Triangolo rosso
Un ricordo di Gianfranco Maris
Quel 25 aprile per noi deportati nei lager nazisti
Quando sento l’ipocrita saggezza dei negatori della storia, i quali, tentando di camuffare da moderatismo il loro negazionismo, definiscono il 25 aprile come “una festa come tutte le altre”, sento in quelle parole l’offesa di una bestemmia, che aggredisce il valore fondamentale, religioso della comunità umana: il valore della vita. Il 25 aprile è la vittoria più limpida ed inequivoca che si possa ricordare, a memoria di uomo, non della pace sulla guerra, ma della cultura della vita sulla cultura della morte. Ma è possibile che l’uso politico deteriore della storia, con il quale in tutti questi anni si è tentato di delegittimare la Resistenza, la Costituzione, la Repubblica, l’antifascismo e riabilitare i suoi nemici, abbia potuto cancellare dalla nostra memoria storica, l’essenza stessa del nazismo e del fascismo, che fu cultura non soltanto di violenza e illibertà ma anche e soprattutto di morte? Il 25 aprile fu un inno alla vita: perché nuovamente e finalmente libertà, pace, tolleranza, solidarietà. Purtroppo a questo appuntamento non furono presenti i 600 milasoldati italiani deportati in Germania, come schiavi di Hitler, dopo l’8 settembre 1943; non furono presenti le migliaia e migliaia di donne e uomini che furono dai nazifascisti rastrellati nel nostro Paese negli anni ’43 – ’45 e portati a lavorare come schiavi nelle fabbriche in Germania; non furono presenti i 4.000, dei 44.000 partigiani deportati, che nell’aprile 1945 erano ancora vivi nei campi di sterminio nazisti. Per tutti costoro la fine di aprile nei lager tedeschi fu ancora crimine, violenza, morte. Ci giungeva, nei campi, l’eco dei combattimenti, che si avvicinavano a noi; ci giungevano nel cuore preannunci di libertà, che facevano trepidare sicuramente l’animo di chi sapeva che, per i prigionieri, la vita si misurava a minuti, neppure a ore. Ma vedevamo anche il montare schizofrenico della cultura di morte nazista verso procedimenti folli di totale annientamento dei superstiti. A Mauthausen, negli ultimi giorni di aprile, ripetutamente i nazisti concentrarono tutti i superstiti del campo in una soffocante galleria, con il proposito di eliminarli tutti in una sola volta, facendo brillare le cariche di esplosivo collocate all’ingresso ed il mattino del 21 aprile selezionarono, sulla piazza dell’appello, 700 deportati, ritenuti ormai pericolosi testimoni dei loro delitti perché troppo macilenti e, nella notte, concentrati in un solo blocco, furono tutti gasati. E neppure i soldati internati furono risparmiati dalla follia. Il 23 aprile del 1945 a Treneubrietzeu soldati della Wehrmacht, che ripiegavano su Berlino, dopo avere imposto a un gruppo di 127 internati militari italiani il faticoso trasporto di munizioni, compiuto il lavoro, li concentrarono in una cava e li massacrarono con le mitragliatrici. È questa la cultura di morte del disegno nazifascista incombente su tutta l’Europa aggredita e che in Italia fu vinta il 25 aprile 1945. Ecco perché il 25 aprile per i deportati italiani nei lager nazisti non potrà mai essere “una festa come tutte le altre”. Perché esprime e scioglie un nodo storico, epocale. Perché è la data dalla quale emerge la grandezza di tutte le Resistenze europee, che resterà nei secoli, scolpita nel marmo, nonostante la miseria morale di chi vorrebbe negare la storia per rendere meno abbietto il volto di chi, in quel tempo di dolore e di lotta, fu al fianco dei nazisti.
Triangolo Rosso, luglio 2005