Triangolo rosso
VI FURONO RINCHIUSI MIGLIAIA DI CIVILI JUGOSLAVI
Venne istituto dopo l’aggressione alla Jugoslavia e rimase in funzione
fino all’8 settembre 1943. Le durissime condizioni di vita per donne, bambini e anziani
Gonars, un campo di concentramento fascista in Italia
di Angelo Ferranti
La decisione è dello Stato maggiore dell’Esercito su ordine di Mussolini: Gonars, come Arbe, Renicci e gli altri campi di concentramento istituiti la maggior parte sul territorio italiano (oltre che in Slovenia e in Croazia annesse dopo l’aggressione dell’Italia alla Jugoslavia) sono una scelta obbligata. Le forme di opposizione e di resistenza da parte delle popolazione e del movimento partigiano che si manifestano subito dopo l’intervento militare italiano costringono lo Stato maggiore ad assumere misure di repressione sempre più violente: la fucilazione degli ostaggi, la deportazione indiscriminata e feroce dei familiari dei “ribelli”, lo sgombero di interi paesi. Donne,vecchi e bambini vengono trasferiti negli innumerevoli campi di concentramento gestiti dal ministero dell’Interno e direttamente anche dal Regio esercito. I loro nomi sono Gonars, Arbe,Visco, Monigo, Chiesanuova, Renicci, Ellera, Colfiorito, Pietrafitta, Tavernelle, Cairo Montenotte. Deportazione e coercizione, anche se non paragonabili ai campi di sterminio nazisti, collocano l’Italia di Mussolini tra i Paesi accusati di crimini di guerra. La devastazione dei centri abitati, la rappresaglia e l’uccisione degli ostaggi, la deportazione delle popolazioni dai territori occupati non giustifica l’azione militare. Chi la compie se ne assume la piena responsabilità individuale. I campi di concentramento, la politica fascista di internamento cui si accompagna la pulizia etnica, l’azione pervicace del fascismo volta a togliere identità a quelle popolazioni, questo è il risultato della partecipazione dell’Italia alla svolta aggressiva nella politica balcanica voluta da Hitler in preparazione dell’operazione “Barbarossa” contro l’Unione Sovietica. I Balcani sono una parte importante della politica di annessione della Germania nazista, che ha come obiettivo finale l’assoggettamento di tutta l’Europa e della Russia sovietica. Il 6 aprile 1941 le forze dell’Asse – senza che venga dichiarata la guerra – aggrediscono la Jugoslavia. L’Italia che partecipava con la 2a Armata, in pochi giorni giunge a Lubiana, senza incontrare alcuna resistenza da parte dell’esercito della monarchia jugoslava. La Jugoslavia viene così smembrata e divisa tra le forze dell’Asse. L’Italia ottiene una parte della Slovenia: la provincia di Lubiana, una parte della Dalmazia con le province di Spalato, del Cattaro con l’allargamento di quelle di Fiume e Zara. Il Montenegro diviene un protettorato italiano, il Kossovo e parte della Macedonia annessi all’Albania. La Croazia si costituisce in regno formalmente indipendente, ma affidata ad Aimone di Savoia Aosta. È la fase di massima espansione della strategia di media potenza imperialistica dell’Italia che sposta ulteriormente i suoi confini a est. L’obiettivo è quello di assoggettare intere popolazioni. Nei confronti di centinaia di migliaia di sloveni e croati – “gli allogeni”, come vengono definiti – si cerca di assimilarli con emanazione di leggi, decreti e bandi e soprattutto con la forza e la violenza. L’Alto commissario per la provincia di Lubiana, il generale Emilio Grazioli, e quanti destinati al controllo e alla repressione di questi popoli, si accorsero ben presto del fallimento di questa politica di annessione. La resistenza delle popolazioni e del movimento di liberazione jugoslavo non accettava l’occupazione. La scelta del governo fascista fu quella della italianizzazione forzata: la scuola, la burocrazia, la pressione economica, la sostituzione e il cambiamento della toponomastica, di nomi e cognomi di migliaia di cittadini costituiscono gli strumenti cui si affida la presenza politica e militare in queste terre. Si impone con la costrizione forzata una demolizione delle identità e della storia di quei paesi e al tempo stesso si propaganda una pretesa superiorità della lingua e della cultura italiana sulle lingue e le cultura slave. È la fase più aggressiva del mito dell’Impero. È dunque in questo quadro storico e politico che si manifesta la politica repressiva del fascismo verso le minoranze slave. Sorgono i campi di concentramento italiani in cui si manifesta tutta la politica di internamento, di repressione, fatta di crudeltà e di violenze, della deportazione e del trasferimento di intere comunità, di donne, vecchi e bambini. In Friuli Venezia Giulia, sono state commessi crimini ben più gravi – si pensi a quanto avvenne tra l’ottobre del 1943 e il 1945 alla Risiera di San Sabba, a Trieste – da parte dei nazisti con la collaborazione degli sgherri della repubblica di Salò, ma Gonars, Arbe e gli altri 80 campi di internamento e di lavoro costituiti sul territorio italiano, sloveno e croato nel 1941 sono luoghi di sofferenza e di morte di cui la totale responsabilità va attribuita al regime mussoliniano e attuata dall’ esercito con il supporto, per le azioni più feroci, delle camicie nere. I campi resteranno in funzione persino dopo l’avvento del governo Badoglio. Si svuoteranno definitivamente l’8 settembre 1943 con la capitolazione di tutto l’esercito italiano e lo sfascio dell’apparato burocratico. “Campo di concentramento per prigionieri di guerra N. 89 sc. Posta militare 3200 - Gonars, Italia” È questa la dizione con la quale la burocrazia del tempo indica il campo di concentramento di Gonars in cui sono reclusi soprattutto anziani, donne e bambini. Gonars è un comune della provincia di Udine, poco distante da Palmanova; si trova in posizione centrale rispetto ai confini con la Slovenia, che può essere raggiunta sia attraverso la più vicina Gorizia che nella direzione di Trieste. Questo luogo viene scelto per la relativa facilità di accesso; le popolazioni locali praticamente del campo non hanno notizia e soprattutto non sanno chi e in quali condizioni vi è recluso. Gli unici informati e a conoscenza di quanto accade sono i militari. È presente un nutrito numero di ufficiali e di soldati, carabinieri, che si occupano della gestione del campo. La popolazione locale, a maggioranza contadina, è coinvolta marginalmente. Chi gestisce il campo requisisce latte (nei documenti ritrovati si conoscono i dati delle quantità di latte fornite giornalmente, il numero delle vacche, con la conferma della insufficienza dei rifornimenti tenendo conto dell’alto numero di bambini presenti nel campo) e le poche derrate disponibili per sostentare quanti vi sono ristretti. Il dato che emerge da tutta la documentazione e dalle testimonianze rese e disponibili attraverso documenti dell’archivio di stato di Udine e dell’archivio centrale, nonché dalle ricerche di Tone Ferenc e di Nadja Pahor Verri, il primo storico di grandissimo valore recentemente scomparso e autore di molte ricerche sulla deportazione e le conseguenze della presenza del fascismo e dell’esercito italiano in Slovenia e Croazia, la seconda autrice su impulso del comune di Gonars di un libro molto importante dal titolo Oltre il filo pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario della liberazione del campo. È uno sforzo coltivato insieme da storici, testimoni e istituzioni, in primo luogo il comune di Gonars, per fare affiorare una storia smarrita, volutamente ignorata e per la quale nessuno dei responsabili di allora ha pagato. Si legge nella importante ricerca e pubblicata nel volume Un campo di concentramento fascista Gonars 1942-1943 curata da Alessandra Kersevan e voluta da quel Comune in occasione del sessantesimo della Liberazione: «Il campo, per la sua vastità, l’imponenza del suo sistema di recinzione e di sorveglianza, impressionò sia gli internati al loro arrivo che gli abitanti di Gonars, che avevano visto sui loro terreni sottratti alle attività agricole sorgere questo enorme manufatto come qualcosa che si inseriva prepotentemente nella loro vita, ma con cui non avevano nessun rapporto: cresciuto per decisioni lontane, imponderabili e destinato comunque a rimanere qualcosa di estraneo, esistente in una dimensione vicina e parallela, impossibile da incontrare, da decifrare, qualcosa di incomprensibile, così come le enorme sofferenze che avrebbe contenuto». Gonars diventa così il più grande campo di concentramento per internati civili “al di qua” del vecchio confine”: Arbe, in Croazia era infatti nei territori annessi nel 1941. Tra i due campi vi è un intenso scambio di civili in prevalenza sloveni e croati. Da Gonars passerà anche Anton Vratosa, un dirigente dei partigiani jugoslavi, molto legato alla Resistenza italiana. Cinquemila erano le presenze previste. La maggiore presenza di deportati si registra nell’ agosto del 1942. Per il periodo gennaio-febbraio 1943, il più terribile per chi era nel campo, emergono alcuni documenti di provenienza ecclesiastica di grande interesse. Il I cappellano militare capo, monsignor Ivo Bottacci che ha visitato il campo riporta nella sua relazione con precisione i seguenti dati. Gli internati sono divisi in due zone, una destinata ai “repressivi” (i più pericolosi con i loro familiari) e l’altra dei “protettivi”, quelli meno sospettati. Nella zona dei “repressivi” vi sono 711 bambini, 1210 donne, e 206 uomini, mentre nella zona dei “protettivi” vi sono 855 bambini, 708 donne e 491 uomini. In totale nel campo di Gonars vi erano detenute, all’inizio del 1943, 4181 persone, in grande maggioranza donne e bambini. Il 31 agosto 1943, alla vigilia dell’8 settembre, un ultimo censimento indicava che a Gonars erano presenti 4503 internati. Si trattava quindi del più grande campo di concentramento italiano.
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Chi erano gli internati del campo di Gonars
I primi internati furono ufficiali e sottufficiali dell’ex esercito jugoslavo ai quali si aggiunsero quasi subito i civili arrestati nel corso dei rastrellamenti antipartigiani in Slovenia. Ad essi si aggiunsero successivamente studenti universitari, operai, professionisti, artigiani, politici gli appartenenti alla Resistenza slovena e quindi intere comunità, intere famiglie sospettate di avere aiutato i partigiani, vecchi, donne e bambini. La storia della deportazione nei campi di concentramento italiani è sostanzialmente misconosciuta. Si deve a queste ricerche e alla iniziativa coraggiosa dell’Amministrazione di Gonars se tante vicende umane e immani sofferenze sono emerse dall’oblio del nostro passato. Un notevole contributo alla ricostruzione della memoria del campo di Gonars si è avuto da parte delle autorità jugoslave e successivamente da quelle slovene, croate e serbe. A Gonars, 453 internati, vittime inermi di quella barbarie, sono sepolti oggi nel sacrario voluto dall’Amministrazione comunale e inaugurato nel 1973. Nessuno di quanti ebbero responsabilità per quegli accadimenti è stato condannato.
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PER SAPERNE DI PIÙ
Oltre il filo di Nadja Paor Verri Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943 di Alessadra Kersavan, pubblicati entrambi dal Comune di Gonars Un campo di sterminio fascista: l’isola di Rab, di Franc Potocmik Si ammazza troppo poco e Arbe, Rab, Rabbissima di Tone Ferenc, a cura dell’Istituto per la Storia moderna di Lubiana (edizione italiana)
www.Comune.Gonars.ud.it
www.GonarsMemorial.org, che pubblica l’elenco completo dei campi di concentramento creati dal governo fascista per gli jugoslavi
Triangolo Rosso, novembre 2005