Triangolo rosso

Conferenze, cinema, teatro e una mostra di grande interesse a Bellinzona

Il ruolo della Svizzera e la persecuzione degli ebrei in Italia fra il 1938 e il 1945

 

di Francesco Scomazzon

 

A Bellinzona un ciclo di conferenze, cinema, teatro e una mostra di grande interesse con la partecipazione di storici di vari Paesi europei per non dimenticare il passato e riflettere sul presente. È in corso di svolgimento un’importante ricerca coordinata dal ticinese professor Fabrizio Panzera sul ruolo del fascismo italiano nella Confederazione elvetica.

A sette anni dall’istituzione del “Giorno della Memoria” anche in quest’ultimo 27 gennaio sembra essere stato riproposto il medesimo tragico capitolo di una storia difficile non solo da comprendere ma addirittura conoscere. Quasi un obbligo del ricordo, uno sforzo imposto tra la stanca prassi degli assessorati e un revisionismo illusoriamente redditizio, poco convincente, ma certo più affascinante di una seria e motivata analisi storica. Così la lontananza temporale dalla liberazione di Auschwitz sessantadue anni fa, sembra rendere quella tormentata e assurda stagione sempre più sfumata e incerta agli occhi di noi italiani, quanto la sua distanza geografica. L’impressione alquanto sconcertante che riemerge annualmente, è infatti quella di ricordare episodi cui noi stessi ci raffiguriamo ben volentieri vittime sacrificali di un potere rimasto a sua volta intrappolato in un’alleanza scellerata, dimenticandoci invece che quella piccola località polacca stretta tra Cracovia e Katowice, fu soltanto il punto d’arrivo di un percorso che ebbe inizio in paesi e città a noi ben più vicine. A partire dai tormentati confini con la Confederazione elvetica. Paese libero e democratico, negli anni bui della Repubblica sociale italiana stretto tra due forze dittatoriali, la Svizzera dovette presto fare i conti con un crescente numero di profughi e sbandati, che iniziavano ad affollare i suoi confini meridionali alla ricerca disperata di un’ancora di salvezza. Ingressi non sempre accordati e tragici refoulement causati da un’ambigua politica interna, non hanno tuttavia impedito alla Confederazione di avviare serie e mature ricostruzioni di quei tragici momenti. Percorso iniziato già a metà degli anni Cinquanta con uno studio del professor Carl Ludwig di Basilea, poi ripreso e naturalmente approfondito in tempi più recenti, con il corposo lavoro della Commissione Bergier. Il 13 dicembre 1996 infatti, il parlamento federale decise di istituire una commissione indipendente d’esperti per lo studio della storia, prima, durante e immediatamente dopo il secondo conflitto mondiale. Fulcro del mandato fu l’analisi dell’atteggiamento adottato dalla Confederazione verso i profughi all’epoca del nazionalsocialismo, con particolare riferimento alla delicata questione delle relazioni economiche e alle transazioni finanziarie con la Germania. Un lavoro certo complesso, ma che ha tralasciato vistosamente i rapporti intercorsi prima con il Regno, poi dall’autunno 1943 con il governo di Salò, determinando una valutazione certo approfondita, ma limitata a un contesto geografico circoscritto ai confini settentrionali. Proseguendo sulla linea di questa cosciente e matura revisione del proprio recente passato, peraltro avviata dal dibattito sui “fondi in giacenza” e la poca attenzione riservata agli aspetti finanziari e patrimoniali dei rifugiati, nel 2003 il Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica, ha accordato un finanziamento a un gruppo di ricerca diretto dal dott. Fabrizio Panzera dell’Archivio di Stato del Canton Ticino, perché venissero chiariti gli altrettanti complessi risvolti intercorsi dalla metà degli anni Venti fino al termine del conflitto, tra il regime fascista e i cantoni meridionali della Confederazione. Rapporti politici, culturali, economici e umani con Vallese, Ticino e Grigioni, stanno diventando così ulteriore occasione per ripensare ad una politica d’asilo diversa da quella degli omologhi cantoni situati nel cuore della Svizzera, causa il coinvolgimento diretto nel flusso di persone in cerca di rifugio. La vicinanza e il regolare confronto con le province settentrionali italiane, rappresentò infatti nel corso del ventennio, una costante nelle relazioni tra i due Paesi, partendo dal periodo immediatamente successivo l’instaurazione del regime dittatoriale, e ancor più dalla seconda metà degli anni Trenta, con l’approvazione in Italia delle leggi razziali. Una prima tappa che, passando attraverso l’affermazione del nazismo in Germania, i conflitti etiopico e spagnolo, aprì le porte a una nuova stagione di relazioni con uno Stato che, pur libero e democratico, lasciava trasparire sia a livello federale e talvolta cantonale, pregiudizi razziali mascherati da improbabili fattori economici, dalla lotta al cosiddetto “inforestierimento”, fino a un concetto piuttosto sfumato di sicurezza nazionale. Da questi presupposti, è stata aperta recentemente a Bellinzona, presso l’Archivio di Stato del Canton Ticino, una mostra dal titolo La Svizzera e la persecuzione degli ebrei in Italia, 1938-1945. Per non dimenticare il passato; per riflettere sul presente.

Una mostra per non dimenticare il passato e riflettere sul presente

Lo scopo dell’esposizione, inquadrata nel più ampio progetto di ricerca guidato dal professor Panzera e rimasta aperta al pubblico fino al 10 marzo, è stato di ripensare alle cause e alle conseguenze di tale tragica persecuzione, nonché le ripercussioni che essa ebbe sulla vicina Confederazione. Strutturata in due parti, l’esposizione ha infatti inteso illustrare scientificamente e con completezza storica, dapprima le vicende degli ebrei italiani dal 1938 al 1945, con specifico riferimento all’ultimo biennio di guerra, per poi passare ad analizzare e ricostruire l’atteggiamento politico, assunto dalla Svizzera e dal Ticino a cavallo tra XIX e XX secolo. In questa seconda sezione, si è voluto in particolare creare un breve e agile percorso che ha permesso di risalire alle cause del manifestarsi di un brutale antisemitismo elvetico, da un lato riesaminando gli atteggiamenti assunti dalla Confederazione dinanzi alla persecuzione degli ebrei in Europa negli anni Trenta, per poi focalizzare l’attenzione sulle reazioni federali (ma anche dei Cantoni meridionali) assunte dopo l’armistizio del 1943. Il sottotitolo che ha accompagnato la mostra Diritto d’asilo e antisemitismo. Rifiuto dello straniero e tradizione umanitaria ieri e oggi, è diventato occasione perché l’esposizione non restasse un esclusivo ed isolato momento di studio sul nostro passato, ma strumento di riflessione e paragone con il mondo attuale. In questo modo si è potuto innestare un ben più ampio percorso di analisi e dibattiti che stanno attualmente coinvolgendo un cospicuo numero di docenti italiani, stranieri e giovani ricercatori, chiamati a confrontarsi sui delicati temi del razzismo e delle persecuzioni ai due lati del confine. Partendo dalle più recenti pubblicazioni, è in corso fino alla prossima metà di maggio alla Biblioteca cantonale di Bellinzona, un consistente programma d’incontri pubblici organizzato dal dottor Fabrizio Panzera, con la collaborazione del Centro interdipartimentale di storia della Svizzera “Bruno Caizzi” dell’Università degli Studi di Milano e dell’“Associazione per la storia del movimento cattolico nel Ticino” di Lugano. Il ciclo di conferenze avviato il 1° dicembre con un intervento d’apertura della professoressa Marina Cattaruzza di Berna, ha trovato forse il suo momento più significativo il 25 gennaio, giorno d’inaugurazione dell’esposizione, anticipata da un dibattito riguardante l’ospitalità accordata dalla Svizzera ai profughi razziali. Il colloquio, coordinato dalla professoressa Renata Broggini, già nota per l’impegno nel ricostruire le vicende dei fuorusciti in Ticino sul finire della guerra, ha visto infatti l’intervento di alcuni ex-rifugiati ebrei che, attraverso testimonianze personali, hanno assicurato un momento di confronto tra i presenti decisamente interessati a riannodare i fili del loro passato prossimo. I dibattiti con il pubblico, sono infatti proseguiti nelle settimane successive con ulteriori importanti incontri tra diversi docenti italiani e alcuni giovani studiosi.

Un ricco dibattito con il pubblico e l'intervento di docenti italiani

Particolarmente interessante e seguito, è stato il dibattito aperto una decina di giorni dopo tra Franco Giannantoni di Varese e il professor Giorgio Vecchio dell’Università di Parma. Partendo da due recenti pubblicazioni sullo sviluppo dell’antisemitismo nel basso Piemonte, e la caccia agli ebrei nel Varesotto durante gli anni della Repubblica sociale, l’incontro ha suscitato infatti notevole interesse tra persone particolarmente attente ad approfondire vicende i cui contorni sembrano sfuggire irrimediabilmente di fronte a una storia generalista, incapace per sua natura di riportare in vita esperienze e talvolta tragici episodi accaduti a pochi chilometri dal confine elvetico. La necessità quindi di avvicinare e riportare la Svizzera in quel contesto, è stato infatti il tema trattato durante un successivo incontro con Silvana Calvo, ricercatrice locarnese che ha avuto l’indubbio merito di presentare a metà gennaio un lavoro focalizzato sull’analisi dei periodici ticinesi risalenti al 1938.

Uno studio sulla stampa riferita all'anno delle leggi razziali italiane

Introdotto da una relazione di Fabio Levi, docente all’Università di Torino, già noto per l’attività di ricostruzione dei beni confiscati agli ebrei torinesi, il lavoro si è focalizzato su un attento studio della stampa di oltre confine, riferita all’anno della legislazione razziale promulgata in Italia. Con un’attenzione specifica al ruolo del lettore-spettatore che – scrive l’autrice nella prefazione al volume - “può sentirsi in sintonia sia con il persecutore che con il perseguitato, può essere solidale, indifferente, ostile verso i protagonisti della tragedia che si compie». Parole che ricordano a noi spettatori delle tragedie contemporanee, che essere anche soltanto passivi e indifferenti, può essere il primo passo verso la complicità. Dopo un successivo incontro con Michele Sarfatti, responsabile del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, invitato a presentare insieme alla professoressa Elisa Signori di Pavia, la nuova edizione del suo già fortunato e importante volume riguardante Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità e persecuzioni, più recentemente Bellinzona ha ospitato un’interessante tavola rotonda nella sala del Gran consiglio, sul tema La Svizzera giudicata: profughi alle frontiere, diritto d’asilo, immagine della Confederazione. Diretta da Michele Ferrario della Televisione svizzera italiana e come sempre dal professore Fabrizio Panzera, organizzatore anche dei precedenti incontri, il dibattito ha coinvolto numerosi e stimati ricercatori italiani e svizzeri, tra i quali i professori Jean-Christian Lambelet di Losanna, Carlo Moos di Zurigo, il torinese Alberto Cavaglion e Ruth Fivaz di Ginevra, apprezzata e seria studiosa impegnata da diversi anni in un altrettanto importante lavoro di ricostruzione sui flussi migratori provenienti dalla Francia negli anni Quaranta. Incontro che ha favorito sicuramente uno scambio di idee e una maggiore riflessione sui risultati ottenuti dalla precedente Commissione Bergier che, pur sollevando dubbi tra alcuni partecipanti al convegno, ha dimostrato tuttavia la necessità di proseguire con ulteriori indagini, coinvolgendo un più ampio numero di ricercatori. Auspicio a quanto pare accolto con indifferenza dal pubblico italiano. La poca attenzione e la scarsa partecipazione agli incontri - piuttosto pubblicizzati anche al di qua del confine - ha sollevato ancora una volta quell’insolito e paradossale destino della memoria. Pur nelle profonde divergenze maturate in questi ultimi recenti dibattiti, stupisce infatti la necessità di dover ricordare vicende che hanno colpito tragicamente l’Italia, causa per anni e per innumerevoli persone di sofferenze e privazioni, da coloro che - a partire dal 1943 - ne subirono in prima persona le dirette conseguenze. Come detto all’inizio, non senza momenti d’ombra che, tuttavia, non hanno impedito una seria ricerca con il proprio passato e un maturo confronto con il mondo attuale.

Triangolo Rosso, gennaio/aprile 2007

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