l'Unità
Ciampi: «Risiera e Foibe, due cose
diverse - Il 25 aprile è la data
della Liberazione, il giorno della vittoria contro fascismo e nazismo»
di Vincenzo Vasile
TRIESTE. Resistenza contrapposta alle foibe? Niente più «festa
d'aprile»? Ciampi dice no ai tentativi di divisione e speculazione sulle «diverse»
vittime delle «diverse» violenze, consumate in «contesti storici»
differenti, e il sindaco forzista di Trieste accusa il colpo (dopo un rovente
faccia a faccia in prefettura con il presidente), ci ripensa e si accoda: d'ora
in poi ripristineremo la celebrazione della Resistenza, abbiamo sbagliato... «per
presunzione». Il ministro Martino, spiazzato, invita a mettere da parte quelli
che chiama «i sentimenti». Il
tutto a Trieste, spazzata da pioggia e vento. Benvenuti nell'unica città retta
da una giunta che, invece di festeggiare la Liberazione, il 25 aprile aveva
cercato di cambiare il nome alla festa di libertà: l'hanno chiamata il giorno
della Riconciliazione, per cassare il riferimento alla lotta al nazifascismo. E
hanno consentito che i neonazisti sfilassero con saluti romani e croci celtiche.
Ieri decine di manifesti del «Fronte nazionale» affissi ai muri del palazzo
del «Piccolo» di Trieste, ancora salutavano Ciampi con uno sberleffo: il 25
aprile si sono celebrati - c'era scritto - «i crimini dei vincitori». Polizia
e Comune di centrodestra hanno tollerato che quei manifesti rimanessero ad
accogliere il presidente. E Ciampi ha salito rapidamente le scale del giornale.
Per lanciare, in un clima di imbarazzo, un messaggio di buonsenso e di
equilibrio. Innanzitutto una frase soft: «Devo dire con tutta franchezza che
non riesco a capire la polemica sorta qua a Trieste riguardo al 25 aprile, che
è una data fondamentale della nostra storia». Data
fondamentale, rivendica Ciampi, che giusto quel giorno, proprio il 25 aprile,
dal palco di Ascoli Piceno aveva messo tutti solennemente in guardia da un «improponibile
- aveva detto - revisionismo storico». Questo messaggio gli amministratori
locali di Trieste non l'avevano affatto accolto. Infatti, il luogo-simbolo della
Liberazione, sede tradizionale delle manifestazioni del 25 aprile, qui è
l'unico campo di sterminio d'Italia: la Risiera di san Sabba. Invece la giunta
triestina aveva cercato di annacquare il messaggio, indicendo manifestazioni
appaiate, presso la foiba di Basovizza, la fossa carsica dove vennero gettati
dai partigiani di Tito migliaia di italiani. Tentativo abortito, perché autorità
religiose e civili, partigiani, ex deportati , migliaia di cittadini, hanno
rifiutato di seguire tale copione. Ed ieri mattina Ciampi ha tenuto a
distinguere: «Il 25 aprile è la data particolarmente significativa della
Liberazione. E quindi quella data è particolarmente legata alla Risiera. Questo
è chiaro. Ciò nulla toglie alla gravità di violenze compiute in un contesto
storico diverso: l'una segna la lotta al nazifascismo, l'altra è il frutto di
una guerra etnica, scatenata per cercare di deitalianizzare questa zona, cioè
un'altra violenza che aveva altri, orribili obiettivi. Sono cose storicamente
distinte». Violenze
«diverse», dunque, da «esecrare», ma da non accomunare, da non parificare.
Violenze da «distinguere». E il presidente consiglia, parlando qui a Trieste,
saggezza e moderazione. Invitando a tener fermo che «il 25 aprile è la data
che simboleggia l'esito finale positivo, il successo della Resistenza e della
lotta al nazifascismo, ed è quindi l'inizio della vita democratica della nuova
Italia». Ciò non significa, nella visione di Ciampi, però, deprezzare le
povere vittime di Basovizza: furono precipitati in quelle cavità sotterranee
uomini che avevano il solo torto di essere
italiani, «orribili obiettivi, del tipo della Shoah»: si faccia fuori il
numero più alto possibile di appartenenti a quel popolo, e così «si risolve
il problema», Ciampi condanna la logica «aberrante» di quell'eccidio di
massa. Nessun minimalismo, insomma, anima il capo dello Stato per questa
puntualizzazione sui fatti della storia del nostro dopoguerra; ma questa vicenda
delle foibe, «la lotta scatenata da chi voleva ridurre l'italianità di queste
zone» - essendo una vicenda «storicamente distinta» - non ha nulla a che fare
con la festa che segna, invece, l'abbrivio della nostra vita democratica. Né
con la celebrazione, né con la condanna delle vittime di «altrettanto
esecrande» vicende di persecuzione e di morte. Dopo l'esternazione del
presidente sono piovuti distinguo e precisazioni: il ministro della Difesa,
Antonio Martino, che si trovava poco dopo sullo stesso palco di Ciampi per la
sfilata della Festa dell'Esercito, probabilmente non rendendosi conto di entrare
in rotta di collisione con il presidente, dichiarava: «Sono ingiustificate le
polemiche. Gli episodi drammatici di quell'epoca vanno ricordati comunque,
indipendentemente dai sentimenti. Non si vede perché non si debbano ricordare
episodi di un segno ed episodi di altro segno con lo stesso rispetto» (ma, in
verità, la polemica su cui Ciampi ha preso meritoriamente posizione riguarda
l'opportunità di far d'ogni erba un fascio e la necessità di non cancellare la
festa della Liberazione). A ruota il sindaco triestino, il forzista Roberto
Dipiazza, infine, faceva retromarcia: «Il presidente ha ragione a distinguere
le foibe dalla Risiera. Proponendo il 25 aprile come data simbolo per tutti i
caduti per la libertà forse il Comune è stato troppo presuntuoso». Da qui
l'annuncio: «Il prossimo anno il 25 aprile rimarrà la data nella quale
celebrare la Liberazione, e l'11 maggio quella per ricordare le vittime delle
foibe». Tutto risolto? Dicono che il vicesindaco, Roberto Menia, ritenuto il
vero regista della operazione, non l'abbia presa molto bene. Pur avendo pilotato
una campagna che Fini ha definito «una bega locale», ha ottenuto proprio in
queste ore il premio di consolazione della nomina a responsabile nazionale della
propaganda di Alleanza nazionale.
Da l'Unità, 4 maggio 2003, per gentile concessione