l'Unità

 «Consegnate gli ebrei». Un documento inedito dimostra che, prima del 25 luglio, Mussolini mandò a morire cittadini israeliti  

di Michele Sarfatti

Il reperimento di documenti storici di rilevante importanza viene in genere illustrato su periodici specializzati e non sulla stampa quotidiana. In qualche caso, quando la vicenda documentata è di notevole interesse, i giornali anticipano o sintetizzano il contenuto di articoli pubblicati sulle riviste. li documento qui riprodotto viene invece presentato (e, appunto, pubblicato) direttamente su queste pagine, perché esso, oltre a concernere una specifica vicenda storica, concerne (lesionandolo irrimediabilmente) un mito assai diffuso all'interno e all'esterno della penisola: quello dell'Italia nel periodo fascista monarchico «salvatrice di ebrei». Già il 10 ottobre 1993 l'Unità ha attuato un'iniziativa similare, pubblicando il dispaccio, da me reperito, col quale il 5 febbraio 1944 il capo della polizia della Rsi, Tullio Tamburini, ordinò al prefetto di Reggio Emilia: «Pregasi aderire richiesta Comando Germanico circa consegna ebrei»; dispaccio di rilevante importanza perché, combinato coi principio gerarchico fascista, attesta che il governo di Salò non si limitò a prestare una collaborazione imposta ma dette un vero e proprio consenso attivo alla deportazione e alla uccisione degli ebrei. Il documento odierno, pressoché identico al precedente nelle parole, appartiene invece a un momento storico parzialmente diverso: il 15 luglio 1943 l'Italia era già fascista da venti anni e antisemita da cinque, ma era ancora dotata di una totale autonomia formale e di una larghissima autonomia sostanziale dall'alleato tedesco.

Le ambiguità di Roma

Con l'occupazione nel 1941-1942 di ampie zone della Croazia, della Grecia e infine della Francia, il regime fascista si era trovato di fronte al problema degli ebrei locali e profughi presenti in quei tenitori. Cosa doveva «farne»? Accogliere le rispettose richieste di consegna avanzate a partire dall'estate del 1942 dalle autorità di Berlino, di Zagabria e di Vichy? Trasferirli in Italia? Tenerli nei territori occupati? Sino ad oggi era stato rilevato che fino al 25 luglio 1943 Roma aveva realizzato quasi sempre la terza opzione, varie volte la seconda e mai la prima. Sulla base di queste osservazioni di tipo fotografico (e dell'ignoranza dell'episodio di Pristina qui sotto descritto), e poiché le tre capitali suddette erano impegnate - in diverso modo - nella Shoah, molti testimoni e studiosi stranieri e italiani hanno affermato che ciò fu il coerente risultato di un comportamento intenzionale di Roma, e che anzi essa aveva compiuto delle iniziative attive di salvataggio degli ebrei. In realtà (e con buona pace della caritatevole fierezza che gli italiani hanno della propria carità, individuale, collettiva e nazionale) la seconda affermazione è di per sé erronea: infatti solo raccoglimento delle richieste degli uccisori può essere definito «iniziativa attiva», mentre il loro agevole respingimento non costituiva altro che un'ovvia e automatica (e perciò «passiva») continuazione in quei territori della politica antiebraica introdotta nel 1938 nella penisola (consistente nella persecuzione dei diritti degli ebrei e non delle loro vite). Quanto alle «intenzioni», da tempo ero convinto che esse erano tutt'altro che chiare. Sia in Croazia che in Francia (e, stando ad alcune tracce, anche in Grecia) le autorità italiane di occupazione avevano avviato (tra l'estate 1942 e la primavera 1943) il censimento delle «pertinenze nazionali» degli ebrei e il loro internamento parziale o totale. Ora, a mio parere, tali operazioni preludevano a un trattamento differenziato dei vari gruppi nazionali. Del resto una vicenda di tale genere si era già verificata nel marzo 1942, quando le autorità italiane di occupazione di Pristina consegnarono 51 ebrei centroeuropei alle autorità tedesche di occupazione della Serbia e internarono nella «vecchia» Albania 100-150 ebrei serbi (il primo gruppo fu immediatamente ucciso, ma le conoscenze attualmente a nostra disposizione non ci consentono di determinare se i consegnatori italiani erano o no consapevoli di tale destino, né se la decisione di consegna venne presa in loco o a Roma). Il documento pubblicato qui a fianco, da me reperito in una serie archivistica fortunatamente sfuggita alla vasta «bonifica» attuata dopo il 25 aprile 1945 tra le carte dei ministero dell'Interno, attesta ora che l'Italia monarco-fascista aveva intenzionalmente adottato anche una iniziativa attiva di condanna a morte, iniziativa che mantiene tutto il suo significato anche se la sua realizzazione venne poi bloccata dagli eventi del25 luglio 1943. La vicenda si svolse nel modo seguente. Nelle regioni sudorientali della Francia, occupate dall'Italia nel novembre 1942, vi erano tra i venti e i quarantamila ebrei, circa metà francesi e circa metà profughi stranieri. Nel marzo 1943 Mussolini incaricò un alto dirigente della polizia (l'ispettore generale Guido Lospinoso) di recarsi a Nizza e istituirvi un «Regio Ispettorato di polizia razziale», col compito di sovraintendere al trattamento degli ebrei, e cioè di porre fine agli ingressi clandestini di ebrei fuggiaschi dalla zona francese occupata dai tedeschi e di censire e internare in località lontane dalla costa per lo meno quelli di nazionalità straniera. In quegli stessi mesi, sulla base di un accordo generale concluso direttamente tra Italia e Germania (e uguale a quelli conclusi da quest'ultima con Svizzera, Spagna, Portogallo, Danimarca, Svezia, Finlandia, Ungheria, Romania e Turchia), gli ebrei di cittadinanza italiana presenti nei territori europei assoggettati dalla Germania (regioni francesi incluse) vennero esentati dalle deportazioni e trasferiti nella penisola. Va anche ricordato che probabilmente già nel 1942 e sicuramente nei primi mesi del 1943 Mussolini e le principali autorità italiane avevano ricevuto informazioni utili quantomeno a percepire la gravità e l'estensione della politica di persecuzione delle vite degli ebrei ora praticata dalla Germania. Lospinoso attuò il programma affidatogli, opponendo cortesi ma decisi dinieghi ad eventuali proposte tedesche o francesi di Vichy contrastanti con le direttive ricevute da Roma. Il 10 luglio 1943 però, due ufficiali del comando della polizia tedesca di Marsiglia si recarono nella sede dell'ispettorato a Nizza e chiesero al vice di Lospinoso - come riferì quest'ultimo - «la consegna da parte nostra degli ebrei tedeschi che si trovano nella zona occupata nostre truppe»; ciò in «reciprocità» del surricordato accordo sul trasferimento degli ebrei italiani. Lospinoso inviò immediatamente un dispaccio telegrafico al capo della polizia a Roma, precisando che «richiesta riesce nuova questo ufficio, che tratta sudditi tedeschi stregua altri sudditi stranieri». Queste ultime parole potrebbero testimoniare una sua contrarietà alla consegna; comunque egli concludeva il dispaccio chiedendo istruzioni precise. Ė a questa richiesta che il 15 luglio, cioè dopo cinque lunghissimi giorni, il capo della polizia Renzo Chierici rispose: «vogliate aderire richiesta Polizia tedesca per consegna ebrei tedeschi». Nessun ulteriore documento illustra i motivi di questo ordine. Di certo vi è solo il fatto che l'accordo generale italo-tedesco, sugli ebrei italiani sopra ricordato non disponeva alcuna reciprocità, e quindi la proposta di «scambio» costituiva un'iniziativa locale (tra l'altro i documenti più avanti segnalati testimoniano che lo stesso comando tedesco di Parigi non ne era al corrente), il cui accoglimento non era per nulla obbligatorio. La decisione italiana fu quindi un atto intenzionale, le cui motivazioni vanno ricercate in Italia stessa.

Il governo sapeva

Al riguardo, da un lato si deve ricordare la profonda similitudine di questo ordine con l'episodio di Pristina e la sua perfetta coerenza col precedente censimento delle «pertinenze nazionali»; dall'altro occorre tener presente che in quelle settimane anche la condizione degli ebrei italiani e stranieri nella penisola conobbe un durissimo aggravamento: proprio il 25 luglio 1943 - evidentemente quando non era ancora nota la portata della svolta in atto - il gabinetto del ministero dell'Interno invitò la Direzione di polizia a trasferire in provincia di Bolzano (sic!) i 2000 internati dei campo calabrese di Ferramonti (tre quarti dei quali erano ebrei stranieri) e nel maggio-giugno precedente Mussolini aveva deciso di allestire quattro campi di internamento e lavoro obbligatorio per gli ebrei italiani. Il dispaccio del 15 luglio reca la firma di Chierici, e nulla sappiamo intorno alla sua redazione e al fatto che essa impegnò ben cinque giorni; ma riesce difficile ipotizzare che egli abbia deciso da solo, senza il consenso anche generico dei sottosegretario all'Interno Albini e, del ministro Benito Mussolini. Alcuni documenti di parte tedesca (resi noti negli anni Cinquanta da Leon Poliakov, ma quasi sempre non compresi o sottovalutati perché contrastanti coi mito dell’Italia salvatrice) riferiscono che nell'agosto 1943 il comandante della polizia tedesca di Marsiglia comunicò al proprio superiore a Parigi che egli poco tempo prima aveva raggiunto con Lospinoso un accordo per la consegna degli ebrei tedeschi ed exaustriaci e che l'ispettore dapprima gli aveva consegnato alcune liste di ebrei presenti nella Costa Azzurra e poi però - il 18 agosto - se le era fatte restituire. L'ordine di Chierici aveva avuto quindi un inizio di attuazione. Riguardo al recupero delle liste il 18 agosto, non è noto se Lospinoso agì per propria iniziativa o a seguito di nuove disposizioni romane (le quali pure potrebbero essere state frutto di una sua iniziativa); peraltro tale fatto testimonia ulteriormente che le autorità tedesche erano assai rispettose delle scelte compiute dall'Italia nei territori di sua competenza. In conclusione, furono l'avanzata angloamericana in Sicilia e la conseguente crisi politica italiana del 25 luglio a determinare l'annullamento della decisione di consegna. Furono cioè il deciso impegno militare degli Alleati e la complessa Italia di Badoglio a salvare (per il momento) gli ebrei tedeschi della Francia sudorientale dalla condanna a morte comminata loro dall'Italia di Mussolini.  

Da l'Unità, 27 aprile 1996, per gentile concessione

sommario