Triangolo rosso

PER UN GIUDICE TEDESCO I SOLDATI MASSACRATI DAI NAZISTI ERANO “ALLEATI TRADITORI”

Cefalonia: una sentenza che giustifica l’eccidio nazista

Sconcertante sentenza di un giudice tedesco sul massacro di Cefalonia. Il pubblico ministero Stern della procura di Monaco di Baviera ha disposto il proscioglimento dell’ex sottotenente Otmar Muhlhauser, l’ultimo sopravvissuto tra gli ufficiali che ordinarono la strage. Secondo il giudice tedesco i militari della divisione Acqui di stanza nell’isola greca dello Ionio, erano da considerarsi equiparati alle truppe tedesche e quindi i militari che non si erano arresi ai nazisti l’8 settembre dovevano essere considerati disertori che si erano schierati dalla parte del nemico. Quindi, secondo questa sconcertante sentenza, l’esercito italiano era parte integrante dell’esercito nazista e l’obbedienza dei nostri militari alle disposizioni del governo di Roma, costituiva un vero e proprio tradimento. Questa grave sentenza ha provocato una forte indignazione tra coloro che si sono occupati a vario titolo della tragedia di Cefalonia. Lo storico Gian Enrico Rusconi, autore di un saggio su questa tragedia, ha rilevato che il tribunale di Norimberga condannò a 12 anni di carcere il comandante delle forze tedesche a Cefalonia, generale Hubert Lanz, per avere fucilato illegalmente soldati e ufficiali italiani. Si chiarì allora che i militari della divisione Acqui non potevano essere considerati dei traditori, in quanto avevano obbedito all’ordine di resistere impartito loro dal governo italiano. Lo storico Giorgio Rochat, autore di un recente saggio su Cefalonia, ha dichiarato che: “Purtroppo la tendenza a sminuire, giustificare o addirittura negare i propri crimini di guerra, riguarda un po’ tutti i paesi. È un fenomeno molto brutto, ma abbastanza “normale”. Nessun militare italiano è mai stato processato per gli eccidi compiuti dalle nostre truppe in Etiopia e nei Balcani. Persino gli Stati Uniti oggi rifiutano di sottoporre i loro soldati alla giurisdizione della Corte penale internazionale sui crimini di guerra. La Resistenza della Acqui era perfettamente legittima e la fucilazione delle truppe italiane, attuata su un ordine diretto di Hitler, non può trovare alcuna giustificazione.

Nell’ultimo numero della rivista Storia e Memoria dell’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea sono pubblicati gli atti di un “incontro” dal titolo “Cefalonia 1943. Valore e sacrificio della divisione Acqui” tenutosi presso il Comando militare della regione Liguria. Di grande interesse sia le diverse relazioni che il dibattito che ne è seguito concluso con un intervento del senatore Raimondo Ricci, presidente dell’Istituto. di Raimondo Ricci *

Spetta a me, quale presidente dell’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea che, insieme al Comando militare ligure ha organizzato questo incontro, concluderlo dopo la bella ricostruzione fatta dal generale Enrico Mocellin. Credo che questo convegno, lungi dal rievocare esclusivamente eventi lontani nel tempo in una dimensione di memoria retrospettiva, serva all’oggi, perché la memoria di Cefalonia e più in generale della terribile, eroica, drammatica vicenda che ha vissuto l’Italia tra il 1943 e il 25 aprile del 1945, costituiscono un fattore fondamentale per comprendere e interpretare il presente. Si può affermare senza retorica che quella fase storica ha rappresentato la difficile scelta della rottura a seguito della quale il nostro Paese ha battuto strade radicalmente diverse da quelle che aveva percorso dopo l’avvento del fascismo e del nazismo. In questo contesto la vicenda di Cefalonia è particolarmente significativa. Penso che per quattro dei quasi sei anni di durata, dal settembre 1939 al maggio 1945, di quella immane tragedia che fu la seconda guerra mondiale, l’Italia è rimasta al fianco della Germania nazista, condividendone, sia pure da alleato subalterno, il progetto di potere e di dominio totalitario sull’intera Europa e, nella prospettiva del Reich millenario, sul mondo. Fu a partire dall’8 settembre 1943 che l’Italia operò quel sofferto “ritorno alla ragione” che le ha consentito, con immensi sacrifici, di divenire un Paese democratico. Quell’8 settembre non rappresentò la “morte della Patria”, come hanno affermato alcuni, ma l’inizio di un doloroso processo di riscatto nazionale attraverso il quale venne sorgendo una nuova patria democratica e civile, sulle ceneri della Patria fascista autoritaria e violenta. Questo processo si è dipanato nelle regioni del sud, già liberate dagli eserciti alleati, attraverso un progressivo procedere verso governi via via più rappresentativi di una società che ormai definitivamente condannava il fascismo, dal primo governo Badoglio, interamente di nomina regia, ai successivi governi regi nei quali entrarono i rappresentanti dei partiti antifascisti coalizzati nel Comitato di liberazione nazionale e infine, dopo la liberazione di Roma del 5 giugno 1944, dai governi Bonomi a cui spetta il merito di aver progettato le tappe di quel passaggio a una vera democrazia che venne chiamato la “Costituzione provvisoria” di una nuova Italia. Nel centro nord, vale a dire nella maggior parte del Paese, militarmente e ferocemente occupato dalle armate naziste, quel processo ha assunto i caratteri della Resistenza armata, che fu una delle Resistenze più attive tra quelle che si svilupparono nell’Europa invasa e soggiogata dal nazifascismo. Credo possa affermarsi che alcuni dei caratteri peculiari della Resistenza italiana sono derivati proprio dal fatto che essa non si proponeva soltanto di liberare il Paese dall’occupante straniero, ma intendeva liberare l’Italia dalla dittatura fascista, quella che per venti anni aveva profondamente permeato la nostra comunità nazionale e quella che per volontà tedesca si era ricostituita incarnandosi nel secondo fascismo collaborazionista di Salò. Una Resistenza in sostanza più “politica” che ha coinvolto ampiamente tutte le componenti sociali, a cominciare dai lavoratori delle fabbriche e dalle popolazioni delle campagne, rispetto a molte Resistenze europee. È per queste ragioni che la Resistenza assume un significato particolare nella storia d’Italia e Cefalonia nella sua drammaticità ne rappresenta uno degli episodi più emblematici. Si è trattato infatti di un episodio che si colloca all’inizio della lotta di Liberazione a opera delle nostre Forze armate proiettate dal fascismo oltre i confini d’Italia per inseguire un sogno di potenza e di dominio. Scavo nei miei ricordi per rievocare motivi e vicende delle scelte di quel settembre 1943. Ero un giovane ufficiale di Marina, in servizio nel Ponente ligure quando la Marina fece la scelta di libertà che ben conosciamo. Anche nel mio piccolo decisi, avendo maturato la scelta antifascista, di andare in montagna con alcuni miei marinai e compagni di idee per cercare, e non sapevamo ancora se ciò sarebbe stato possibile, di organizzare la resistenza. I primi risultati dimostrarono che, pur tra mille difficoltà, la lotta sarebbe stata possibile, i risultati seguirono alle speranze. Ma veniamo a Cefalonia: come avete appreso dalle relazioni di Rochat, di Schreiber e da tutti gli altri interventi e testimonianze, tra gli ufficiali e i soldati della divisione Acqui e degli altri contingenti militari presenti sull’isola era maturato un forte sentimento antifascista e antitedesco, si era affermata la consapevolezza della mancanza di motivazioni e quindi della sostanziale inutilità della guerra; per quanto quei soldati e quegli ufficiali avessero compiuto il loro dovere militare, era in loro maturata la sofferenza per il fatto che quella guerra colpiva gravemente la popolazione civile, le donne, i bambini e la consapevolezza che essa costituiva un’avventura in cui il fascismo aveva trascinato l’Italia contro i suoi stessi interessi e la volontà del Paese. Fu questo sentimento, unitamente al senso dell’onor militare italiano, fortemente sentito come fondamentale punto di riferimento nelle condizioni della lontananza dalla madrepatria che mosse i nostri soldati e ufficiali a opporsi ai tedeschi, condividendo la scelta del legittimo governo italiano, che nella gestione del passaggio cruciale dell’armistizio aveva peraltro avuto pesanti colpe e responsabilità, di ritirarsi dall’alleanza con il Reich. Decisione che apriva la speranza, che si sarebbe rivelata infondata, della fine, per l’Italia, della guerra. Il travaglio del generale Gandin, ricordato da Rochat e dal generale Mocellin, è ben comprensibile in quanto egli più dei suoi uomini si rendeva conto degli esiti possibili e drammatici verso cui si stava andando e tuttavia non venne meno al suo impegno di seguire la via indicata dalle leggi dell’onore e dai sentimenti dei suoi uomini. Credo che a Cefalonia sia stato compiuto uno dei più grandi crimini di guerra: non è vero, come alcuni hanno sostenuto, che non esistessero al tempo leggi e norme che identificassero con precisione essenza e natura dei crimini di guerra. Essi erano puniti dalle Convenzioni internazionali di Ginevra e dell’Aja e dalla legge italiana. Nonostante ciò i militari tedeschi, sotto la guida del totalitarismo nazista, di tali crimini si resero colpevoli in molteplici occasioni sui vari fronti, dalla Polonia all’Unione Sovietica, dalla Francia all’Italia. I fatti di Cefalonia di cui avete ascoltato la terribile, inaudita sequenza, costituiscono uno dei più efferati di questi crimini. Consentitemi di chiudere questa mia riflessione con alcune brevi considerazioni di carattere generale: si può pensare a Cefalonia senza richiamare altri immensi crimini commessi dal nazismo come lo sterminio di milioni di persone, inclusi donne, vecchi, e bambini, nel corso della seconda guerra mondiale? E non vanno inclusi nella terribile e aberrante logica dello sterminio anche i militarmente inutili bombardamenti compiuti dagli Alleati, come quello di Dresda, e l’uso delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki che causarono centinaia di migliaia di vittime? La seconda guerra mondiale, con i suoi 60 milioni di morti in Europa e in Oriente ha costituito la prima grande sperimentazione della possibilità di un annientamento umano senza limiti. Oggi gli ulteriori progressi della scienza e della tecnica hanno dotato l’umanità di mezzi di distruzione capaci di annientare ogni parvenza di vita sull’intero pianeta. Questa è divenuta una concreta possibile realtà, realtà indiscutibile che pone di fronte alle nazioni, ai governi, ai popoli, a tutti noi, in termini qualitativamente nuovi, il grande problema della guerra o della pace, del conflitto o del dialogo, del dominio o dell’accordo condiviso, preludio di un governo mondiale. Già la seconda guerra mondiale ha suggerito alla comunità internazionale atti solenni di tutela dei diritti umani fondamentali e di affermazione della parità di tutti gli esseri umani sulla faccia della Terra come è avvenuto nella Dichiarazione universale di Los Angeles del 1946 e nei principi affermati nello Statuto dell’Onu. Riprendere oggi la via indicata come ineludibile dopo quella tragedia è necessario. E questa necessità deve essere ben presente alla politica internazionale e alle Forze armate di ogni Paese. Se l’Italia in questa direzione vuole svolgere un ruolo positivo ha bisogno delle sue Forze armate, ma esse devono ispirarsi ai principi inseriti nella nostra Costituzione che è stata chiara ed esplicita nell’indicare le nuove prospettive che abbiamo richiamato. Queste prospettive sono condensate nell’art. 11 che non solo vieta, ma ripudia la guerra come strumento contro la libertà degli altri popoli e come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali e a ciò non si limita, ma stabilisce esplicitamente la disponibilità della nostra Repubblica alla rinuncia a quote di sovranità purché questo serva, a condizione di reciprocità, all’affermazione della giustizia e della pace tra le Nazioni e impegna Repubblica a favorire tutte le iniziative che si propongano questa finalità. In questo convegno sugli avvenimenti di Cefalonia del settembre 1943, un convegno che si svolge nella sede significativa del Comando militare della regione Liguria, credo di poter scorgere un segno di sensibilità delle nostre Forze armate alle esigenze che ho inteso richiamare.

*presidente dell’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea

 

Come è noto, nel settembre del 1943, le unità italiane dislocate nelle isole di Cefalonia e Corfù, quasi tutte appartenenti alla divisione Acqui, rifiutarono di arrendersi ai tedeschi, li affrontarono in combattimento e furono sconfitti. Con una ferocia senza pari i tedeschi massacrarono a Cefalonia alcune migliaia di militari italiani che si erano arresi e 6-700 a Corfù. Su questa pagina eroica si è versato molto inchiostro non sempre con intenti di seria ricostruzione storica. Una astiosa polemica alimentata senza scrupoli da storici improvvisati ha avuto ampia diffusione nei media, tendente a far credere che delle vicende belliche di Cefalonia non si sia parlato per dare spazio unicamente alla Resistenza. Giorgio Rochat, nel suo intervento, fa piazza pulita di questa grottesca polemica. Cefalonia - afferma - «non è stata dimenticata, anzi ha fruito di un ricordo privilegiato rispetto alle altre vicende nei Balcani. Il 3 ottobre i tedeschi fucilarono un centinaio di ufficiali italiani nell’isola di Coos, nel Dodecaneso; di loro si è perso il ricordo, neppure una lapide testimonia questo massacro. Invece l’ufficio storico dell’esercito curò già nel 1945 una prima ricostruzione dei fatti di Cefalonia, l’anno dopo uscì il volume di memorie del cappellano Formato, di buona diffusione. Nel 1948 ci fu la prima missione sull’isola per il recupero delle salme, il cui rimpatrio iniziò nel 1953. Vennero concesse 18 medaglie d’oro ai caduti, 4 alle bandiere dei reggimenti. Vicino Argostoli fu eretto un monumento efficace, cui resero omaggio il presidente Pertini, poi il ministro Spadolini, recentemente il Presidente Ciampi». Inoltre Roberto Battaglia nella sua Storia della Resistenza Italiana pubblicata da Einaudi nel 1953, fornisce un ampio circostanziato quadro dell’epica lotta contro i nazisti. Molti gli aspetti passati in rassegna nel corso dei lavori di questo importante “incontro” tenuto a Genova.

Triangolo Rosso, ottobre 2006

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