Triangolo rosso

GRANDI PERSONAGGI DELLA DEPORTAZIONE

Piero Caleffi: da Mauthausen a primo presidente dell’Aned

 

Da questo numero iniziamo a ricordare grandi figure della deportazione. Il primo ricordo è dedicato a Piero Caleffi, ex deportato nel campo di sterminio di Mauthausen, autore del famoso libro Si fa presto a dire fame, edito dalle Edizioni Avanti!, sedici edizioni in breve tempo e, successivamente, dalle edizioni Mursia, sette edizioni. Caleffi è stato senatore della Repubblica e primo presidente dell’Aned con vicepresidente Gianfranco Maris. Qui di seguito pubblichiamo un profilo biografico e diversi giudizi sulla sua figura.

Piero Caleffi nacque a Suzzara, in provincia di Mantova, il 9 giugno 1901. Accostatosi in giovane età al movimento socialista, nel 1919 fu tra i fondatori del Circolo giovanile socialista della sua città, ed entrò a far parte degli organismi dirigenti della Federazione mantovana del Psi. Incarcerato una prima volta nel 1922, nel 1923 venne condannato ad un anno di reclusione per la sua attività antifascista; scontata la pena, si trasferì a Milano, dove, intorno alla fine degli anni '20, si avvicinò alla neo costituita formazione di Giustizia e Libertà, stringendo rapporti personali con Riccardo Bauer ed Ernesto Rossi. Deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato sotto l'accusa di attività cospirativa, nel 1930, venne assolto in istruttoria, ma, per sottrarsi alla vigilanza della polizia, si trasferì da Milano a Roma e poi a Genova. Nel 1936 venne di nuovo arrestato: messo in libertà dopo due mesi di carcere, tornò a Milano, dove, nel 1938, entrò in contatto con Ferruccio Parri. Dopo il 25 luglio 1943, Caleffi aderì al Partito d'Azione nelle cui fila prese parte alla Resistenza. Arrestato a Genova il 27 agosto 1944, fu trasferito nel campo di concentramento di Bolzano e poi a Mauthausen. Rientrato in Italia alla fine del 1945, prese parte al dibattito interno al Partito d'Azione, dal quale si distaccò, nel febbraio 1946, per aderire al Psiup: in seno a questo partito si riconobbe nelle correnti autonomistiche e nel gennaio 1947 aderì al Psli di Giuseppe Saragat. Due anni più tardi, nel 1949, aderì al Psu, una formazione che si proponeva la riunificazione dei due partiti socialisti, della quale seguì attivamente la vicenda, fino all'unificazione con il Psli che portò, nel maggio del 1951, alla nascita del Partito socialista (sezione italiana dell'Internazionale socialista) che, nel gennaio 1952, assunse la denominazione definitiva di Psdi. Dal partito socialdemocratico si staccò alla fine del 1952, assumendo una posizione contraria al progetto di riforma della legge elettorale in senso maggioritario che lo portò ad aderire al gruppo di Unità popolare, guidato da Parri e Calamandrei. Nel 1958 Caleffi rientrò nel partito socialista e venne eletto senatore nel V collegio di Milano. Durante la III legislatura fu membro della 6ª Commissione permanente (Istruzione e belle arti). Rieletto nella successiva legislatura, entrò a far parte del secondo e del terzo governo Moro (rispettivamente dal 22 luglio 1964 al 23 febbraio 1966 e dal 23 febbraio 1966 al 24 giugno 1968) in qualità di sottosegretario alla Pubblica istruzione, e del primo governo Rumor (dal 12 dicembre 1968 al 5 agosto 1969) in qualità di sottosegretario al Turismo e spettacolo. Il 13 maggio 1970 venne eletto vicepresidente del Senato, carica che occupò fino alla fine anticipata della legislatura, nel 1972, anno che coincise con la conclusione della sua carriera parlamentare. Negli anni successivi dedicò gran parte della sua attività all'Associazione nazionale ex deportati politici, all'Istituto milanese per la storia della Resistenza e del movimento operaio e dell'Associazione Italia-Israele. Morì il 7 marzo 1978.

Così hanno detto di lui

 

Sandro Pertini – «I saggi di Caleffi riassumono il travaglio ideologico e politico del movimento socialista di questo mezzo secolo, le inquietudini intellettuali, i dissensi, le scissioni, l'impatto dei grandi eventi internazionali sulla situazione italiana, sicché gli articoli e le testimonianze che si succedono costituiscono, anche per l'onestà intellettuale e l'acuta intelligenza, quasi un discorso ininterrotto e coerente sul processo di maturazione compiuto dai movimenti popolari del nostro Paese in tanti anni di sofferenze, di lotte e di occasioni anche perdute».

Gaetano Salvemini – «Pochi libri ho letto che mi abbiano sconvolto eppure elevato sopra di me stesso, come questa relazione semplice, scarna, nella quale non si inciampa mai - sia ringraziato il cielo - su la parola eroismo. Grazie, caro Caleffi, amico a me prima sconosciuto.»

Piero Calamandrei – «Pensose e penetranti queste pagine dell'amico Piero Caleffi, autore del libro Si fa presto a dire fame che è giustamente annoverato tra i capolavori della letteratura sulla Resistenza, e che non è possibile leggere senza rimanere sconvolti, più che dagli orrori dei quali riesce a darci pacata testimonianza, dalla magnanimità di questo spirito umilmente impavido, che è riuscito a trarre in salvo attraverso l'inferno, la speranza nella fraternità umana».

Un frammento da “Si fa presto a dire fame”

 

Dopo il rancio, nel pomeriggio, il capo e gli inservienti ci "visitano": guardano nelle scarpe, nella cinghia se abbiamo nascosto qualche cosa, denaro o gioielli. Con le dita frugano anche nel nostro corpo… Passiamo poi alla visita di un vero medico, un giovane polacco villano e violento che ci guarda appena, e tuttavia riesce a maltrattarci chiamandoci "badoglio" o "fascisti" o "macaroni". Più tardi un omino infagottato in cenci entra e cerca tra noi i milanesi e chiede notizie: chi siamo, dove eravamo eccetera. È Gigi Martello. Non ci incuora. È sicuro che nessuno sopravviverà; e continua a lamentarsi e a descrivere a quadri foschi l'ambiente. Mi dice che al blocco 8, nel campo 1, vi sono Giuseppe Pugliesi e Franco Antolini. Lo incarico di salutarli. Poco dopo sopraggiunge un altro italiano. È un giovine alto e snello, dallo sguardo acuto e autoritario, robusto naso a vela, denti in fuori. Si informa, parla a lungo con qualcuno, si interessa a me. Gli chiedo: "Chi sei?". "Giuliano". "Giuliano e poi?". "E poi niente. Ti deve bastare", mi risponde brusco. Intanto mi dà una fetta di pane. Gregori mi informa, quando se ne è andato, che è Giuliano Pajetta, un comunista. Ha fatto la guerra di Spagna che era appena un ragazzo, è stato in campo di concentramento in Francia, ora è qui. In Italia suo fratello è stato in carcere molti anni. Giuliano è riuscito a fermarsi qui come interprete. Conosce molte lingue. È in relazione con i comunisti di altri Paesi che hanno ottenuto nel campo qualche posizione di privilegio. Aiuta i suoi compagni di partito, ma anche gli altri, quanto più gli è possibile. Aspro, ma un cuore d'oro. Al tramonto il blocco è invaso da un'altra torma di disgraziati in camicia e mutande, tremanti di freddo. Russi, polacchi, ebrei. Dio sa da dove arrivano. I "castelli" vengono tolti dallo stanzone di destra, ora dovremo dormire tutti a terra. Ma dove? Saremo un migliaio di uomini… Appello e rancio, poi a dormire. Ora so dove e come dormiremo. Fanno stendere i pagliericci l'uno accanto all'altro, in quattro file; ci fanno spogliare e ci allineano di qua e di là di ciascuna fila, di fianco, a ridosso; e poi ci ordinano di buttarci giù, a "forbice", in modo che ci troviamo in quattro su ogni pagliericcio, e ognuno ha dinanzi al viso i piedi di un altro. Passata mezz'ora e calmata un poco la stanchezza, inizia un nuovo tormento. Non ci si può muovere dalla posizione assunta nel primo momento, ché ogni tentativo suscita le proteste dei vicini. Qualcuno, addormentandosi, mette un piede sul viso di un altro. Questo urla e allontana il piede nemico che resiste. È impossibile intendersi, se si è stranieri. Allora ci si batte a pugni e a colpi di scarpe o di cinghia. Si mettono a urlare anche i Prominenten, il capoblocco e lo spagnolo, risvegliati dal baccano che non si placa: e allora i due accorrono menando botte dove capita. A quando a quando uno due tre devono correre ai gabinetti. In quel groviglio tentano di passare senza calpestare i corpi: ma se partono dal fondo dello stanzone per arrivare fino all'uscita, incespicano in una gamba, in una testa, in un braccio. Proteste e pugni. E il malcapitato corre non badando più dove mette i piedi. Tale fu il nostro riposo, nei blocchi di quarantena, per tutto quel mese di gennaio.

 

La nudità dell’orrore in un libro indimenticabile

Ferruccio Parri, dalla prefazione del libro

 

Terribile diventa il tuo libro, caro Piero, e la sua stessa semplicità, la sua nudità ne accresce l'orrore. E difficile diventa scriverne. Un gesto, un'invettiva, una maledizione: a questo ridurrei l'introduzione. È l'ultima pagina, l'ultima riflessione, dolente e rasserenata ed umana, a richiamarmi da questa tentazione di fuga, perché sia fatta nostra e serva anche a noi l'infinita sofferenza di questo compagno ritornato e dei molti che non sono tornati. Migliaia e migliaia dei nostri sono finiti nei campi tedeschi; poche centinaia i sopravvissuti. Caleffi è tra essi; ma è un mero caso: un soffio di resistenza di meno, più di spirito forse che di corpo, una tortura di più, un'assenza del dottore che lo protegge, e Piero Caleffi sarebbe anch'egli un mesto ricordo, come Ermanno, come Eros e tanti altri. È tornato, e scava per il nostro rimorso dalla sua memoria implacabile i ricordi di quell'inferno. Quando voi siete tornati, distrutti fisicamente e psichicamente, non abbiamo quasi osato interrogarvi, quasi temessimo di scuotervi dall'incubo che leggevamo nei vostri occhi e nel vostro volto, quasi temessimo la rivelazione degli abissi di bestialità umana che intendevamo dietro di esso, quasi che una parte di colpa del vostro martirio cadesse su di noi.

Triangolo Rosso, gennaio/aprile 2007

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