Triangolo rosso
UN CONVOGLIO DI “POLITICI” RASTRELLATI NELLE VIE DELLA CAPITALE PARTE PER LA GERMANIA. TRA DI LORO ANCHE UNA DECINA DI EBREI
5 gennaio 1944: da Roma con destinazione Mauthausen, ma molti svaniscono nel nulla
di Antonella Tiburzi
5 gennaio 1944: il trasporto che inizialmente ebbe forse una maggiore consistenza numerica di quella attualmente nota – 480 deportati anziché i 257 identificati – fu il primo convoglio di politici partito dalla capitale per il Reich. La decisione di deportare alcuni centinaia di questi detenuti venne presa dal comandante militare di Roma, Maeltzer, quale rappresaglia per una serie di attentati in città.
Nel convoglio di 480 detenuti, anche mendicanti rastrellati a caso
Il 18 dicembre, in via Fabio Massimo, due ordigni esplosivi erano stati lanciati in una trattoria notoriamente frequentata da fascisti e nazisti; la stessa sera, da una terrazza di piazza Barberini, sconosciuti avevano gettato bombe a mano sui soldati tedeschi che uscivano dal cinema dopo l’ultimo spettacolo, vietato ai cittadini per via del coprifuoco che cominciava alle 20. La rappresaglia non si fece attendere. Il 30 dicembre le SS fucilarono a Forte Bravetta tre membri della Resistenza romana (Italo Grimaldi, Antonio Feola, Riziero Fantini) e sei giorni più tardi, all’alba del 5 gennaio 1944, fu costituito a Regina Coeli un trasporto per Mauthausen. I carcerieri erano in possesso di “precisi elenchi” e, secondo due deportati di quel convoglio, fecero l’appello di 480 prigionieri. Fra di loro vi era uno dei nipoti di Badoglio, Gino Valenzano, che con il fratello Piero era stato arrestato dalle SS su delazione. Gino Valenzano afferma che con i politici furono deportati moltissimi detenuti comuni e anche mendicanti rastrellati in fretta e furia nelle vie di Roma, forse perché la polizia italiana, ricevuto dai tedeschi l’ordine di consegnare un certo numero di uomini, aveva pensato di cavarsela così. Tra i deportati politici c’erano anche 10 o 11 uomini di religione ebraica. Anche se arrestati in quanto ebrei vennero tuttavia inseriti in un trasporto che aveva principalmente connotazioni di deportazione politica. Anche se poi il trattamento che ricevettero all’arrivo al campo fu diverso e la loro connotazione di razziali ebbe a prevalere. Tra loro c’era Mario Limentani che racconta di essere stato catturato in via Cernaia, nei pressi della stazione Termini, dopo essere stato seguito dal ghetto. Mentre passeggiava si accorse che due individui, appoggiati al muro, lo guardavano. Capì subito che si trattava di due guardie fasciste. Allora tentò di tornare indietro ma i due lo bloccarono e lo presero per i polsi. Gli dissero che lo avrebbero portato in questura, per fargli delle domande, ma Mario aveva capito che la realtà era ben più grave. Saliti su un tram, Mario decise che doveva scappare e liberarsi di quei due figuri. Con una scusa chiese la possibilità di stringersi bene i lacci delle scarpe. Scioltosi per un momento dalla stretta delle loro braccia, non appena inchinatosi afferrò per le gambe le due guardie, facendoli cadere all’indietro. Sceso con un balzo dal tram, pensò di essere di nuovo libero. Ma si ritrovò una pistola alla nuca. E si bloccò. Era il 31 dicembre 1943. Appena arrivato a Regina Coeli, dopo essere stato controllato, in base all’elenco che avevano, venne incarcerato nel V braccio. Subito dopo venne sottoposto ad interrogatorio. Gli si chiedeva di dare i nominativi dei suoi familiari. Mario era sfuggito al rastrellamento del ghetto del 16 ottobre ’43 e molti suoi parenti erano già stati inviati a Birkenau. Rifiutatosi di compiere un così ignobile atto, sacrificandosi per proteggere la famiglia, venne rimandato in cella. La direzione del carcere si era già comunque accertata dell’origine ebraica del detenuto Mario Limentani. Poco dopo venne passato al VII braccio, sotto giurisdizione tedesca. I nipoti di Badoglio invece, ancora inconsapevoli del destino che li attendeva, pensavano, all’interno del carcere romano, ancora alla buona fede e affidabilità della parola data dai tedeschi. Entrambi erano convinti che erano stati catturati perché in Germania avevano bisogno di manodopera. Nessuno sospettava delle vere intenzioni dell’occupante. Questa rassegnazione è spiegata anche dalle parole che Valenzano disse, subito dopo la costituzione del trasporto: “Beh meno male, ci portano in Germania perché han bisogno di mano d’opera – lo pensavamo anche avendo sentito quello che avevano commesso molti nostri compagni di viaggio, che in maggioranza era gente pescata per strada – forse è meglio andare a Regina Coeli. Quindi direi che ero partito quasi dicendo: beh forse è la soluzione migliore”.
A Regina Coeli la paura di essere “decimati” come resistenti
Nel carcere invece aleggiava già la tremenda paura di poter essere vittime di una possibile decimazione quale violenta reazione terroristica agli atti di Resistenza e di sabotaggio che si susseguivano in città. Intanto i giorni passavano e il “trasporto - convoglio” per i territori del Reich era quasi pronto. Ma chi erano i componenti questo sfortunato gruppo? In base a quanto ha potuto ricostruire Italo Tibaldi, risulta che tutti provenivano dal centro e dal sud d’Italia. Molti di loro erano entrati in brigate partigiane operative nella capitale o nei dintorni. Molti avevano un’ età elevata ed erano nati nel secolo precedente. Così come erano presenti veri e propri nuclei familiari, ad esempio le famiglie Collalti e Clementi.
Famiglia Collalti. Tra di loro anche il padre di anni 59 anni. A Mauthausen vengono loro dati numeri di matricola consequenziali.
Collalti Fernando 7/08/1899 42047
Collalti Furio 22/09/1893 42048
Collalti Luigi 20/08/1913 42049
Collalti Rinaldo 21/12/1885 [di anni 59] 42050
Famiglia Clementi. Abbiamo addirittura un 60enne.
Clementi Antonio 26/11/1899 42041
Clementi Pietro 27/10/1884 42042
Clementi Roberto 22/9/1905 42043
La mattina del 5 gennaio 1944 venne organizzata la colonna di uomini da deportare. Il gruppo era composto da 480 uomini, I prigionieri, portati con dei camion alla stazione Tiburtina e caricati su carri bestiame, vennero scortati da militi fascisti, per tutto il tragitto. Arrivati al KZ Dachau vennero stipati in una baracca ove rimasero per due o tre giorni. Senza mangiare. Per loro venne applicato il Blocksperr, ovvero la chiusura assoluta della baracca. I deportati da Roma non ebbero modo quindi di conoscere la vita e le condizione di quel lager anche perché dopo questo periodo di sosta e di segregazione ripartirono con destinazione Mauthausen, Austria.
Nella fortezza di Mauthausen arrivarono il 13 gennaio 1944
All’arrivo e appena entrati nel campo, ebbe inizio la selezione. Sappiamo, dalla testimonianza di Mario Limentani, confermata se mai ce ne fosse bisogno da quella di Valenzano, che gli ebrei vennero subito separati dal resto del gruppo e una volta portati in un luogo più in disparte, esattamente alla destra dell’entrata principale, vennero crudelmente picchiati. Ci si accanì contro di loro
quando si scoprì, dalla lista arrivata dall’Italia, che questi uomini erano di religione ebraica. Poi incolonnati insieme agli altri prigionieri, li accompagnarono alle baracche. Furono costretti a spogliarsi nudi (gennaio in Austria!) e a lasciare le camisacce che loro erano state date fuori dal blocco 5. Si accovacciarono per terra, stretti tra di loro, per cercare almeno di riscaldarsi. La mattina successiva, molti di loro, non si rialzarono più. Limentani venne destinato al lavoro sulla “ scala della morte”. Successivamente fu inviato a Melk e a Ebensee, ove venne liberato. Lui e Venturelli sono gli unici superstiti ancora in vita a noi noti.
La ricostruzione di Italo Tibaldi. Ma di molti non resta memoria
Italo Tibaldi ha potuto ricostruire l’identità e la sorte di molti componenti questo trasporto. Di tutti gli altri nulla si sa e si conosce. Recentemente Limentani si è ricordato, e ci ha raccontato, che un gruppo di prigionieri riuscì a fuggire prima della partenza dalla stazione romana, approfittando del fatto che un carro rimase aperto. Possiamo quindi pensare che almeno una sessantina di uomini si siano così salvati. Ma ancora molti risultano essersi dissolti nelle nebbie del Reich. Una volta a Dachau, proseguirono poi per Mauthausen? E se giunti a Mauthausen, perché non vennero immatricolati? E dove vennero inviati? Qualcuno di loro è ancora in vita?
Triangolo Rosso, aprile 2005