Triangolo rosso
Così il terrore nazista ha reciso la “Rosa Bianca”
Quei giovani tedeschi ghigliottinati da Hitler
Un film di imminente programmazione rievoca la straordinaria determinazione di Sophie Scholl, l’unica ragazza di un gruppo di studenti tedeschi di Monaco di Baviera che, nel 1943, animarono un gruppo clandestino che invano si oppose al nazismo. Così il terrore nazista ha reciso la “Rosa Bianca” Quei giovani tedeschi ghigliottinati da Hitler “Orso d’argento” al Festival del cinema di Berlino 2005 per la miglior regia e la miglior interpretazione femminile.
Il film presentato in Italia dall’Istituto Luce, ripercorre gli ultimi sei giorni (17-22 febbraio 1943) della vita di Sophie Scholl, partendo proprio dal suo punto di vista: quello di una giovane donna coraggiosa ed esuberante che preferisce la morte piuttosto che rinnegare i suoi ideali, ossia quelli della “Rosa Bianca”. Attraverso la resistenza e denuncia del regime nazista, Sophie Scholl insieme ai suoi compagni e al loro singolare impegno civile, diventano il simbolo di una lotta pacifica contraria a qualsiasi forma di violenza e oppressione. Pur seguendo gli eventi storici in modo molto fedele e dettagliato, a partire dai verbali originali degli interrogatori, il film è stato scritto e diretto come un lungometraggio. Attraverso un’accorta rivisitazione della storia, il giovane regista Marc Rothemund riporta in vita l’ormai mitica figura di Sophie Scholl e a capo di questa operazione ha scelto come protagonista Julia Jensch. Accanto alla Jensch, Fabian Hinrichs recita la parte di Hans Scholl, Alexander Held è l’ufficiale inquisitore della Gestapo Robert Mohr, André Hennicke il giudice Roland Freisler e Johanna Gastdorf interpreta il ruolo di Else Gebel, compagna di cella di Sophie Scholl. Marc Rothemund continua la sua fortunata collaborazione con Fred Breinersdorfer (sceneggiatore), Sven Burgemeister (produttore), Martin Langer (direttore della fotografia) e Hans Funck (montaggio).
Ibio Paolucci
«Noi non taceremo, noi siamo la voce della vostra cattiva coscienza; la Rosa Bianca non vi darà pace». Questa frase si poteva leggere nel quarto volantino della piccola organizzazione antinazista di Monaco, la cui attività fra il giugno del 1942 e il maledetto 18 febbraio del 1943, costò la vita ai suoi componenti: cinque studenti dell’università della capitale bavarese (Hans Scholl, sua sorella Sophie, Christoph Probst, Alexander Schmorell, Willi Graf) e il professore dello stesso ateneo Kurt Huber. Tutti condannati a morte con sentenza eseguita con la ghigliottina. La loro attività consistè sostanzialmente nella diffusione di sei volantini. I primi cinque vennero diffusi attraverso la posta e tutto filò liscio. Il sesto venne portato all’interno dell’università dai due fratelli Scholl con un gesto tanto eroico quanto imprudente, che venne scoperto dal bidello Jacob Schmid, un fanatico nazista, che si lanciò contro i due giovani urlando: «Siete in arresto, siete in arresto». I due fratelli erano usciti di casa con i volantini, suddivisi in piccole risme, contenuti in una valigia. Lasciarono i volantini nelle scale, vicino alle porte delle aule, negli angoli dei corridoi, sui davanzali delle finestre. Poi Hans e Sophie decisero di uscire, meglio non rischiare ulteriormente. Ma ecco che quando già sono sulla strada si accorgono che nella valigia è rimasto un pacco di volantini. Prudenza avrebbe voluto che se ne sbarazzassero al più presto, gettandoli da qualche parte. Invece no. Decidono il grande gesto. Tornano nell’atrio dell’ateneo, salgono lo scalone e dalla galleria lasciano cadere quelle ultime copie. Il gesto non passa inosservato. Il bidello che vede svolazzare quei fogli solleva lo sguardo e coglie la ragazza che non ha fatto in tempo a tirarsi indietro. Segue l’arrivo immediato della Gestapo e poi l’arresto anche degli altri componenti, nonostante i tentativi dei due fratelli di addossarsi tutte le responsabilità. La Gestapo torturò per quattro giorni Sophie Scholl, dal 18 al 21 febbraio ‘43. Il cappellano del carcere che la vide poco prima dell’esecuzione ricorda che era calma, senza paura. L’aguzzino della Gestapo che conduceva l’interrogatorio con maniere brutali le chiese alla fine se non trovava spaventoso e se non si sentiva colpevole di aver diffuso quegli scritti, mentre i soldati tedeschi combattevano e morivano a Stalingrado. «No, al contrario, fu la risposta. Credo di aver fatto la cosa migliore per il mio popolo e per tutti gli uomini. Non mi pento di nulla e mi assumo la pena». E il fratello Hasns scrisse sulla parete della cella: «A dispetto di ogni violenza, tener duro», che ricorda il “Non mollare” dei fratelli Rosselli. Che cosa volevano questi ragazzi poco più che ventenni, quasi tutti però già reduci dal fronte russo, dove avevano assistito alle azioni criminali nei confronti della popolazione locale e allo sterminio degli ebrei? Nel discorso commemorativo nel cinquantesimo anniversario del loro martirio, il presidente della Repubblica federale tedesca, Richard von Weizsaker, dette una risposta: «Nel gruppo degli studenti di Monaco, strettamente legati fra loro, pensare e agire erano una cosa sola e sentivano ciò che facevano come un inizio». «Uno alla fine deve pur cominciare» rispose Sophie Scholl davanti al cosiddetto Tribunale del popolo a chi le domandava che cosa l’avesse spinta all’azione. Questa fu la motivazione per cui sfuggì al pericolo, che è nell’uomo, di diventare insensibile di fronte ad ogni sofferenza e ingiustizia, e di cedere così alla tentazione sempre nuova del conformismo. Nel diario e in una lettera di Sophie Scholl troviamo una frase di Jacques Maritain, che può valere come motto dell’azione della Rosa Bianca: Il faut avoir l’esprit dur et coeur doux, bisogna avere uno spirito inflessibile e un cuore sensibile”. Prima di entrare nella stanza della ghigliottina, Hans Scholl lanciò un grido che risuonò alto nel cortile della prigione: Es lebe di Freiheit, “viva la libertà”. Il suo maestro, il prof. Huber, che, in attesa della morte, continuò a scrivere, in carcere, il suo libro su Leibniz, scrisse alla moglie Clara: «Se io devo patire la morte nella lotta per la libertà, allora rallegratevi e gioite per uno che ha trovato la via di casa nell’ultima libertà dello spirito». La Rosa Bianca è stato un gruppo di resistenza piccolo ma che ha inscritto il proprio nome nel grande libro della storia. Thomas Mann li ha ricordati come coraggiosi, splendidi giovani: «Voi non dovete essere morti invano né dimenticati, I nazisti saranno schiantati dalla rivoluzione tedesca, quella vera, che al loro posto renderà eterni i vostri nomi». Lo stesso presidente Weizsaker affermò, a conclusione del suo discorso: «I membri della Rosa Bianca hanno offerto la loro vita da non violenti per i valori fondamentali di tutti. Hanno affermato e compiuto la loro esistenza. La dimensione politica era il loro ethos. La loro resistenza non è stata un fallimento, ma qualcosa che va al di là del loro tempo. Il coraggio di ogni generazione torna ad essere decisivo per la nostra civiltà. Noi possiamo difenderla con spirito inflessibile e cuore sensibile, nel 1993 come nel 1943». Possiamo solo aggiungere che in questa stagione di regime berlusconiano, tutto ciò vale anche nel 2005. Nel cimitero della foresta di Perlacher, dove riposano i fratelli Scholl, davanti alle loro tombe, anche d’inverno, anonimi continuano a portare fiori recisi. Sono rose bianche.
L'ULTIMO VOLANTINO DISTRIBUITO ALL'UNIVERSITÀ DI MONACO
L'inizio dell'ultimo volantino distribuito dai giovani della "Rosa Bianca" all'Università di Monaco nel febbraio del 1944
Colleghe! Colleghe!
Il nostro popolo si trova profondamente scosso di fronte all'ecatombe umana di Stalingrado. La geniale strategia del caporale della prima guerra mondiale ha spinto alla morte in modo insensato ed irresponsabile trecentotrentamila tedeschi. Führer, ti ringraziamo! Fermenta nel popolo tedesco la domanda: vogliamo ancora affidare il destino delle nostre armate a un dilettante? Vogliamo lasciare in preda ai più bassi istinti di potere di una cricca di partito la nostra gioventù tedesca? Mai più!
Triangolo Rosso, novembre 2005