Triangolo rosso

Condannato all'ergastolo il boia del lager di Bolzano

Il processo al Tribunale militare di Verona - Presenti come parti civili l'Aned, l'Anpi, il Comune di Bolzano e la Comunità ebraica di Merano - Chiesta l'estradizione del criminale che vive indisturbato a Vancouver da oltre 40 anni - Profonda emozione nell'opinione pubblica canadese

 

di Dario Venegoni

 

Alla fine gli hanno dato l' ergastolo. Michael Seifert, il terribile "Misha" del campo di Bolzano, lo stesso che con l'inseparabile amico Otto Sein perseguitò, torturò e uccise i detenuti delle celle del campo per mesi e mesi, dovrà ora impegnarsi in una difficile guerra giudiziaria se vorrà evitare l'estradizione dal Canada - paese nel quale vive dal 1951 - e la detenzione nel nostro paese. La fase conclusiva del processo - iniziato nel giugno scorso - si è svolta con grande intensità nella settimana dal 20 al 24 novembre. L'Aned, l'Anpi, il Comune di Balzano e la Comunità ebraica di Merano si erano costituiti parti civili (l'Aned e l'Anpi erano rappresentate dal presidente della nostra associazione, avv. Gianfranco Maris, e dall'avv. Sandro Canestrini). Davanti al Tribunale militare di Verona presieduto da Giovanni Pagliarulo sono sfilati una ventina di testimoni, in grandissima maggioranza superstiti del campo. Uno dopo l'altro, chi con qualche incertezza, chi con sicurezza, hanno raccontato i delitti orribili di cui sono stati testimoni tra l'estate del ‘44 e la fine di aprile del ‘45. Molti hanno riconosciuto nella foto del ’44 che è stata mostrata in aula l'aguzzino che tante vittime ha mietuto allora. Alla fine del dibattimento il cumulo delle prove e delle testimonianze prodotte in tribunale è risultato tale che agli stessi avvocati difensori non è rimasto che chiedere la concessione delle attenuanti generiche. Era così giovane, hanno detto i difensori, tanto lontano da casa, c'era la guerra e poi era spaventato dai superiori (ufficiali delle SS non certo indulgenti), anche per via di certe mancanze di cui lui e l'amico Otto Sein si erano resi responsabili (allusione allo stupro di una ragazza a Bolzano, che costò a entrambi qualche tempo di detenzione nelle stesse celle del campo). E poi che risulti, in tutti questi 55 anni non ha più commesso alcun reato. In fondo - ha ricordato infine l'avvocato Massimo Ruffo - anche ad Albino Cologna, un italiano che era diretto superiore delle due giovanissime SS, entrambe ventenni ­al termine del processo al quale fu sottoposto nell'immediato dopoguerra furono dati 30 anni di carcere, e non l'ergastolo. "Certo questa difesa - ha ammesso l'avvocato Ruffo - non può chiedere l'assoluzione dell'imputato. Una richiesta che apparirebbe ... addirittura delittuosa, e ripugnerebbe alla mia coscienza di fronte ai crimini commessi dal Seifert allora". Parole pesanti e gravi, come si vede, che non hanno impedito al difensore di chiedere il riconoscimento delle attenuanti. Il senso della tesi sostenuta della difesa era trasparente: essendo trascorsi dai fatti oltre 55 anni, qualunque altra condanna che non fosse stata quella del carcere a vita sarebbe caduta in prescrizione. E Michael Seifert avrebbe potuto continuare a circolare in pace a Vancouver, come un pensionato qualsiasi che va a messa - come effettivamente fa - tutte le domeniche da bravo parrocchiano. Il tribunale non ha accolto questa tesi, riconoscendo al contrario, semmai, delle forti aggravanti. Nei delitti di cui l'ex "Misha" di Bolzano era accusato c'era il segno inequivocabile di un particolare impegno, di un gusto sadico nel torturare, nel violentare, nell' uccidere con spaventosa lentezza, imponendo a vittime inermi inenarrabili sofferenze. E la Corte ne ha tenuto conto nella sentenza. A oltre 55 anni dalla fine della guerra la giustizia ha compiuto un piccolo ma storico passo avanti. Un processo che si era cercato di insabbiare 40 anni fa si è svolto, e un criminale di guerra ha avuto la condanna che si meritava. Il Pm Bartolomeo Costantini ha fatto in pochi mesi ciò che altri inquirenti colpevolmente non avevano voluto fare nei decenni scorsi. Ben 18 superstiti, sui 24 convocati a Verona, sono riusciti a presenziare di persona al processo e a testimoniare. Testimonianze di peso e di valore processuale diverso, ma di identico significato: per 4 giorni a Verona è stato ricostruito il clima insopportabile delle famigerate "celle", le prigioni di Bolzano. E un lager certamente troppo poco conosciuto è tornato alla luce con tutti i suoi orrori, con le torture, le vessazioni, le privazioni alle quali i deportati furono sottoposti. "Adesso posso morire in pace", ha detto al termine della deposizione Giovanni Boni, uno dei testimoni chiave del processo (che a dire la verità non sembra aver voglia di morire poi così presto, per fortuna).

Ampio risalto sulla stampa locale

Il processo di Verona ha avuto ampio risalto sulla stampa locale. Il "Mattino" e l"'Alto Adige" di Bolzano hanno dedicato moltissimo spazio al dibattimento, alla requisitoria, alle arringhe e infine alla sentenza, riportando anche le nette posizioni assunte in questo processo dal sindaco di Bolzano. "La Repubblica", "la Stampa", la Rai e Radio24 hanno dedicato ampi servizi al caso, ma in generale i mezzi di informazione italiani si sono dimostrati assai insensibili, anche di fronte alla drammaticità dei racconti dei testimoni e alla gravità della condanna inflitta al Seifert. Per contro il processo è stato seguito dalla prima all'ultima udienza da Rick Ouston, inviato del "Vancouver Sun", il maggiore giornale della città nella quale l'ex SS vive dal 1951. Il giornale, da noi interpellato, ha subito dedicato alla vicenda grande risalto, destando grande scalpore nell'opinione pubblica canadese con le sue rivelazioni (la notizia del processo ha fatto salire le vendite fino a quasi 400.000 copie). Anche in questo modo si è rapidamente creato un movimento d'opinione - di cui parte essenziale è il Congresso nazionale ebraico del Canada - a favore di una rapida estradizione del criminale di guerra verso il nostro paese. Per parte sua, l'Aned ha realizzato - consapevole di affrontare un gravoso impegno - la ripresa integrale di tutto il processo, che è stato filmato e registrato. Il progetto è quello di conservare le registrazioni come documento storico per il futuro, e di produrre un film che sintetizzi queste storiche 5 giornate a Verona; un film da fare circolare nelle scuole e da proporre alle tv, per fare conoscere la dura realtà di questo campo. Anche il nostro sito Internet - che nei giorni del processo ha fatto registrare un record assoluto di contatti - sarà impegnato in questo sforzo di documentazione: il nostro progetto è quello di pubblicare tutti gli atti del processo, come fondamento anche per il futuro della memoria di ciò che fu questo campo troppo presto dimenticato.

I capi di imputazione per chiedere l’ergastolo

Dei 15 capi di imputazione contestati all'ex SS, 9 sono stati giudicati dal Tribunale militare di Verona sufficienti per meritare al Seifert il carcere a vita. "Misha è stato invece assolto dalle altre 6 imputazioni, che sono sembrate ai giudici non sufficientemente dimostrate. Si trattava in particolare dei casi di violenze e di uccisioni - indicate di seguito ai punti 1, 2, 3, 4, 10 e 13 - avvenute spesso in presenza del già citato. Albino Cologna (al quale, essendo superiore di grado, deve evidentemente essere attribuita la maggiore responsabilità del delitto).


Torture, uccisioni, stupri: ogni giorno un crimine

Realizzate dalla nostra associazione le riprese integrali di tutte le udienze dibattimentali

 

1 La sera di un giorno imprecisato del febbraio 1945, nelle celle d'isolamento del lager, in concorso con il Cologna, con il Sein e con un italiano rimasto ignoto, portava un prigioniero non identificato nel gabinetto e lo torturava lungamente anche con il fuoco per indurlo a rivelare notizie, cagionandone la morte che sopravveniva la mattina del giorno successivo;

2 in un giorno imprecisato ma comunque compreso fra l'8 gennaio e la fine di aprile 1945, nelle celle d'isolamento del lager, in concorso con il Sein uccideva una giovane prigioniera ebrea non identificata infierendo sul suo corpo con colli di bottiglie spezzati;

3 in un giorno imprecisato verso la fine del mese di gennaio 1945, nella cella d'isolamento posta di fronte a quella contraddistinta dal numero 29, su ordine del Cologna e in concorso con il Sein uccideva una prigioniera di 17 anni, dopo averla torturata per cinque giorni con continue bastonature e versandole addosso secchi d'acqua gelida;

4 in un giorno imprecisato ma comunque compreso fra il 20 gennaio ed il 25 marzo 1945, nelle celle d'isolamento del lager, in concorso con il Sein e il Cologna, uccideva un prigioniero non identificato che, scoperto a sottrarre generi alimentari e di conforto da un magazzino, era stato ristretto in cella, lasciandolo senza cibo per tre giorni e bastonandolo fino a cagionarne la morte;

5 in un giorno imprecisato ma comunque compreso fra il 20 gennaio ed il 25 marzo 1945, nelle celle d'isolamento del lager, in concorso con il Sein, uccideva un prigioniero ebreo di circa 15 anni rimasto non identificato, lasciandolo morire di fame;

6 fra la fine di febbraio e l'inizio di marzo 1945, in concorso con il Sein, nelle celle di isolamento del lager, da prima usava violenza carnale nei confronti di una giovane donna incinta non meglio identificata; indi le lanciava addosso secchi di acqua gelata per convincerla a rivelare notizie ed infine la uccideva;

7 nella notte tra il 31 marzo (Sabato santo) e il primo aprile (Pasqua) 1945, in concorso con il Sein, nelle celle di isolamento del lager, dopo aver inflitto violente bastonature al giovane prigioniero Pezzutti Bartolo, lo uccideva squarciandogli il ventre con un oggetto tagliente;

8 nel marzo 1945, in concorso con Sein, Cologna ed altri militari tedeschi non identificati, sul piazzale del lager uccideva con pugni e calci un prigioniero che aveva tentato la fuga;

9 fra la fine di marzo e l'inizio di aprile 1945, sul piazzale del lager, in concorso con Sein e Cologna, colpiva con calci due internati non identificati e poi li finiva con colpi di arma da fuoco;

10 fra la fine di marzo e l'inizio di aprile 1945, nelle celle di isolamento del lager, in concorso con il Sein, uccideva un giovane prigioniero non identificato massacrandolo e poi ne introduceva il cadavere nella cella completamente buia nella quale era ristretta una internata la quale decedeva di lì a poco;

11 fra la fine di gennaio e il mese di febbraio 1945, nelle celle di isolamento del lager, in concorso con il Sein, torturava lungamente un giovane prigioniero non identificato anche con l'infilargli le dita negli occhi, cagionandone la morte;

12 fra il 1° e il 15 febbraio 1945, nelle celle di isolamento del lager, in concorso con il Sein, uccideva la prigioniera Leoni Giulia in Voghera, ebrea e la figlia di costei Voghera Augusta in Menasse, torturandole per circa due ore, versando loro addosso acqua gelida e infine strangolandole;

13 il 1° aprile 1945 (giorno di Pasqua), nelle celle d'isolamento del lager, in concorso con il Sein, uccideva un giovane prigioniero non identificato dopo averlo torturato per circa 4 ore;

14 in un giorno imprecisato dei mesi di febbraio o marzo 1945, nei locali dell'infermeria del lager, in concorso con il Sein, picchiava con un manganello un giovane italiano rimasto non identificato fino a fargli perdere coscienza e lo lasciava nell'infermeria dove il giovane decedeva per le ferite riportate;

15 in un giorno imprecisato del dicembre 1944, e comunque poco prima del giorno 25, su ordine del responsabile della disciplina maresciallo Hans Haage e agendo in concorso materiale con il Sein, sul piazzale del lager, dopo aver legato alla recinzione del campo un prigioniero che aveva tentato la fuga, alla presenza di tutti gli altri prigionieri fatti appositamente schierare a titolo di ammonizione, lo colpiva selvaggiamente e lo lasciava legato alla recinzione, cagionandone la morte che sopraggiungeva entro la mattina del giorno successivo.


“Ma i crimini nazifascisti sono tuttora impuniti”

Gianfranco Maris

 

Il Tribunale militare di Verona ha ritenuto il caporale delle SS Michael Seifert, operante, durante l'occupazione tedesca, nel campo di concentramento di Griez in Bolzano, responsabile dell'omicidio, con premeditazione, crudeltà e sevizie, di nove internati in quel campo, condannandolo alla pena dell'ergastolo. L'istruttoria del Procuratore militare Costantini è stata diligente ed appassionata e l'opera di giustizia del Tribunale sollecita e corretta. E, tuttavia, le vicende della criminalità nazista e fascista (essendo i detenuti assassinati internati anche ad opera dei "collaboratori" di Salò, i quali consegnavano alle truppe di occupazione tedesche le proprie vittime per il "trattamento di repressione") restano del tutto impunite. Di tutti i crimini commessi in quel periodo dai nazisti e dai fascisti in Italia soltanto alcuni sono approdati alla punizione, con una sentenza di condanna: quelli commessi da Theo Saevecke in Milano il 10 agosto I944 e quelli commessi in Liguria da Hengel (Tribunale militare di Torino, sentenze del 1999) e quelli commessi da Michael Seifert in Griez di Bolzano (Tribunale militare di Verona, sentenza del 2000). Su tutti gli altri crimini, con almeno 15mila vittime, bambini, donne e vecchi, cittadini inermi del tutto estranei alla guerra di liberazione, è caduto il silenzio, anche se i nomi dei responsabili furono consacrati in atti puntuali di indagine giudiziaria, da parte delle truppe inglesi ed americane. I tre processi celebrati nel 1999 e nel 2000 avanti i Tribunali militari di Torino e di Verona provano che i crimini di guerra, dapprima colposamente abbandonati senza indagini negli archivi della Procura Generale militare del Regno, furono poi colposamente sottoposti a "sospensione dell’”istruttoria” dalle Procure militari della Repubblica a far tempo dal 26 gennaio 1959. Nel fascicolo del processo di Verona troviamo la traccia del misfatto: la relazione sui crimini di Bolzano trasmessa alla Procura Generale militare dal ministro della Guerra il 27 aprile 1946, l'instaurazione del procedimento contro il tenente Tito, il maresciallo Haage, l'SS Michael Seifert e Otto Sain, il soldato Calogna, gli ausiliari Hilde Loscher e Paola Plattner e Hans Majersrki, l'ordine di provvisoria archiviazione degli atti da parte del Procuratore Generale Enrico Santacroce, l'esecuzione dell'ordine di sospensione dell'istruttoria da parte delle Procure e dei Giudici istruttori militari nel gennaio 1959. Nel fascicolo del processo di Verona, purtroppo, troviamo traccia anche dell'archiviazione di due procedimenti aperti per omicidi plurimi nei confronti di Karl Friedrick Titho, comandante del lager di Bolzano (procuratore capo Schacht, Dortmund 29/9/1998 e Giudice delle indagini preliminari del Tribunale militare di Verona 15/3/1999). Sappiamo inoltre, che anche il procuratore militare del Tribunale di La Spezia ha chiesto l'archiviazione per un procedimento a carico di Karl Friedrick Titho, sempre per omicidi plurimi, quale comandante del lager di Fossoli. Questa situazione non può essere tollerata, per lo scempio che induce nella conoscenza della verità storica dell'occupazione tedesca del nostro Paese e della collaborazione fascista con i tedeschi occupanti. L'Aned, l'Anpi e la Fiap si sono impegnate, per contrastare un tale esito, a pubblicare tutti gli atti di tutti i processi sommersi e non salvati, che debbono comunque vedere la luce, anche se i processi non potranno più essere celebrati, per consentire finalmente agli italiani di avere memorie che li uniscano.

Da Triangolo Rosso, a cura dell'ANED di Milano, dicembre 2000, per gentile concessione


Una Corte canadese in Italia per interrogare i testimoni a carico di Michael "Misha" Seifert

Dibattito - Non si abusi della pazienza delle vittime -  Un intervento di Dario Venegoni, figlio di due ex deportati a Bolzano, dopo le prime udienze a Verona.  

 

Una Corte canadese è stata in Italia per due settimane a partire dal 26 settembre per interrogare i testimoni che accusarono l'ex SS del campo di Bolzano di orribili delitti tra l'estate del 1944 e la primavera del 1945. Seifert fu condannato all'ergastolo in contumacia dal Tribunale militare di Verona nel novembre del 2000, e la sentenza fu confermata nei successivi gradi di giudizio, diventando definitiva. La decisione di inviare a Verona una Corte canadese si inserisce nel quadro del procedimento per la revoca della cittadinanza canadese di Seifert, pendente da diverso tempo a Vancouver. Una Corte federale ha infatti accolto l'eccezione avanzata dalla difesa - sostenuta dall'avvocato Doug Christie - secondo la quale Seifert è stato condannato con un processo svolto secondo le norme italiane, e non quelle canadesi. Quindi una Corte del Canada è venuta in Italia ad ascoltare i testimoni. La corte era composta da un giudice, un pubblico ministero, un difensore, un cancelliere e diversi impiegati. Purtroppo alcuni dei circa 20 testimoni di accusa ascoltati a Verona nel 2000 oggi sono deceduti o impossibilitati a partecipare a una udienza di questo tipo. Le udienze di Verona segnano oggettivamente un punto nella battaglia ingaggiata dall'ex criminale nazista di Bolzano contro la revoca della cittadinanza canadese. Ma non cambia nulla nell'altro procedimento, forse per lui più importante, relativo alla estradizione in Italia. La pratica, ottenuto l'avallo delle autorità giudiziarie competenti, è ora nelle mani del governo di Ottawa. Nel corso dell'ultima udienza veronese, la Corte ha deciso di non trasferirsi a Trento, dove Nella Lilli Mascagni, superstite di Bolzano, era disposta a testimoniare sui delitti di Seifert e del suo compare Otto Sain. Così sabato 8 ottobre la trasferta italiana è terminata. Rientrata in Canada, la Corte deciderà se ascoltare o meno nuovamente l'ex criminale di guerra nazista. Raccoglierà certamente le testimonianze di due studiosi circa il comportamento di altri criminali di guerra dopo la fine del conflitto. La sentenza di primo grado è prevista verso la fine del 2006.


Dibattito: è un processo giusto?

Le udienze della Corte canadese in trasferta a Verona si prestano ad alcune considerazioni. Pubblichiamo in proposito un intervento di Dario Venegoni, autore della ricerca Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano, e figlio di due deportati in quel campo. Saremo lieti di ospitare al riguardo altri interventi. Sul caso dell'ex criminale nazista questo sito ha già pubblicato un ricco dossier  

 

Dario Venegoni

 

In una sala dell’Hotel Holiday Inn di Verona una Corte canadese in trasferta sta celebrando un nuovo processo attorno al caso di Michael Seifert, il terribile “Mischa” del campo di Bolzano. Seifert è un criminale di guerra che dal 1951 vive a Vancouver, in Canada, e che la giustizia militare italiana ha già condannato all’ergastolo per gli orribili delitti commessi tra il 1944 e il 1945, quando prestava servizio come caporale delle SS nel Lager di via Resia. Grazie al lavoro di indagine del procuratore Bartolomeo Costantini, che pescò il fascicolo relativo a Seifert tra le carte  dell’”Armadio della vergogna”, si arrivò alla sentenza di primo grado nel novembre del 2000. Seifert ricorse in appello, e perse nuovamente: nell’ottobre del 2001 la Corte Militare d’Appello di Verona confermò la condanna all’ergastolo. Altro ricorso, e altra sentenza, questa volta definitiva: nell’ottobre del 2002 la Corte Suprema di Cassazione confermò la condanna a carico del criminale nazista. A seguito di queste sentenze, l’Italia ha avanzato richiesta di estradizione del condannato. Seifert si è opposto in ogni modo: ha cercato di farsi passare per demente, ha cercato di ricusare il funzionario del governo incaricato della pratica - “colpevole” a suo giudizio di essere ebreo – e da ultimo ha fatto intervenire nel dibattimento un vicino di casa, suo degno sodale, Peter Makelke, un ex SS già guardiano nel campo di Bolzano, che dichiarò senza vergogna di non aver  "mai sentito parlare" di torture e omicidi nel campo. Tutto fu inutile. La giustizia canadese concluse che tecnicamente non sussistevano motivi per opporsi alla richiesta di estradizione del criminale nazista verso l’Italia. La palla è così passata al governo di Ottawa, che aveva promesso di decidere in merito entro lo scorso giugno, ma che evidentemente non aveva fretta di esporsi. “Mischa”, che allora aveva vent’anni, oggi è un anziano corpulento signore di 81 anni. Forse a Ottawa pensano che attendendo ancora un po’ il problema della sua estradizione potrebbe risolversi da solo, per via naturali. La giustizia canadese ha però aperto nel frattempo un altro procedimento, relativo al diritto di Seifert di conservare la cittadinanza di quel paese. È evidente che il criminale di guerra ha mentito alle autorità nordamericane già nel 1951, quando giunse a Vancouver dalla Germania. Disse di essere nato in una città diversa da quella vera, e tacque sul suo passato di SS di servizio a Fossoli prima e a Bolzano poi. Poiché queste ragioni sarebbero sufficienti a togliere la cittadinanza al colpevole di tali omissioni, la causa sembrava finita prima ancora di iniziare. E invece no. Seifert ha assunto un legale ultra-nazista, noto per le sue animose arringhe a difesa di altri criminali nazisti, tal Doug Christie. E questi ha avanzato una serie di eccezioni, prima tra tutte quella che le accuse al suo assistito non sono state raccolte secondo i canoni della giustizia canadese, e quindi non sono valide. E così, incredibilmente, una Corte canadese oggi è in Italia, a rifare un processo che meglio, con più mezzi e più tempo a disposizione ha già svolto in ben tre gradi di giudizio la giustizia italiana.Secondo le leggi canadesi, le testimonianze giurate raccolte lungo l’arco di oltre 5 decenni, nelle quali decine e decine di superstiti del campo di Bolzano hanno accusato Michael Seifert di torture e di uccisioni nelle celle della prigione del campo di Bolzano non hanno alcun valore, L’unica verità che conta è quella che si afferma in giudizio, nel corso del processo.Davanti al Tribunale Militare di Verona, nel 2000, passarono una ventina di testimoni oculari, che con grande sforzo personale parlarono degli orrori del campo e delle responsabilità individuali di “Mischa”. Oggi la Corte canadese ha chiesto si riascoltarli tutti. Se ne presenteranno alla fine solo 11: il tempo si è purtroppo incaricato di sfoltire la schiera di chi può ancora testimoniare. La Corte, dando prova di scarsissima conoscenza dei fatti, ha chiesto ai superstiti di esibire prove concrete della loro deportazione: documenti che provino le date e le circostanze di cui si parla. Forse qualcuno avrebbe dovuto informare questi giudici d’oltre Atlantico che le SS non rilasciavano un regolare biglietto ai “passeggeri” dei loro vagoni piombati verso i Lager. E che a Bolzano per giorni e giorni, alla fine dell’aprile 1945, i nazisti bruciarono ogni documento della loro gestione del campo. L’escussione dei testimoni avviene in un clima irreale, in una sala di albergo dove si è riprodotto un locale di tribunale canadese, con tanto di bandiera con la foglia d’acero. L’avvocato Christie  aggredisce senza ritegno i testimoni, cerca di farli cadere in contraddizione, fa domande su dettagli che i superstiti non possono conoscere o ricordare (a che velocità andava il convoglio che andava verso il campo, com’era composta la scorta, e cose del genere). A Marisa Scala, coraggiosa partigiana torinese, che a 86 anni conserva lucidità e combattività da vendere, ha rinfacciato, libri alla mano, di aver sbagliato una data di un suo colloquio nel campo con Andrea Gaggero,  con l’intento di sminuire l’attendibilità della testimonianza di una donna che vide allora Michael Seifert insieme all’inseparabile SS Otto Sain (irreperibile da decenni) torturare un povero ragazzo nelle celle del Lager, mettendogli con violenza le dita negli occhi. Il vecchio “Mischa” è comodo in poltrona nella sua villetta in Commercial Street a Vancouver. A Verona ci ha mandato il suo scagnozzo, che si è dato il compito di infierire sulle vittime di allora del suo assistito. Marisa Scala a 86 anni ha preso volontariamente la strada da Torino a Verona solo per amore di giustizia. Essendo una testimone, e non una imputata, non ha avuto diritto all’assistenza di un legale di fronte alle prepotenze dell’avvocato Christie. Di fronte a questo indegno spettacolo viene quasi da chiedersi se i superstiti del campo di Bolzano non abbiano peccato ancora una volta di un eccesso di generosità, accogliendo l’invito a testimoniare rivolto loro da una Corte canadese che non attribuisce alcun valore ai tre gradi della giustizia italiana.  Converrà ricordare che Michael Seifert è uno dei criminali nazisti più noti nella storia della seconda guerra mondiale in Italia. Esistono su di lui – e sul suo compare Otto Sain – decine e decine di atti d’accusa raccolti già nell’immediato dopoguerra nei tribunali italiani e altre decine e decine di testimonianze scritte in altrettanti libri di memoria di vittime del campo. Il professor Egidio Meneghetti, farmacologo di fama internazionale, che fu rettore dell’Università di Padova dopo essere stato liberato dal Lager di Bolzano, descrisse “Mischa” in una famosa “canta” in veneto (Bortolo e l’ebreeta) che da sola dovrebbe bastare a ricordare imperituramente di che pasta era fatto l’uomo che ancora oggi si permette di fare angariare le proprie vittime di allora. Per la storia non sussistono dubbi di sorta sulle responsabilità individuali di questo criminale di guerra. Per la giustizia, dopo i tre gradi di giudizio nel corso dei quali Michael Seifert decise autonomamente di non comparire, preferendo farsi rappresentare da alcuni legali, neanche. Michael Seifert, quando era un SS di servizio nel Lager, si rese responsabile di delitti efferati, di cui porta piena e personale responsabilità. I suoi vicini di casa, i fedeli della parrocchia di Vancouver che da decenni lo vedono ogni domenica alla messa, e che hanno addirittura fatto una colletta per pagargli le spese processuali, dopo la sentenza della Cassazione sanno di avere a che fare con un criminale di guerra che ha ucciso con le sue proprie mani donne giovani e anziane indifese e diversi prigionieri, per il solo gusto di uccidere e di fare del male, con sadismo estremo. Se quest’uomo debba essere o no considerato un cittadino canadese è affare del Canada. Se si vogliono tenere un simile criminale, che se lo tengano. Ma non abusino della pazienza e dell’amore di giustizia di chi a Seifert e ai suoi pari ha già pagato, allora, un prezzo semplicemente inimmaginabile.

dal sito www.deportati.it, novembre 2005

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