Triangolo rosso

Le nostre storie

64 anni fa a Francavilla al Mare (Chieti) furono trucidati 20 cittadini inermi dopo che i genitori della ragazza avevano ucciso l’aggressore

Una strage nazista in seguito a un tentativo di stupro

 

di Romolo Vitelli

 

Perché riproporre oggi, a 64 anni di distanza, l’eccidio nazista che ha colpito 20 cittadini inermi di Francavilla al Mare, una ridente cittadina abruzzese in provincia di Chieti, sul mare Adriatico?

È il bisogno di non dimenticare che mi spinge a richiamare all’attenzione dei più un tragico evento in quanto penso con il premio Nobel per la pace, E. Wiesel, che: “Se qualcosa potrà salvare l’umanità, sarà il ricordo: il ricordo del male servirà da difesa contro il male; il ricordo della morte servirà da difesa contro la morte”.

Mi avvarrò della testimonianza di uno dei sopravvissuti all’eccidio, ora scomparso, resami nel 1974 e pubblicata da Abruzzo d’Oggi, quindicinale per il quale scrivevo e che ripropongo, con aggiunte e piccole modifiche.

 

L’eccidio di Santa Cecilia prende l’avvio da un tentativo di violenza (non riuscito da parte di un soldato tedesco) ai danni di una sedicenne, sfociato in tragedia, con la morte del molestatore. Carmela Gattone, la ragazza che subì la tentata violenza, ha raccontato in un’intervista molti anni dopo a Giuseppe Iacone, la triste vicenda. Ne riportiamo una sintesi. La mattina del 30 dicembre 1943, mentre i tedeschi facevano sfollare i contadini dalla collina di Santa Cecilia verso la città di Chieti, la ragazza cercò, insieme agli altri familiari, di recuperare delle masserizie per nasconderle al sicuro in una casetta semi-nascosta in fondo ad un vallone. Mentre faceva alcuni viaggi si accorse che un giovane tedesco a cavallo la stava osservando e la seguiva con intenzioni poco rassicuranti. La ragazza allora si nascose, assieme alla madre e alla sorella nella stalla, ma il tedesco ubriaco fradicio, imprecando ed urlando entrò nel locale, afferrò per un braccio la povera sventurata trascinandola con sé. La giovinetta dimenandosi e urlando, si aggrappò a una ringhiera, chiedendo aiuto. Il padre richiamato dalle urla della figlia giunse trafelato nella cascina e pregò l’aggressore di lasciarla. Visti vani i tentativi per indurlo a desistere dall’insano gesto, andò in cucina e preso un coltello vibrò una coltellata alla gola del giovane. “Il sangue sgorgava a fiotti, ma il tedesco non mollava la presa”– anzi racconta la ragazza nell’intervista:[..] “le sue mani erano diventate in quell’attimo due morse d’acciaio che si stringevano sempre di più e fu proprio in quell’attimo che mio padre gli sferrò altri colpi costringendolo a lasciarmi”. Ma il tedesco non ancora colpito mortalmente cercò di scappare, urlando per richiamare in suo aiuto i commilitoni; allora il padre impaurito gli sferrò un’altra coltellata, quest’ultima fatale e il tedesco fatto un centinaio di metri si accasciò al suolo privo di vita. Alla vista del giovane morto i familiari scapparono verso il bosco, temendo la reazione dei commilitoni del soldato. Reazione che purtroppo non si fece attendere. Il comando tedesco scatenò subito una feroce rappresaglia, “secondo la barbara consuetudine di guerra dell’esercito nazista”. Vediamo come si svolsero i fatti nel racconto di Antonio Lorito, uno dei sopravvissuti, invalido della Previdenza sociale, calzolaio a giornata, con il quale tornammo trent’anni dopo in contrada S. Cecilia, nei luoghi che videro 20 cittadini inermi di Francavilla, falciati dalla ferocia nazista.

Raffiche di mitra, scoppi di bombe, un inferno

«Nel dicembre del 1943 ero stato preso dai tedeschi e costretto a lavorare per loro. Ero stato portato in contrada Santa Cecilia. Ricordo che mentre parlavo del più e del meno insieme agli altri amici e conoscenti, sopraggiunse una pattuglia di tedeschi paracadutisti che si arrestò piazzandosi dinnanzi a noi con i mitra spianati. Dalla pattuglia si staccò un graduato che con tono minaccioso urlò: “Alle Kaputt!”-“Sì proprio così: “Italiani traditori, tutti kaputt, rauss”, gridava spingendoci avanti. “Ci chiusero in una stalla”– aggiunge - “e ci perquisirono dalla testa ai piedi. Verso mezzogiorno ci fu un gran trambusto: non si capì bene cosa fosse; l’unica cosa che avvertimmo fu il passo cadenzato di una pattuglia nazista che si avvicinava. Istintivamente alcuni di noi si misero a correre verso una di quelle case che c’erano lì vicino in cerca di un nascondiglio sicuro. Quando i tedeschi arrivarono ad una trentina di metri da noi si fermarono e subito degli ordini concitati risuonarono nell’aria. Immediatamente seguiti da scoppi di bombe a mano, raffiche di mitra, colpi di pistola, invocazioni d’aiuto, lamenti, un inferno insomma». Ma tu - chiedo- come ti sei salvato”?. “Un miracolo, un puro caso – seguita con voce visibilmente emozionata. Eravamo in tre: io, Montacci Ugo e Carlotti Aldo (quest’ultimo un ragazzo di appena 17 anni, che per il terrore divenne pazzo e di lì a qualche anno morì n. d. r.) e ci eravamo rifugiati in una stanza nascondendoci sotto un letto matrimoniale. Fu la nostra salvezza. In tutto 20 francavillesi: operai, contadini, studenti, tutta gente del popolo. La pattuglia tedesca era ancora lì ferma con le armi in pugno. Pensavo tra me:“ora tocca a noi!”. Ci ordinarono di prendere le forche e le pale e ci spinsero dietro la casa dove c’era una fossa di letame. Ci fecero togliere il letame e nella fossa allineammo i corpi straziati dei nostri compagni coprendoli con un palmo di terra». Ma vorrei riprendere, anche per inquadrare storicamente la vicenda dell’eccidio di Santa Cecilia con alcune questioni ed eventi di quel periodo buio di Francavilla, che hanno appassionato la ricerca storica e alimentato un interessante dibattito.

Perché fu distrutta Francavilla: una ricerca storica sul martirio

Le problematiche sono: il perché della distruzione di quella che fu una ridente cittadina adagiata sulla costa adriatica; il ruolo delle bande partigiane nel quadro più generale della lotta di liberazione; ed infine la lunga lotta per il riconoscimento di Francavilla come città martire. Ci faremo aiutare in questa ricerca dal caro amico Giuseppe Iacone, che su queste ed altre interessanti tematiche ha fatto studi e ricerche minuziose ed approfondite, in Italia e all’estero, pubblicando vari testi, valga per tutti: Kaputt, che ha dato un contributo essenziale alla lotta per il giusto riconoscimento del martirio di Francavilla.

C’è una questione che storici, politici e militari hanno dibattuto a lungo: il perché della distruzione di Francavilla; cosa ci puoi dire in proposito?

Pochi giorni dopo l’eccidio di Santa Cecilia, ebbe inizio l’integrale distruzione della cittadina di Francavilla per mezzo del brillamento di mine, a partire dai quartieri della spiaggia verso il fiume Foro a sud. Il 23 dicembre ‘43 i guastatori attaccarono l’abitato ancora dalla parte del fiume Alento, a nord. Nel 1944 i guastatori rasero letteralmente al suolo l’intero quartiere della marina, e distrussero tutti i restanti edifici del paese alto, sebbene la loro opera fosse resa difficile dalla stessa struttura urbanistica di una cittadina medievale, con schema viario“a spina di pesce”. Nessun edificio fu risparmiato: crollarono così la Chiesa di S. Maria Maggiore, monumento nazionale, e vari antichi palazzi del sec. XIV, XVI e XVII. Dall’alto il panorama della distruzione di Francavilla era desolante. Le distruzioni accertate nel dopoguerra risultarono del 98,80 per cento dell’abitato!

A proposito della lotta partigiana a Francavilla al Mare che cosa ci puoi dire?

Nonostante il divieto da parte degli occupanti tedeschi di possedere armi pena la perdita di vite umane anche a Francavilla si andò costituendo una banda partigiana, formata prevalentemente da soldati e marinai del luogo tornati in paese dopo l’armistizio; ad essi si aggiunsero militari che si trovavano di stanza a Francavilla e altri sbandati, inoltre ex prigionieri inglesi, americani, iugoslavi fuggiti dai campi di concentramento della zona. Questi partigiani, detti in un primo tempo “ribelli,” poi “patrioti,” svolgevano quel tipo di lotta che un territorio per lo più pianeggiante come il nostro poteva consentire: soprattutto quindi attività di sabotaggio per impedire i movimenti operativi tedeschi, di disturbo delle comunicazioni, nonché di aiuto ai prigionieri e ai paracadutisti alleati.

I partigiani erano in contatto con gli alleati ? Quali furono le azioni più importanti?

Sì, erano in collegamento con gli alleati: con un capitano scozzese e un sottufficiale inglese, che erano stati paracadutati allo scopo di organizzare gli imbarchi notturni degli ex prigionieri alleati, che venivano raccolti da un sottomarino presso la foce del fiume Foro. Durante un’operazione del genere in una notte di novembre, avvenne uno scontro a fuoco tra un’imbarcazione germanica in servizio di perlustrazione e i partigiani: due ufficiali tedeschi rimasero uccisi. Tra le imprese più notevoli fu la cattura del presidio della Wehrmacht in servizio alla stazione radar di S. Maria della Croce.

Triangolo Rosso, giugno/settembre 2007

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