Triangolo rosso

Il sessantesimo della liberazione di Mauthausen

 

di Fabio Minazzi

 

Mauthausen, sabato 8 maggio 2005, nel sessantesimo della liberazione del campo di sterminio: la giornata è plumbea, come se la natura - che pure intorno a Mauthausen è verde e rigogliosa, di una geometria rigorosa nella quale campi, fabbricati e boschi si alternano in un paesaggio da fiaba - volesse associarsi ai sentimenti di chi ha voluto tornare al campo di sterminio per ricordare la sua chiusura, la sua fine, la sua liberazione.

Mauthausen rappresenta il centro emblematico dell’annientamento nazista degli esseri umani nel territorio austriaco. Ma Mauthausen, come molti altri campi di sterminio nazisti, costituisce, in realtà, un articolato e complesso “sistema concentrazionario”, formato da un insieme di molteplici sottocampi. A Mauthausen i sottocampi sono circa una cinquantina. I nomi di alcuni di questi sottocampi sono diventati, a loro volta, emblematici nell’ambito della geografia dell’orrore nazista. Basterebbe ricordare il sottocampo di Ebensee (adibito alla costruzione di gallerie sotterranee per stabilimenti bellici) oppure quello di Gusen (altro campo di sterminio terribile che a sua volta si articolava in tre sottocampi nei quali si scavavano gallerie, si cavava la pietra e si producevano pezzi di ricambio per aerei), quello di Linz (dove si trovavano gli stabilimenti Goering per la produzione di carri armati, anch’esso suddiviso a sua volta in tre sottocampi), quello di Melk (in cui si producevano cuscinetti a sfere Steyr-Daimler-Puch Ag) e il famigerato Castello di Hartheim (nel quale si effettuavano criminali esperimenti medici e si eliminavano i detenuti). Ma su tutti questi campi di sterminio domina, incontrastato per il suo terrore emblematico, la fortezza di Mauthausen nella quale, secondo i calcoli più attendibili, i deportati furono da 230.000 a 260.000 mentre le sue vittime si contano da un minimo di 120.000 a un massimo di 150.000. Dal 1938 fino alla sua liberazione avvenuta il 6 maggio 1945, uomini e donne di tutta Europa furono imprigionati nel campo principale nel quale convergevano i vari convogli dell’orrore provenienti da tutta l’Europa. La stragrande maggioranza di loro fu imprigionata dai nazisti, con l’attiva collaborazione dei fascisti delle varie nazioni, quali “nemici del popolo”, per ragioni di “pubblica sicurezza”, per motivi di appartenenza ad una determinata “razza”, per l’attività politica svolta oppure ancora per la fede religiosa. Ma per tutti i prigionieri valeva la medesima regola nazista: lo sterminio attraverso il lavoro. Inizialmente i prigionieri furono costretti principalmente al lavoro forzato nelle cave, successivamente anche nelle fabbriche dell’industria militare tedesca. Nel 1942 fu infine messa in funzione all’interno del campo la camera a gas, mentre a partire dall’estate del 1943 fu organizzato all’interno del campo di sterminio un movimento internazionale di resistenza. Fu proprio questo movimento che organizzò, a partire dall’inizio del 1945, anche delle formazioni militari illegali nelle quali i prigionieri di guerra sovietici e i combattenti per la repubblica spagnola ebbero un ruolo di primo piano. E fu proprio questo movimento di resistenza internazionale che prese infine il comando del campo di Mauthausen, prima dell’arrivo dell’esercito americano, quando le SS si erano già dileguate, poiché erano “forti” nell’infierire crudelmente sugli inermi, ma assai pavide e incapaci di combattere contro altri soldati, come gli americani che si avvicinavano al campo della morte ben armati e desiderosi di distruggere il proprio nemico. A distanza di sessant’anni il campo è oggi letteralmente invaso da più di trentamila persone: tra le moltissime bandiere e tra tutte le differenti lingue due gruppi emergono come i più numerosi: sono gli spagnoli e gli italiani le cui bandiere sono ovunque e le cui lingue risuonano per ogni dove. Gli italiani deportati a Mauthausen, accertati nei censimenti, sono 7.786: pochissimi di loro fecero ritorno in Italia. Mentre le varie delegazioni nazionali arrivano al campo per la cerimonia ufficiale prevista in tarda mattinata, con un nutrito gruppo di italiani, ci rechiamo, in primo luogo, alla tristemente nota cava di pietra, percorrendo la famigerata scala delle morte: un autentico calvario di 186 gradini che gli schiavi di Hitler dovevano percorrere trasportando sulle loro spalle pietre da costruzione che trasformavano quella salita in un autentico fiume di sangue e di morte. Un fiume di sangue e morte su cui dominavano anche la barbarie e il sadismo dei kapò e dei più efferati criminali nazisti. A Mauthausen, infatti (come del resto accadeva anche in altri campi) l’oltraggio e la derisione accompagnavano persino l’esecuzione dei condannati a morte, perché le “eroiche” SS facevano accompagnare la vittima designata da un’orchestrina di deportati costretti ad intonare motivi scherzosi. Ci fermiamo anche sotto il “muro dei paracadutisti” dove le SS costrinsero un gruppo di ebrei a scaraventarsi vicendevolmente nel vuoto, ma dove anche un prigioniero americano ebbe il coraggio di suicidarsi portando con sé, nel suo drammatico volo nel vuoto, un criminale aguzzino SS. Ma il perimetro di Mauthausen non esaurisce, di per sé, l’universo concentrazionario del campo di sterminio perché, come del resto accadeva anche presso altri campi nazisti, la popolazione che abitava nei pressi di Mauthausen era quotidianamente coinvolta dalla presenza e dalla vita del campo. Il grado di coinvolgimento nazista della popolazione locale può del resto ricavarsi anche dagli eventi occorsi nel febbraio del 1945. Allora 419 prigionieri “K-Häftlinge” (prigionieri “K”, dove la “K” rinvia alla parola tedesca “Kugel”, “pallottola”) fuggirono infatti dal famigerato blocco 20. Erano ufficiali e soldati sovietici, disarmati, scarsamente vestiti e affamati. I nazisti diedero allora l’ordine di uccidere tutti questi evasi e avviarono una vera e propria battuta di caccia, nota come la famigerata “Mühlviertler Hasenjagd” (“la caccia ai conigli di Mühlviertler”). Buona parte della popolazione del Mühlviertel, dagli scolari ai più anziani, partecipò attivamente a questa incredibile mobilitazione voluta dalle SS, mediante la quale pressoché tutti i fuggiaschi furono infine presi ed ammazzati (i loro corpi erano ammonticchiati come tronchi, oppure esibiti come prede di caccia). Proprio per non dimenticare questi orrori e per riaffermare la volontà internazionale di lottare, ora e sempre, contro il fascismo e il nazismo, nel Sessantesimo della sua liberazione il campo di Mauthausen è stato letteralmente invaso da migliaia di persone che con la loro stessa presenza hanno voluto testimoniare il loro impegno civile di lotta per non dimenticare e per impegnarsi a difendere la memoria di tutte le persone assassinate in questo e in tutti gli altri campi nazisti. La pioggia, con intermittenza quasi regolare, non dà tregua ma, in tal modo, aiuta anche a meglio capire le drammatiche condizioni di sopravvivenza entro le quali i detenuti di questo campo sono stati costretti a vivere come larve. Mentre tutte le delegazioni ufficiali e i vari partecipanti arrivano, come una fiumana in piena, di fronte ai differenti monumenti nazionali si svolgono molteplici commemorazioni. Ogni lapide, ogni paese, ogni nazione ricorda le proprie vittime e, ovunque, in una simpatica babele linguistica, risuonano parole di ricordo che incitano a non dimenticare e a lottare sempre per la memoria di questi uomini e donne assassinati dalla barbarie nazista. Ma non invitano solo a ricordare, ma spronano anche a lottare per impedire che il mostro del nazifascismo possa rinascere sotto altre spoglie, sotto altre forme, con diverse parole d’ordine, ma sempre con lo stesso carico di violenza e di morte che ha sempre prodotto nei vari paesi e nei differenti continenti. In ogni discorso è presente il monito a vigilare e lottare contro il rinascente fascismo e le sue alcinesche seduzioni. Proprio questa comune volontà di lotta internazionale contro il fascismo costituisce il monito più importante e qualificante di questa storica giornata. Tutti i relatori ufficiali delle varie nazionalità insistono giustamente su questo motivo, mentre i moltissimi giovani, con la loro stessa presenza, testimoniano la comune volontà di lotta e di impegno per non dimenticare. Non solo per non dimenticare, ma anche per impegnarsi attivamente per lottare in prima persona sia per difendere la memoria di chi è stato assassinato nei campi di sterminio nazista, sia per impedire che il fascismo torni nuovamente a devastare le società civili dei diversi stati. Con questo comune sentimento vengono accolte, con emozione, anche le parole dei soldati americani che ricordano il loro storico ingresso nei campi di sterminio, accanto a quelle che ricordano la liberazione di altri campi di sterminio attuato dai soldati russi dell’Armata rossa. Ed è proprio nella comune e condivisa volontà storica di combattere ancora insieme il rinascente fascismo che la giornata del Sessantesimo anniversario della liberazione del campo di Mauthausen si conclude. Si conclude con un solenne impegno civile di lotta al fascismo che, di per sé, contrasterà sempre ogni tentativo politico finalizzato a confondere abilmente la memoria storica per ridare credibilità ai crimini del nazifascismo. Perché? Perché la storia dei campi di sterminio nazisti non può mai essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: dalla distruzione delle Camere del Lavoro nell’Italia del 1921, dal rogo dei libri nella Germania del 1933, dalle fiamme nefande dei crematori nazisti diffusi in tutta Europa. Contro questo criminale progetto fascista occorre sempre impegnarsi perché il pericolo di una rinascita del fascismo costituisce un pericolo reale, che non deve e non può mai essere sottovalutato.

Triangolo Rosso, luglio 2005

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