l'Unità
Dimenticare
Auschwitz
di Bruno
Gravagnuolo
Strano,
alcuni di quelli che chiedono da sempre alla sinistra di dismettere il viso
dell’armi, in nome di una ragionevole visione bipartisan, oggi da moderati
divengono manichei. E se la prendono con qualcosa che sia pure a fatica è
divenuto memoria condivisa: la memoria dell’Olocausto. Da qualche anno
affidata in Italia a un giorno particolare: il Giorno della Memoria. Sicché in
prossimità della ricorrenza, che ricorda il momento in cui furono aperte le
porte di Auschwitz il 27 gennaio 1945, Pierluigi Battista, editorialista della
«Stampa» e avversario delle «oltranze» di sinistra, scrive su “Panorama”
un curioso commento «antibipartsan», che racchiude una proposta: «Aboliamo
quel giorno». Battista, pur comprensivo delle «buone intenzioni che
animarono il legislatore», se la prende non solo e come sempre a manca. Ma
fustiga altresì la destra, rea di subire «il ricatto» dell’avversario per
mostrarsi così legittimata e sicuramente democratica. In realtà il grido di
battaglia di Battista è già stato in passato accettato da una certa destra. A
Trieste il Giorno della memoria è stato più volte contestato. Con
l’argomento delle foibe da affiancare alla risiera di S.Saba. Né son mancate
polemiche fintamente ecumeniche dal fronte di centro-destra. Polemiche
storiografiche e politiche contro «l’unicità» dell’Olocausto. Unite
l’anno scorso ai ritardi del ministro Moratti nello stabilire il calendario
della ricorrenza. E nondimeno per una volta, nella passata legislatura i due
poli hanno alfine convenuto di celebrarlo quel giorno. Con accordo reciproco
alla Camera e al Senato. Talché oggi quella data ricorda - di là d’ogni
meschina e strumentale disputa - l’acme dell’orrore del ‘900, nonchè
della barbarie umana programmata. Barbarie «inassilimalibile» ad altre e «incommensurabile»
rovesciamento dell’umano. Come hanno convenuto analisti dell’orrore
diversissimi tra loro e non certo sospetti di filocomunismo, da Hannah Arendt a
Ernst Nolte. Ma Battista eccepisce e invoca lo scontro, azzerando quel che per
una volta è divenuto solenne ricordo condiviso. Con quali argomenti? Vediamo.
Il primo è questo: il 27 gennaio 1945 fu l’Armata rossa a liberare i
superstiti di Auschwitz. Quell’Armata che non inaugurò un’«era di libertà»
bensì «di oppressione» e grazie alla quale i nuovi despoti poterono riaprire
i cancelli di Buchenwald. Regge quest’argomento? No. Non regge in linea di principio e di fatto. Intanto
quel che conta nella circostanza della data è il «disvelamento» della Shoah,
che assume portata universale come «paradigma» di ogni tipo di sterminio
(incluso il Gulag). Il caso volle che a operarlo fossero i sovietici. E se
qualcun altro fosse arrivato prima le cose non sarebbero cambiate
simbolicamente. Poi, e l’abbiam detto, non v’è eguaglianza tra Gulag e
Auschwitz. Per metodicità, intenzionalità programmata e «unicità» dei lager
nazisti, rivolti contro un intero popolo e su scala planetaria, a confronto
delle deportazioni omicide di Stalin, mostruose ma non concepite «ab initio».
Ma concediamo pure a Battista, che vorrebbe almeno un’altra data, qualche
ragione. Ebbene la può invocare soltanto perché ignora la storia della legge.
Infatti la scelta del 27 gennaio avvenne dopo lunghe discussioni. E dopo che
Furio Colombo, tra i promotori del disegno, si era battuto per il 16 ottobre:
giorno della deportazione degli ebrei a Roma nel 1943. Fu l’Associazione dei
deportati militari a volere il 27, con la motivazione che la rottura dei
cancelli di Auschwitz era la fine di una tragedia universale che oltre agli
ebrei - massime vittime espiatorie - riguardava tutti gli internati chiamati dal
destino a condividerne la sorte. Nel segno dunque di una «condivisione mondiale»,
che sconfiggeva in anticipo ogni possibile recriminazione contro il «privilegio
vittimario» (motivo non caso riaffiorato nella polemica di un altro
commentatore moderato come Sergio Romano). Inoltre il 27 gennaio è il «Giorno
della memoria» tedesco e inglese. E vi sono contatti in corso affinché
diventi «Giorno della memoria europeo». Ma vi sono altre due ragioni addotte
da Battista contro il «Giorno della memoria». Eccole: l’inaccettabilità di
una memoria «vidimata» dallo stato per decreto. E poi l’ipocrisia di chi sia
appaga di un giorno della memoria, dimenticando l’antisemitismo attuale in
Medioriente e in Europa. Bene, anche qui Battista fa a pezzi l’esperienza e il
buon senso. Poiché da sempre le comunità umane hanno trascelto date e solennità
da celebrare, date «vidimate» ufficialmente che riassumono valori ed eventi
fondativi (e i manuali e la ricerca non c’entrano!). Il che riguarda non solo
la storia antica e pregressa (Bastiglia, Thanksgiving) ma anche quella più
recente, munita di un senso simbolico e politico forte. Ad esempio negli Usa il 25 gennaio si celebra - su proposta dei democratici poi
condivisa dai repubblicani - la nascita di Martin Luther King. Scelta «festosa»,
dopo che a lungo ci si si orientò sulla data della morte del Reverendo,
scartata per i suoi echi funesti e divisori. Ed è una festa statuita
civilmente, alla quale molti segregazionisti negli Usa ostentatamente ancora non
partecipano. Quanto all’ultimo e «decisivo» argomento, è davvero
autolesionista. Sul serio Battista pensa che l’abolizione del Giorno della
Memoria, e con minor «liturgia di stato», potrebbe incoraggiare un maggiore «impegno
contro l’antisemitismo»? Ma è l’esatto contrario! L’elisione di quel
giorno non farebbe che intorbidare le acque e rilanciare vittimismi
anti-ebraici. Decretando «a contrario», e sulle ceneri della memoria, una
notte dove tutte le vacche sono nere. Dove Auschwitz diventerebbe poco più che
un «incidente» della storia, assieme all’antisemitismo attuale.
Da l'Unità, 17 gennaio 2003, per gentile concessione