Triangolo rosso

UNA PAGINA POCO CONOSCIUTA DELLA RESISTENZA ROMANA

Com’è difficile ricostruire il “trasporto” del 4 gennaio 1944

È partito dal carcere di Regina Coeli diretto ai campi di sterminio. Il ricordo dei pochi superstiti.

 

Italo Tibaldi, nel suo libro Compagni di viaggio, in cui ha pubblicato i risultati della sua cinquantennale ricerca per ricostruire numeri, identità, storia della deportazione politica dall’Italia, riferendosi al trasporto degli inizi di gennaio 1944 da Roma a Mauthausen, indica, sulla base di una documentazione certa del lager austriaco, in 257 i deportati che vi giunsero il 13 gennaio e vi furono immatricolati. Aggiungendo però, in una preziosa nota, che uno dei deportati, in una sua testimonianza, aveva affermato essere stati 480 i prigionieri che erano partiti alla volta della Germania. Questa nota suscitò la mia curiosità e fece crescere in me, giorno dopo giorno, la necessità di sapere di più su quel trasporto dal carcere di Regina Coeli, a Roma. Per dare un volto e un nome a uomini di cui si era evidentemente persa memoria. Ritenendo giusto e ancor più doveroso fare conoscere la loro vicenda umana e politica. Per ricostruire, infine, una pagina della storia romana di cui la maggior parte dei cittadini della capitale tutto ignorano.

 

di Aldo Pavia

 

Si incaricò di condurre ricerche Antonella Tiburzi, partendo soprattutto dalla testimonianza di Mario Limentani che risultava essere l’unico dei superstiti ancora in vita. Le ricerche iniziarono scavando negli archivi di stato di Galla Placidia, ove sono raccolti parte dei documenti del carcere di Regina Coeli, non incontrarono molte difficoltà, in quanto la documentazione risultava largamente incompleta, con vuoti enormi. Non era possibile rintracciare documentazione relativa alla maggior parte del mese di gennaio 1944. Inoltre la Tiburzi trovava più numeri che nomi. Ma qualcuno fu possibile trovarlo e avere conferma che anche altri, oltre i 257 noti, erano stati consegnati dalle celle fasciste ai nazisti e avevano fatto parte del gruppo di deportati. Il maggior ostacolo a ricerche più probanti si trovava nel fatto che, a domande sul dove sarebbe stato possibile cercare, veniva opposta l’affermazione che gli archivi del carcere erano andati distrutti o persi, in particolare quelli del braccio tedesco. Si tentò allora di cercare eventuali superstiti, a noi sconosciuti, ricorrendo a un appello lanciato da una trasmissione televisiva, grazie all’interessamento per questa ricerca di Roberto Olla, un giornalista a noi molto vicino, molto competente per quanto riguarda i temi della deportazione. Non furono trovati superstiti ma ci giunse una telefonata di Anna Tonon, nipote di Filippo D’Agostino, uno dei fondatori del Partito Comunista, che di quel trasporto faceva parte e che trovò la morte ad Hartheim. A questo primo colpo di fortuna ne fece seguito un altro. Ricevemmo un messaggio con cui Eugenio Iafrate ci chiedeva se era possibile accedere agli archivi e ai documenti dell’Aned di Roma, in quanto era interessato a conoscere di più e meglio la vicenda di suo zio, Valrigo Mariani che, partito da Roma in quei primi giorni di gennaio 1944, era morto a Hartheim. Seguì un incontro a quattro, chi scrive, la Tiburzi, Iafrate e la Tonon. Quest’ultima, raccontandoci i ricordi di quei giorni ci fornì informazioni quanto mai utili per proseguire nella ricerca. Mostrandoci anche un libro, pubblicato nel lontano 1946, in cui si può leggere il testo del biglietto che D’Agostino riuscì ad inviare a casa, prima di arrivare a Mauthausen. Iafrate, con un colpo di scena degno di un film, ci rivelò di poter accedere agli archivi del carcere, evidentemente non andati perduti. Lui sapeva dove trovarli. I suoi rapporti con il Museo criminologico di Roma, la disponibilità della sua direttrice, Assunta Bursacchiello e l’impegno quotidiano dello stesso Iafrate – un vero e proprio cacciatore di documenti – resero possibile quanto ormai si disperava di poter realizzare. Sarebbe troppo lungo raccontare i tanti giorni di certosino lavoro, le tante difficoltà affrontate, le tante sorprese. Quella più grande fu il ritrovare, negli archivi del Museo della Liberazione di Roma, in via Tasso, 2.800 schede carcerarie del terzo raggio tedesco a Regina Coeli. Erano lì dal dopoguerra e qualcuno ne aveva perso il ricordo. Guardarsele una per una dava i brividi, era rileggere una storia lontana eppur ancora vicina. Nomi noti e meno noti, ma tutti importanti, i nomi di chi aveva lottato, rischiando la vita, contro l’infamia nazifascista. Oggi, vicini alla fine della ricerca, siamo già in grado di dare una precisa risposta sulla data in cui il trasporto partì dalla stazione ferroviaria di Roma Tiburtina. Erano le ore 20,40 del 4 gennaio 1944. Aveva quindi ragione Mario Limentani nel sostenere che quella fu la data di partenza, e non il giorno 5. Ne fa fede un “mattinale” del comando di polizia. E da questo documento viene la conferma che i deportati furono in numero maggiore di quanto risultasse a Tibaldi: 292, secondo la Polizia. Un numero ancora maggiore secondo i documenti del carcere. Ben 327 risultavano essere stati i prigionieri “rilasciati su richiesta” e portati, in più viaggi, su dei camion alla stazione Tiburtina. Settanta persone di cui oggi conosciamo nome e cognome, date di arresto e motivi degli stessi. Anche se ancora ci rimane ignota la loro sorte. Intanto però abbiamo potuto rintracciare un superstite di cui l’Aned aveva perso notizia, Antonino Genco, allora attivo nella Resistenza con il falso nome di Fragapane. Anche la sua testimonianza ci permetterà di sapere di più sul trasporto. Ci è stato possibile, e le parole di Mario Limentani ci confortano assieme ad altre testimonianze, appurare esserci stata una fuga nelle vicinanze di Bologna. Nel corso di questa fu ucciso Vittorio Fattori, il cui nome non appare tra quelli della lista di Tibaldi. Le testimonianze di Forti e di D’Agostino parlano di una cinquantina di fuggiaschi. Più di tanto non riusciremo a sapere. Con certezza sappiamo però che fuggì anche un giovane ebreo, Rubino Sonnino. Una fuga che non segnerà la sua definitiva salvezza. Tornato a Roma venne di nuovo catturato e finì i suoi giorni infelici ad Auschwitz. Di qualche altro nominativo si sta verificando la ragionevole ipotesi della fuga. Così come stiamo ricostruendo le identità più complete, non solo anagrafiche, dei deportati. Alla prima apparenza si potrebbe definire il trasporto del 4 gennaio 1944, un trasporto di “poveri cristi”, in quanto i dati registrati dai carcerieri ci mostrano un alto numero di misere persone, alcune senza fissa dimora, dedite a umili attività, quando nullafacenti. Un esame più accurato e incrociato con altri documenti che via via Iafrate e la Tiburzi vanno ritrovando rivelano come una buona parte fosse già conosciuta alla polizia per il loro antifascismo, per la loro appartenenza a partiti e organizzazioni proibite dal fascismo. Si evidenzia così uno spaccato assolutamente interessante dell’opposizione popolare in Roma al nazifascismo. Nelle periferie e nelle borgate in particolare. Alcuni dei deportati furono protagonisti dell’insurrezione popolare di Pietralata. A questo proposito, la ricerca ha permesso di stabilire che Fausto Iannotti non fu fucilato a Pietralata, bensì morì ad Ebensee pochi giorni prima della liberazione, il 30 aprile 1945. La nostra speranza, contando anche sulla collaborazione della nostra Fondazione, è di poter presto pubblicare un libro in cui fare conoscere i risultati di questa ricerca storica e politica.

 

IL RAPPORTO DEL COMANDO DI FORZE DI POLIZIA

“Elementi indesiderabili partiti dallo scalo tiburtino diretti al Brennero”

 

“Alle ore 20.40 di ieri dallo scalo tiburtino è partito treno numero 64155 diretto a Innsbruck con a bordo n. 292 individui, rastrellati tra elementi indesiderabili, i quali, ripartiti in dieci vetture, sono stati muniti di viveri per sette giorni. Il treno sarà scortato fino al Brennero da 20 agenti di pubblica sicurezza e a destinazione da un maresciallo e 4 militari della polizia germanica. Durante le ultime 24 ore sono stati rastrellati dalla locale Questura, a scopo preventivo, n. 162 persone”. Con queste burocratiche e fredde parole, il Comando di forze di polizia della Città Aperta di Roma, la mattina del 5 gennaio 1944, informava della partenza per una ignota destinazione e per una tragedia insospettabile di alcune centinaia di esseri umani fino a quel giorno rinchiusi nelle celle, italiane e tedesche, del carcere di Regina Coeli. Il mattinale della polizia indica i partenti in 292 individui mentre alcune testimonianze dei pochi sopravvissuti parlano di un numero maggiore. Gino Valenzano, nipote del maresciallo Badoglio, che con il fratello Piero fu rinchiuso in uno di quei carri bestiame, sostenne nel suo libro di memorie che i prigionieri erano non meno di 480. Che fossero 400 o più venne testimoniato anche da Mario Limentani, uno degli undici ebrei romani giunti al KZ Mauthausen, da Roberto Forti, a sua volta superstite e primo presidente dell’Aned (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti) di Roma. Nonché da Filippo D’Agostino, morto ad Hartheim il 7 luglio 1944. Anche Aldo Bizzarri (matricola 66270), nel suo ormai introvabile libro Mauthausen città ermetica scritto nel settembre 1945 e pubblicato da Mondadori nel 1946, ricorda che il primo trasporto di deportati italiani nel KZ Mauthausen era composto da circa 400 persone. Durante il viaggio alla volta del KZ Mauthausen, D’Agostino riuscì a scrivere un biglietto con un succinto racconto di quanto stava capitando a lui ed ai suoi sventurati compagni e a farlo pervenire alla compagna Majerotti a Roma, tramite un poliziotto di scorta al trasporto, che si offrì, come altri suoi colleghi a fronte di denaro e della possibilità di entrare in possesso delle loro tessere annonarie, di portare alle famiglie a Roma quanto fossero riusciti a scrivere con un mozzicone di matita. Quanto scritto da D’Agostino è particolarmente importante perché ci permette di sapere qualcosa di più e di importante sulla vicenda di questi nostri concittadini destinati a sparire nel nulla, nelle “notti e nebbie” invocate dai nazisti. Per questo motivo lo riproduciamo qui di seguito:

Sono nove giorni che siamo sballottati da un punto all’altro viaggiando nelle condizioni più pietose, per raggiungere, forse, Mauthausen. Partiti da Roma martedì, abbiamo fatto tre giornate di treno, con lunghe soste notturne nei binari morti. Disastrosa la sosta nel Brennero, dove con clima artico si era costretti a stare seduti per terra, ammucchiati nei carri bestiame, gelidi, e dove alcuni compagni ebbero sensazione di congelamento. Arrivammo alle 7 di sera a Dachau presso Monaco di Baviera, e incolonnati, con un suolo gelato, dovemmo fare ancora una marcia di otto chilometri (Dachau, triste campo di internamento, è famoso per la campagna giornalistica contro i metodi di sevizie ivi usati). Tre giorni di sosta, alloggiati nel salone dei bagni, dove ci si sdraiava per terra, ma non ci si poteva neppure distendere. La prima sera i guardiani cercarono di terrorizzarci con urli e minacce, chiamandoci ladri e sporchi, e minacciandoci di farci passare la notte, nudi, nel cortile esterno. Schiaffi, calci, scudisciate per un nonnulla. Dopo le undici, abbiamo ricominciato l’odissea verso ignota destinazione. Durante la nostra sosta a Dachau, sono giunti una sera una quindicina di italiani che venivano da altri campi: scheletriti, affamati, alcuni in barella; scena sottoposta ai nostri occhi per scoraggiarci. Ma il nostro morale è sempre alto e la certezza del ritorno sicura. Nella prima notte di viaggio scapparono 55 internati. Io sono insieme con Nuccitelli, Forti, Bologna ed altri 23 nostri, tra cui Clementi. Ci portano altrove: te lo diranno a voce. Sto benissimo. Coraggio, conservati sana, perché dobbiamo superare questa grande prova. Ad Anna e Nando chiedo la massima serietà, e ti tengano la migliore compagnia. Pare che non ci sia consentito scrivere, ma ho fede di ritornare, perché ho la coscienza a posto e la volontà di vivere. Ti bacio affettuosamente coi bambini. Tutti i miei saluti cari agli amici, che, sono sicuro, non ti abbandoneranno”.

D’Agostino scrisse queste parole, una vera e propria testimonianza, prima di arrivare a Mauthausen, da dove non tornò. Roberto Forti invece tornò e la sua testimonianza è inserita nel volume da lui curato con Fernando Entasi Notte sull’Europa, pubblicato nel 1963 dall’Aned di Roma.

All’alba del 4 gennaio 1944, dal carcere di Regina Coeli, furono chiamati con precisi elenchi, 480 detenuti politici. Nel portarli in matricola per riconsegnargli

la roba, fu detto loro che sarebbero andati in libertà. Ma appena terminata tale procedura venimmo inquadrati nei corridoi fino a che vedemmo arrivare le SS e i poliziotti italiani in divisa, tutti armati. […] A gruppi fummo messi in catene e condotti in cortile ove vi erano camion coperti ad attenderci. Ci fecero salire senza dire dove si andava, però quando scendemmo dai camion vedemmo di essere davanti alla stazione Tiburtina. Non ci portarono subito al treno, ma lì, a circa duecento metri vi era un ricovero antiaereo, ci levarono le catene e ci schiaffarono tutti là dentro. Questo ricovero era formato di alcuni vani e corridoi, i soffitti erano tutti puntellati, ci dettero anche delle lanterne per vederci. Naturalmente si formarono gruppi e in generale discutevamo le località in cui saremmo stati portati e della eventuale fuga. Rammento bene i Valenzano (nipoti di Badoglio) essi facevano grandi piani strategici (dato che il grande era ufficiale). Nel pomeriggio fummo caricati come tanti animali: quarantacinque per vagone. Sostammo fino a notte. Infine ci dettero delle cassette di gallette, poi i vagoni furono piombati. Prima della partenza accadde una tragedia, si sentivano tanti urli. Affiancandoci agli sportelli sbarrati, vedemmo che vi erano famigliari che avevano saputo, non so come, che noi eravamo lì. Però neanche loro seppero dirci dove ci portavano, gridavano e piangevamo solamente. Questo viaggio fu fatto senza un goccio d’acqua […] Ricordo che a un certo punto l’interno del vagone diventò tutto ricamato, eravamo sotto zero. Tutte le parti in ferro erano divenute bianche argentate”.

Ascoltiamo anche la voce di Gino Valenzano che, con il fratello Luigi, era rinchiuso nel terzo braccio di Regina Coeli, quello tedesco.

Ogni mattina contavo i giorni di detenzione. Il 4 gennaio erano quarantatré. Poco dopo udimmo il rumore del chiavistello della porta. Ci fermammo tutti a guardare con il fiato sospeso. Il tedesco entrò e disse: “Valenzano, prepararsi…” Nessuno dei miei compagni fiatò. Domandai: “Perché, dove mi portate?” E quello: “Esci, libero. Torni a casa tua”. Maledetto scherzo! Altro che tornare a casa. […] Ci fecero salire su di un autocarro. Alcuni soldati vennero con noi, le armi in pugno. Un tedesco non mi perdeva d’occhio […]. La minima mossa da parte mia sarebbe stata interpretata come un tentativo di ribellione e mi avrebbe spacciato. Non volevano grane i nostri angeli custodi vestiti di verde. […]. Arrivammo poco dopo alla stazione Tiburtina. Colonne di prigionieri aspettavano di salire sopra un treno formato da una fila interminabile di carri bestiame. La notizia della nostra partenza era trapelata a Roma, perché molti familiari dei prigionieri si accalcavano urlando e piangendo contro un muro di soldati tedeschi e di repubblichini. Parenti e amici dei prigionieri cercavano di superare lo sbarramento per abbracciare i loro cari. Quasi tutti portavano dei pacchi, sicuramente viveri e qualche indumento, che tentavano invano di consegnare ai congiunti. Una scena straziante. Urla, pianti, ordini gridati in italiano ed in tedesco. Fascisti e tedeschi respingevano la folla brutalmente, picchiando chiunque si trovasse davanti. La gente si ritrasse urlando. Alcuni pacchi caddero per terra sfasciandosi sotto gli stivali dei militari. […] Salimmo sui carri. Sprangarono le porte con un colpo secco. […] Eravamo quaranta nel carro bestiame […]. Gridarono alcuni ordini in tedesco. Ci fu un po’ di trambusto, poi il treno si mise in moto. Le porte del carro erano sprangate. Nessuno di noi parlava. Ognuno pensava a sé, ai suoi, all’ignoto che ci stava davanti”.

Triangolo Rosso, dicembre 2006

sommario