Triangolo rosso

NEL TRENTESIMO DELLA MORTE

Francesco Fausto Nitti, l’uomo che beffò Mussolini ed Hitler nella sua “battaglia” in Europa

 

di Pietro Ramella

 

Ricorrono trent’anni dalla morte di Francesco Fausto Nitti, uno dei più attivi antifascisti italiani che forse non ha avuto quel riconoscimento che un’esistenza spesa per la causa della libertà meritava. Per colmare questa lacuna ritengo doveroso tracciarne una biografia.

 

Francesco Fausto Nitti nacque il 2 settembre1899 a Pisa. Il padre Vincenzo era un pastore evangelico della Chiesa metodista episcopale Italiana, anche la madre proveniva da una delle prime famiglie protestanti della Toscana, dalla loro fede religiosa egli riconoscerà derivargli quel rigore morale che lo caratterizzerà per tutta la vita. Dal protestantesimo imparò soprattutto il rispetto e l’amore per la libertà dell’individuo, come primo fondamento di progresso umano e di civiltà e l’avversione per ogni forma di violenza. La famiglia seguì il padre nei trasferimenti nelle varie città dove era chiamato a svolgere la sua missione pastorale, prima a Torino, quindi a Livorno ed infine a Roma, dove Francesco Fausto frequentò il liceo classico. L’adolescenza e la gioventù trascorsero in quest’ambiente severo e sereno allo stesso tempo, ma l’Europa viveva momenti tumultuosi; aveva quindici anni quando scoppiò la prima guerra mondiale. Il 12 marzo 1917, a diciassette anni compiuti, si arruolò come volontario ordinario senza visita per la durata della ferma nel 13° Reggimento artiglieria da campagna. Il 18 agosto, nominato caporale, raggiunse il reparto, schierato a difesa delle valli del Cadore. Partecipò dapprima ad azioni volte a contenere l’avanzata austro-tedesca dopo la rotta di Caporetto, ed infine alla vittoriosa controffensiva del novembre 1918. Per il suo esemplare comportamento fu promosso al grado di sergente ed insignito della Croce al merito di guerra. Ritornato civile, conseguì il diploma di maturità classica e, dopo essersi iscritto alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Roma, s’impiegò presso la Banca commerciale triestina nella filiale di via del Corso.

Un mazzo di fiori alla Garbatella dove fu trovato cadavere Matteotti

Il burrascoso periodo del dopoguerra lo vide semplice testimone finché l’uccisione di Giacomo Matteotti lo spinse a prendere decisamente posizione contro il fascismo e ad esporsi in prima persona costituendo una società segreta che divulgava volantini antifascisti. Rese visita alla vedova del deputato socialista e si recò, nell’anniversario della sua morte, a portare un mazzo di fiori alla Garbatella, la località fuori Roma, dove era stato ritrovato il cadavere, attirando l’attenzione della polizia politica. Il 1° dicembre 1926 fu tratto in arresto e condannato – senza processo – a cinque anni di confino; dapprima venne inviato all’isola di Lampedusa ed in seguito a quella di Lipari. Visse la difficile vita dei confinati, in un contesto che non offriva molte alternative, sempre sottoposti alle angherie dei guardiani.

L’evasione dal confino con Carlo Rosselli ed Emilio Lussu

La sua situazione migliorò quando arrivarono nell’isola, alla fine del 1927, Carlo Rosselli ed Emilio Lussu, con i quali strinse una grande amicizia. Insofferenti della carcerazione i tre, grazie ad importanti contatti in Italia ed all’estero, progettarono l’evasione dal confino. Dopo un primo tentativo fallito, l’impresa riuscì il 27 luglio 1929. Un motoscafo proveniente dalla Tunisia, guidato da Nino Oxilia, che aveva già partecipato al riuscito espatrio di Filippo Turati, s’avvicinò nottetempo a Lipari e, presi a bordo i tre fuggiaschi, partì a tutta velocità verso l’Africa. Di qui i tre raggiunsero Parigi, dove furono al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, per essere riusciti farsi beffe di Mussolini e del suo apparato poliziesco. Ognuno di loro pubblicò un racconto dell’avventurosa fuga; Nitti pubblicò una sua autobiografia che, stampata in inglese, francese, tedesco e svedese, ottenne un buon successo di vendite. Grazie alla sua adesione alla Massoneria fu accolto nell’ambiente dei liberomuratori, tenendo numerose conferenze in logge d’oltralpe. Fu uno dei fondatori del movimento Giustizia e Libertà, divenendone uno dei responsabili. Nel frattempo aveva sposato Ameriga D’Angelo, una maestra elementare, che aveva conosciuto in Italia e che, dopo la sua evasione, era riuscita ad espatriare clandestinamente. Ebbe inizio la dura esistenza dell’esiliato, in cui coniugò l’impegno politico con le diuturne difficoltà della vita – nacquero nel frattempo due figli – cambiando diversi lavori e lasciando infine Parigi per un impiego a Périgueux.

Dopo Parigi la Spagna, al comando di un battaglione di anarchici

Nel marzo 1937 raggiunse la Spagna repubblicana, che da sei mesi era in lotta contro i generali ribelli, dove gli venne assegnato il comando di un battaglione di anarchici che nelle precedenti azioni aveva subito pesanti rovesci. Riorganizzata, con molta difficoltà, l’unità partecipò al fallito tentativo della conquista di Huesca nel giugno 1937, nel settore di Alerre e Chimillas, a fianco alla XII Brigata internazionale Garibaldi; ferito nel corso dello scontro fu ricoverato in ospedale per circa tre mesi. Prese successivamente parte all’offensiva in Aragona dell’agosto, partecipando prima alla conquista della città di Codo e poi a quella di Belchite, una delle più dure e sanguinose battaglie della guerra di Spagna. Trasferito alla 140ª Brigata mista fu coinvolto nella grande ritirata (marzo-giugno 1938), che portò alla divisione tra le province centrali e la Catalogna, combattendo dapprima nel settore di Caspe poi proteggendo il ritiro delle truppe repubblicane attraverso il ponte di Fraga. Trasferito ad un’unità di artiglieria, prese parte, nel luglio, alla battaglia dell’Ebro, comandando una batteria di cannoni dislocata di fronte a Gandesa. Nel settembre 1938 per effetto del ritiro dei volontari dalle unità repubblicane, fu trasferito al campo di raccolta di Car de Deu. Coinvolto nella Retirada entrò in Francia, ma non poté riunirsi alla sua famiglia venendo internato al campo di Argelés-sur-Mer dove ebbe il comando del settore dei reduci delle Brigate internazionali. Per aver protestato con le autorità francesi per l’inumano trattamento riservato ai combattenti di Spagna, fu classificato homme extrémiste et dangereux ed incarcerato per punizione nel castello di Collioure. In prigione fu promotore di uno sciopero della fame dei detenuti, ma per la pressione della pubblica opinione fu liberato e poté riunirsi alla famiglia.

La lotta clandestina in Francia contro il governo collaborazionista

Nel 1941, mentre stava progettando di andare in Messico, aderì ad un movimento di dissidenza al governo filonazista di Pétain, divenendo responsabile del Servizio materiali e distruzioni di una rete d’informazione clandestina, legata al Bureau central de renseignements et d’action della Francia libera. L’arresto nel dicembre 1941 di uno dei componenti del reseau Bertaux portò al fermo dell’intero gruppo tra cui anche Nitti. Processato con gli altri nel luglio 1942 venne condannato ad un anno di carcere. Detenzione che scontò nelle prigioni di Lodéve, Mauzac e Saint-Suplice-la-Pointe. Alla fine della pena non fu liberato, ma quale étranger dangereux fu inviato al campo d’internamento di Vernet d’Ariège. Rimase nel campo fino al 30 giugno 1944 quando i tedeschi prelevarono tutti gli internati rimasti, in gran parte inabili ad ogni lavoro, per deportarli in Germania, con quello che passerà alla storia come le Train Fantôme. Il convoglio partito da Tolosa il 2 luglio impiegò cinquantotto giorni per raggiungere il campo di sterminio di Dachau. Nel corso del viaggio un centinaio dei circa settecento deportati riuscì in modi diversi a fuggire. Nitti scappò dopo aver tolto alcune tavole dal pavimento del vagone si calò tra le rotaie mentre il convoglio viaggiava nell’Haute Marne. Raggiunta la Resistenza, si arruolò nel maquis de Varenne-sur-Amance fino a quando fu smobilitato il 29 agosto. Per il suo contributo alla causa della liberazione della Francia fu insignito della Médaille de la Résistance e della Croix de Guerre. Raggiunta la famiglia a Tolosa, nel 1946 rientrò in Italia. Ricoprì diverse cariche in Associazioni antifasciste, fu direttore della rivista Patria Indipendente e consigliere comunale di Roma. Morì il 28 maggio 1974, giorno della strage fascista di Brescia.

Da Triangolo Rosso, dicembre 2004

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