Triangolo rosso

PARTECIPÒ ANCHE ALLA RIVOLTA DI GENOVA DEL 14 LUGLIO 1948 E AI MOTI ANTIFASCISTI GENOVESI DEL 1960

Eugenio Maggi, il “Tebba”. Un partigiano genovese scampato al lager di Dachau

 

di Ettore Maggi

 

Eugenio Maggi nasce a Genova, in via Filippo Casoni, il 17 luglio 1919. È il quarto dei sei figli di Ettore e Giuseppina Cosmelli. Il padre Ettore, ex-operaio specializzato dei cantieri navali di Riva Trigoso, dopo aver perso il lavoro nel 1926 per essersi rifiutato di iscriversi al partito fascista, apre un’officina nel quartiere di Coronata, che viene ripetutamente assalita dai fascisti e bruciata, e lo stesso Ettore Maggi è spesso bastonato e arrestato. La famiglia Maggi si trasferisce nel quartiere di Sestri Ponente nel 1929, dove Eugenio inizia a lavorare a quattordici anni in una torrefazione di caffé, per poi diventare operaio alla San Giorgio di Sestri Ponente.

 

Il giovane Eugenio, detto Tebba, cresce con sentimenti antifascisti (gli stessi che porteranno i fratelli Aldo e Rita a partecipare alla Resistenza, il primo nella Pinan-Cichero, e la seconda nella Brigata Buranello), e dopo aver conosciuto Antonio Dettori, antifascista anarchico, Eugenio frequenta la Federazione comunista libertaria, che svolge attività clandestina. Dopo l’8 settembre 1943 a Sestri Ponente, da sempre percorsa da forti sentimenti antifascisti (tanto da guadagnare il titolo di “Sestri la Rossa”), si iniziano a recuperare le armi abbandonate dai militari sbandati, e l’11 settembre nasce il primo atto di resistenza. Un reparto di soldati tedeschi viene informato della presenza di armi in un magazzino di via Andrea Costa, e si reca sul posto con un camion per prelevarle. La notizia si sparge e numerosi sestresi accorrono e circondano i tedeschi. Tra loro Eugenio Maggi, insieme ai suoi amici Vittorio Zecca e Giacomo Pittaluga. Si scatena la prima battaglia genovese, tra i giovani sestresi e i soldati tedeschi, meglio armati ma inferiori di numero, che nella sparatoria uccidono una donna affacciata alla finestra. Il camion viene fatto saltare in aria, e i giovani sestresi si danno alla fuga. Eugenio Maggi riesce a sfuggire ai tedeschi nascondendosi all’interno del chiosco-edicola dell’attuale viale Canepa. In seguito Eugenio entra a far parte di una squadra d’azione della Brigata Sap “Malatesta”, organizzata da Antonio Dettori e dalla Fcl, mentre Vittorio Zecca entra nella Brigata autonoma Langhe e Giacomo Pittaluga in una brigata della Divisione garibaldina Coduri, formazione operante nel Tigullio. Nel luglio 1944 Eugenio Maggi viene arrestato in piazza Baracca, insieme a Francesco Fusaro, Gino Fioresi e Gino Rossi. L’arresto è causato da una spia fascista infiltrata nella brigata Malatesta.

L’arresto causato da una spia, un fascista infiltrato nella brigata

Trasferito alla questura di Genova, Eugenio è interrogato dal famoso (e famigerato) commissario Giusto Veneziani, capo della squadra politica della questura di Genova. Nel recente libro di Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti, questo triste personaggio viene citato come esempio di vittima delle vendette subite dai fascisti dopo la Liberazione. Sicuramente Giusto Veneziani il ruolo di vittima lo conosceva bene, dato che lo aveva imposto a molta gente, prima della Liberazione. Nel mese successivo Eugenio Maggi viene trasferito ancora: la destinazione è il campo di concentramento di Bolzano, dove viene consegnato alle SS tedesche. Il compito dei ragazzi di Salò è terminato. Complessivamente, furono circa 45.000 (un quinto ebrei, il resto soprattutto antifascisti, partigiani, lavoratori) gli italiani consegnati ai tedeschi per essere deportati nei lager nazisti. Oltre il 90% dei deportati non farà ritorno a casa, mentre Eugenio Maggi riuscirà a sopravvivere. Dopo il lager di Flossembürg, è destinato al campo di Dachau, tristemente famoso per essere il primo lager nazista (fu aperto nel marzo 1933, subito dopo la salita al potere di Hitler, per ospitare gli oppositori politici del nazismo), e per gli esperimenti scientifici che avvenivano sui prigionieri.

Aprile ’45, la libertà: è poco più di uno scheletro ma è ancora vivo

Eugenio Maggi sopravvive sino alla liberazione del lager da parte dell’esercito americano, avvenuta il 29 aprile 1945. La fame, i maltrattamenti, le malattie, il duro lavoro coatto, lo hanno ridotto a uno scheletro di poco più di trenta chili, ma è ancora vivo. Ricoverato per circa un mese presso un ospedale della Croce rossa internazionale, rientra in Italia nel maggio 1945, e appena arrivato a Genova rientra nei ranghi della brigata garibaldina “Alpron”, come commissario di distaccamento. Nel dopoguerra lavora come operaio in varie fabbriche genovesi, e anche al di fuori della Liguria e dell’Italia. Vive per alcuni periodi in Francia, a Trieste, a Siracusa, a Cagliari (dove abita per oltre dieci anni), sempre partecipando alle lotte politiche e sindacali. Partecipa inoltre alla forte protesta popolare di Genova del 14 luglio 1948 e ai moti antifascisti genovesi del 30 giugno 1960. Eugenio Maggi muore a Sestri Ponente il 5 dicembre 2003, a pochi metri dall’edicola dove si era rifugiato sessant’anni prima per sfuggire ai soldati tedeschi.

Da Triangolo Rosso, dicembre 2004

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