Triangolo rosso

È deceduta il 6 gennaio scorso a Torino l’ex deportata Anna Cherchi, vice presidente della sezione di Torino dell’Aned. Della cara Anna riportiamo un ricordo di Ferruccio Maruffi.

La scomparsa di Anna Cherchi, partigiana deportata a Ravensbrück

 

Cara Anna, è appena trascorso un mese da quando ci hai lasciati sgomenti e addolorati e non riusciamo a convincerci che non ci sei più. Vorrei scriverti come ai nostri compagni che ci hanno lasciati da tempo ma in un certo senso mi ha preceduto Anna Cardaro, l’insegnante novarese, preziosa compagna di tante visite ai lager, con una lettera che comincia così. “Raccontava le tragedie per parlare del futuro”. Diceva di te: “Anna la contadina della Langa con la sua sapienza popolare, il suo esprimersi per proverbi, la sua intelligenza nel comprendere situazioni e persone attraverso particolari per altri insignificanti, la capacità di assumere un punto di vista dal basso rispetto a tutte le cose”. “… È la sua voce che resta impressa ai tanti che hanno avuto la fortuna di conoscerla, una voce roca e forte che sembrava uno scalpellino in mano ad una scultrice: dalla sua voce uscivano figure, luoghi e situazioni fisicamente ricostruiti davanti a noi; e con la voce, i gesti, gli sguardi e le intonazioni di una grande narratrice orale, comprensiva verso l’umanità dolente che ha conosciuto, ma tagliente nei giudizi, attenta alle emozioni dei suoi interlocutori… quante ragazze e ragazzi ne sono state affascinate come di fronte ad una maestra di vita… Anna raccontava le tragedie per parlare del futuro, per dire che c’è in noi la forza di reagire all’ingiustizia e al dolore, nessuno usciva intristito dai suoi racconti, tutti si sentivano invece più responsabili, più addentro al cuore delle cose. E di fronte a chi le chiedeva se i deportati avessero perdonato i loro aguzzini, spostando le responsabilità da fatto storico a questioni personali, rispondeva lapidaria che per perdonare bisogna che qualcuno chieda di essere perdonato, e che in ogni caso lei non poteva perdonare a nome degli altri, di coloro che nei campi erano morti, uomini, donne e soprattutto bambini. Questo non significava per lei odiare o serbare rancore, ma solo attribuire il giusto nome alle cose”. Visto com’è stata brava la nostra Anna? Adesso tocca a me riassumere brevemente il tuo curriculum ricordando come è cominciata la tua storia di partigiana e combattente. Con l’8 settembre 1943 la Cascina situata nel comune di Loazzolo, dove ti eri rifugiata, diventa un centro di assistenza e aiuto per i militari sbandati e, successivamente, per le prime formazioni partigiane. Il 7 gennaio 1944 la casa è incendiata dai nazifascisti. Vieni arrestata ma riesci a fuggire e raggiungi le formazioni partigiane autonome, dove si trovava tuo fratello Giuseppe (Basso). Entri nella II Divisione Langhe - VI Brigata Belbo, assumendo il falso nome di “Maria Bruni”. Il 19 marzo, durante un rastrellamento, ti fai catturare dai nazifascisti per permettere al resto del gruppo di mettersi in salvo. Portata a Torino, sarai interrogata e torturata in via Asti e all’Albergo Nazionale, quindi imprigionata alle Carceri Nuove. Infine, il 27 giugno, sarai deportata a Ravensbrück dove sarai immatricolata con il n. 44145. Rientrata in Italia dopo la liberazione del campo recuperi la salute in quattro difficili anni, grazie alla solidarietà e all’aiuto dei tuoi compagni di deportazione con i quali vivi l’attività all’Aned di cui divieni vice presidente della Sezione di Torino. Il tuo antifascismo e il tuo impegno politico e civile proseguono nell’attività di testimonianza e di memoria sia con la militanza sindacale (assunta alla Fiat Ferriere vi lavorerai come operaia in vari reparti, dal 1949 al 1979), che politica. Negli ultimi venti anni la tua attività di testimone si è espressa in una presenza capillare e costante a incontri nelle scuole di ogni tipo e ai viaggi ai luoghi di memoria organizzati dall’Aned, dalla Regione Piemonte, dai singoli istituti scolastici. Avevi recentemente pubblicato il volume delle tue memorie. Ti ho scritto tutto? No. Un giorno siamo tornati con te e tanti giovani a Ravensbrück. Il Ponte dei corvi. Dapprima ci eravamo soffermati sulle rive del lago. Il cielo era grigio, il nostro sguardo si era posato sulle acque che si muovevano appena, lambendo la duna di sabbia, mentre, attorno alla foresta, si udiva il gracchiare dei corvi. Su quel suolo desolato per qualche istante avrai certo risentito il risuonare di spari, di colpi… e nella mente ti sarà tornato il canto delle donne deportate: “Non un fiore su quella terra… Non un trillo si udiva in cielo…”. Ma, subito dopo, avrai ricordato la prima volta che c’eri tornata, dopo la Liberazione. Quel giorno c’era ancora lui prima ad osservarti e poi a stringerti fortemente la mano per compiere uniti quel pellegrinaggio d’amore. Ed era stato da quel momento di tanti anni fa che avevi cominciato a parlare.

Ciao, Ferruccio

Triangolo Rosso, maggio 2006

sommario