Non più un verso ampio e
disteso |
come il primo volo di falco |
sopra la pianura
dell'infanzia; |
non più un canto fermo
nell'estasi delle sere. |
Tutto è franato nell'orgia
necessaria. |
La coscienza mi ha dato un
nome, |
spogliato come un albero |
dopo la tempesta,
dall'incanto |
di sentirmi libero. |
Gli uomini mi hanno appeso
il piastrino |
che brilla, nella marcia, |
sulla giacca grigia. |
Siamo creature incatenate
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entro un paese di pietre
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e di strade senza cielo !
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Siamo sassi della creazione.
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Dio, più non chiedermi
d'essere
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verticale. Ora diverso è
l'urto
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dei Tuoi venti, non regge |
il mio peso insopportabile
d'uomo,
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alla Tua aggressività
inesausta.
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Così, abbattuto, eviterò
lo schianto
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che Tu vai preparandomi:
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non vale cercare più il
rischio
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che non abbiamo scelto.
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Abbia, dunque, il Tuo volere
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compimento pieno - la Tua
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creazione violenta! - e
passa
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sul nostro sudore di sangue;
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e l'attrito non abbia più
cifra.
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Nessuno più rompa la
rotondità |
della sfera. Più non sarò |
la punta che Ti fa
sanguinare. |
E non chiedermi della Tua
legge. |
Una pena sola ora per la
pianta |
divelta, per la pietra
lavata |
dal fiume e per me stesso. |
Attendo che l'uragano abbia
fine, |
come la quercia |
che l'ultima radice si
franga. |
Mandami, signore, la morte, |
o Amore, non chiedere più
nulla. |
"A
Zilli e agli amici ricordando i
fratelli che non sono tornati. 1/5/1990"
|
da
"La guerra di liberazione e la Resistenza"
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