rendono artefatto,
troppo costruito, quello che sarebbe dovuto essere un momento di raccoglimento.
Davanti alla foto di bambini ridotti a scheletri viventi, Fini chiede sgomento,
forse a se stesso: «Ma che senso ha l'aver propagandato queste immagini
terribili da parte dei nazisti, non era controproducente per loro?». «Se lo
hanno fatto - è la risposta della giovane signora che lo accompagna - è perché
i nazisti volevano dimostrare la loro capacità di annientamento». Condanna
senza mezzi termini le «infami leggi razziali del 1938 volute dal fascismo»,
stigmatizza con parole durissime l'ignavia, l'indifferenza, la complicità «di
quanti non hanno ha fatto nulla per salvare una vita umana», ma nel Luogo della
Memoria, Fini non fa accenno alle responsabilità dirette del regime fascista e
della Repubblica sociale nell'aver mandato al massacro migliaia di ebrei
italiani, catturati dai collaboratori in camicia nera, infilati a forza nei
vagoni piombati, con destinazione finale Auschwitz, Dachau, Mathausen,
Begen-Belsen, Treblinka.... Fini pronuncia il suo discorso al termine della
tappa più scioccante della visita allo Yad Vashem: quella al Padiglione dei
bambini vittime della Shoah. Nessun commento "a braccio", solo un
lungo sospiro, prima di leggere un testo scritto: «Di fronte alla Shoah,
simbolo perenne di un abisso di infamia in cui può precipitare l'uomo che
disprezza Dio, sale fortissimo il bisogno di tramandare la memoria e di far sì
che mai più in futuro sia rinnovato, anche a un solo essere umano, ciò che il
nazismo riservò all'intero popolo ebraico»: è la frase che il vice premier
consegna al libro dei visitatori di Yad Vashem. «Alla condanna dei carnefici di
ieri va accompagnata - prosegue Fini - la coscienza della storia dei giusti.
Essi dimostrano come non può esserci nessuna giustificazione, non soltanto per
chi uccise, ma anche per chi poteva salvare un innocente e non lo fece». «Dobbiamo
farlo - dice ancora il vice premier - per conoscere i nostri giusti, come fu
Giorgio Perlasca; dobbiamo farlo per denunciare le pagine vergognose che ci sono
nella storia del nostro passato, e nei confronti delle quali tanti italiani nel
'38 non fecero nulla». Quelle pagine vergognose si chiamano Leggi razziali.
Volute e imposte a forza dal fascismo. Di questo, Gianfranco Fini chiede
esplicitamente scusa, ma non perdono. Accanto a sé, il leader di An ha Amos
Luzzatto. Alla vigilia del viaggio, il presidente dell'Unione delle comunità
ebraiche italiane aveva ribadito la sua volontà di prendere la parola allo Yad
Vashem. Così non è stato. Il presidente dell'Ucei "parla" attraverso
Fini: «Dobbiamo ricordare - legge il vice premier - per le ragioni che il
professor Luzzatto ha scritto nel documento che mi ha consegnato in occasione di
questo viaggio: Il ricordo della discriminazione, della deportazione e dello
sterminio non è rivolto al passato ma guarda al futuro ed è attuale in un
tempo che per tutti è quello delle responsabilità. E se non ora, quando?».
Quell'esplicito riferimento alle responsabilità del fascismo per le leggi
razziali, è accolto con soddisfazione da Luzzatto: «E' una grossa novità che
Gianfranco Fini abbia menzionato il termine fascismo, che abbia detto che le
leggi razziali le ha volute il fascismo. E' la prima volta che glielo sento dire»,
annota il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. «Altro è
lasciar cadere - spiega - non dire di chi sono le responsabilità. Altro è
affermare che quelle leggi le ha fatte il fascismo». Quindi per Luzzatto «c'è
stato un passo in avanti, Fini continua in una certa direzione e non ha il
timore di parlare di pagine vergognose nel nostro passato, di complicità, di
responsabilità per chi poteva salvare innocenti e non lo ha fatto». Un passo
in avanti. Importante, certo, indubbiamente coraggioso, ma non ancora esaustivo.
«Forse a questo punto occorrerebbe un gesto altamente simbolico», si lascia
andare il presidente dell'Ucei. Un gesto come quello di togliere la fiamma
tricolore, espressione della continuità con il passato fascista e
repubblichino, dal simbolo di Alleanza Nazionale. Ma ciò che più conta è che
al tempo delle scuse, succeda quello degli impegni. «Io non mi aspetto scuse,
richieste di perdono - conclude Luzzatto - ma voglio che si prendano impegni.
Oggi contro il razzismo, l'antisemitismo, e altri crimini potenziali o reali. E
ho trovato nelle parole di Fini il desiderio di prendere questi impegni». Il
passato che non passa, riaffiora nella conferenza stampa del pomeriggio. Di
nuovo il leader di An è chiamato a fare i conti con le infamie del regime
fascista e l'esperienza devastante della Repubblica sociale. Fini puntualizza,
corregge, si spinge più avanti rispetto al discorso dello Yad Vashem, segna un
punto di non ritorno che è anche una sfida ai non pochi "nostalgici"
che si annidano ancora nelle fila di An. «Tra le pagine negative della storia
italiana - dice - rientrano tutte quelle relative alla discriminazione e ancor
più alla persecuzione degli ebrei e più in generale delle minoranze. E quindi
certamente vi rientra anche quella di Salò». Ed è per questo, per gli orrori
di cui è stato artefice, che il fascismo va considerato "un male
assoluto". Ma Gerusalemme significa oggi anche una guerra senza fine, un
Paese in trincea, due popoli la cui quotidianità è scandita dalla violenza e
dal terrore. «Ho confermato al primo ministro Sharon che Berlusconi ha invitato
il premier palestinese in Italia. La data è ancora da fissare», annuncia Fini.
La visita di Abu Ala in Italia è vista dai dirigenti israeliani incontrati ieri
dal vice premier italiano (oltre a Sharon, il ministro degli Esteri Silvan
Shalom, il capo dello Stato Moshe Katzav e il leader dell'opposizione laburista
Shimon Peres) come una «iniziativa opportuna per far comprendere al primo
ministro palestinese la necessità di un forte impegno per una politica che
garantisca il contrasto nei confronti del terrorismo». Nei colloqui con il
premier e il capo della diplomazia israeliani è stato affrontato anche il tema
della controversa "barriera di separazione" realizzata da Israele in
Cisgiordania. «Mi è stato confermato, e non poteva essere altrimenti -
sottolinea Fini - che essa viene intesa in modo temporaneo e che non appena vi
sarà la certezza che il terrorismo è arginato e contrastato, non ci sarà più
alcuna necessità di procedere alla predisposizione della barriera». Per la
pace, a fianco di Israele anche nelle scelte più contestate dall'Europa, come
è quella del "Muro". E' la linea del governo italiano ribadita a
Gerusalemme dal vice premier. E dal cuore dello Stato ebraico, Fini rilancia la
sua convinzione che «esista un antisemitismo che dietro alla polemica nei
confronti del governo e dello Stato d'Israele, manifesta in realtà un
atteggiamento pregiudiziale e di incomprensione verso il popolo d'Israele». Una
tesi che il vice premier esporrà oggi nell'incontro con la comunità degli
ebrei italiani in Israele. Un incontro difficile, preceduto da polemiche e
dissociazioni, che una parte della comunità intende disertare. Gli altri, i più
disponibili, si confronteranno con Fini, ma non nell'antica Sinagoga italiana di
Hillel Street. Le porte del Tempio resteranno ancora chiuse per il presidente di
Alleanza Nazionale.
Da l'Unità, 25 novembre 2003, per gentile concessione