Triangolo rosso

La straziante vicenda di due donne ebree, Elvira e Amalia Piccoli catturate a Cividale del Friuli e assassinate a Birkenau.

Le storie della deportazione

“Mamma, fatti coraggio” Ed entrò con lei nella camera a gas del lager di Birkenau

Amalia aveva poco più di vent’anni e poteva salvarsi con il lavoro coatto, ma non volle lasciare sola la madre nell'ultima prova – L’aveva sorretta e aiutata amorevolmente fin dall’arresto e durante l’infernale trasferimento verso la fine – I ricordi e le testimonianze.

 

Elvira e Amalia Piccoli, madre e figlia, furono assassinate dai nazisti nelle camere a gas di Birkenau (Auschwitz), dove erano state deportate dopo la cattura a Cividale del Friuli. Erano i primi giorni del maggio 1944. Per ricordarle il presidente dell’Aned di Udine, Paolo Spezzotti, ha chiesto all’autore di un’accurata ricerca storiagrafica, il prof. Giuseppe Jacolutti e ai famigliari delle vittime, testimonianze e notizie. Un invito prontamente raccolto. Oltre alle foto e ad alcuni documenti, pubblichiamo ampi stralci della ricostruzione scritta e pubblicata dal prof. Jacolutti di Cividiale del Friuli. L’episodio del loro sacrificio – scrive il professor Giuseppe Jacolutti –, vittime della legge razziale, “è stato da me ricostruito con le varie testimonianze ed è suggellato dal racconto di Sandro Krao, loro compagno di deportazione, sopravvissuto ai “lager” nazisti”. Schonfeld Elvira, di razza ebrea, nacque a Udine il 3 febbraio 1876 da Davide ed Estella Iacchia, sposò Nicolò Piccoli e, sul finire della primavera del ‘900, si stabilì a Cividale del Friuli dove il 30 giugno 1920 nacque la terzogenita Amalia.

 

A Cividale la presenza di una comunità ebraica risale al 1239 e vi è segnalata addirittura l’attività di un tribunale rabbinico. Ebrei provenienti dalla Germania, dalle terre del Reno e del Meno, trasferitisi da Trieste a Udine, si stabilirono anche a Cividale ed ebbero un ruolo importante nella vita economica della città. Sul finire dell’anno 1938, l’Amministrazione civica, in applicazione alla legge dello Stato fascista, procede al censimento di questi cittadini residenti nel Comune, in seguito al quale sulla loro scheda anagrafica individuale viene posta la dicitura: “appartenente alla razza ebraica; art. 8 comma a - R.D.L. 17-11-1938, n. 1728”. Da quella data la grigia nube della tragedia ebraica investe l’Italia e ha inizio anche per gli ebrei italiani il viaggio nel terrore del nazismo: discriminazione, persecuzioni, deportazioni, morte. Sabato 3 settembre 1938 anche a Cividale appare il “manifesto della razza “sull’antisemitismo, con un richiamo a quella parte del decreto-legge che esclude tutti gli ebrei dagli istituti governativi e che proibisce l’iscrizione dei fanciulli ebrei nelle scuole governative del Regno. Il 18 settembre del ‘38 il Duce, parlando a Trieste alla vigilia della sua visita a Cividale, pone in primo ordine la questione razziale come necessità di mantenere la superiorità di razza. L’Europa senza ebrei, sogno di sempre del nazismo, al cui fianco si schiera il fascismo italiano, si avvia al genocidio in massa degli ebrei con i campi di concentramento eretti a macchine scientifiche per dare la morte. Anche la città di Cividale ha le sue vittime. Dopo il crollo del fascismo, la disfatta dell’Esercito italiano e l’occupazione tedesca, il nuovo governo fascista approva a Verona il manifesto della Repubblica Sociale Italiana. La “risoluzione” del problema razziale si ritrova al punto 7 dello stesso manifesto: gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica.

L’arresto della madre La figlia la segue subito

L’arresto di Elvia Schonfeld – prosegue la ricostruzione curata dal prof. Jacolutti – è preceduto, in date diverse, da perquisizioni alla sua abitazione. Famiglie benestanti, di imprenditori e commercianti, quelle degli Schonfeld-Piccoli e la signora Elvira donna d’alte virtù morali, riservata ed estranea ad ogni attivismo politico, dedita solo alla famiglia. Il 22 aprile 1944 un auto-anfibio dell’esercito d’occupazione tedesco si ferma sulla via Mazzini, di fronte all’ingresso principale della casa Piccoli e da esso scendono un sottufficiale e due soldati della SD (Sichereits Dienst – servizio di sicurezza del corpo delle SS. L’operazione si svolge con la massima rapidità: l’anziana signora viene prelevata, invitata a salire sull’auto in attesa e trasportata a Udine con la promessa di restituirla alla famiglia dopo un interrogatorio da parte del comandante territoriale della SD. La ventitreenne figlia Amalia, giovane riservata quanto la madre, appassionata di pittura, spinta da grande amore verso la genitrice, non vuole abbandonarla e, pur non richiesta, intraprende con lei il tragico viaggio che non avrà ritorno. Durante il trasferimento delle due donne dalle carceri di Udine alla risiera di S. Sabba a Trieste, nel triste edificio trasformato dai nazisti in campo di smistamento per le deportazioni in Germania ed in forno crematorio per gli uccisi, Amalia lascia cadere dal vagone ferroviario un biglietto all’indirizzo di Teresa Zuliani Dorigo, nota pittrice friulana. Il foglio contenente il breve messaggio viene fortunosamente raccolto da qualcuno e recapitato, probabilmente da un ferroviere; tant’è che in data 27 aprile la signora Dorigo, dopo le opportune ricerche, riesce ad informare il signor Alfredo Piccoli, fratello di Amalia, dell’avvenuta deportazione in Germania delle due sventurate. A guerra finita ogni ricerca sembra inutile poiché la fine delle Piccoli fu immediata. Non è possibile non fermare il pensiero sul luminoso comportamento di Amalia Piccoli, la quale, con atto d’amore e di coraggio, rifiutando il lavoro coatto spettante per la sua giovane età, accetta consapevolmente di varcare con la madre la soglia della camera a gas, offrendo la sua giovane esistenza all’olocausto di sei milioni di ebrei cancellati, per odio di razza, dalla faccia della terra. I familiari, non rassegnati, ricorsero per avere notizie all’Associazione Schedario mondiale dei dispersi (Roma), al Comitato internazionale della Croce Rossa di Ginevra, al Comitato ricerche deportati ebrei - Unione delle Comunità Israelitiche Italiane; alla Pontificia commissione di assistenza, all’Ufficio centrale delle ricerche dell’Unrra (amministrazione delle Nazioni Unite per il soccorso e la ricostruzione), alla delegazione assistenziale emigrati e profughi ebrei con sede a Firenze, senza esito alcuno. Le inserzioni sui giornali, fatte in date diverse, gli annunci esposti in apposite bacheche nelle stazioni ferroviarie di confine, danno la misura di quanto capillare sia stata la ricerca. Sugli annunci appaiono le generalità, la descrizione fisica delle due donne, gli indirizzi a cui rivolgersi per comunicare: quello di Alfredo Piccoli a Cividale e quello di Alfredo Schonfeld a Trieste, figlio e fratello della signora Evira. Ed è a questi che il sopravvissuto Sandro Krao di Fiume, in un incontro a Trieste, rende testimonianza del viaggio fatto assieme alle due donne; ne descrive l’orrenda fine e ne riconosce, dalle fotografie, i volti e alcuni particolari degli abiti. Inattesa ed agghiacciante la notizia, portata da un sopravvissuto alla deportazione, salvatosi solo perché il destino ha voluto fosse nel numero dei 12 uomini scelti a Birkenau dagli aguzzini nazisti e comandati al lavoro in prossimità di un nodo ferroviario.

Incontrai la signora Piccoli e sua figlia Amalia alle carceri di Udine. Il 23 aprile 1944 vennero trasferite da Udine a Trieste e qui rinchiuse in uno stanzone della risiera di S. Sabba, di seguito alle carceri del Coroneo. Alle ore 2 del 27 aprile 1944, furono condotte con un camion militare alla stazione ferroviaria di Trieste e fatte salire su un carro-bestiame assieme ad altri 152 deportati. Dopo la piombatura dei carri ferroviari, il convoglio partì per la Germania, via Brennero. Il viaggio durò cinque giorni durante i quali non venne somministrato alcun cibo, né alcuna bevanda. Il 2 maggio il convoglio giunse ad Auschwitz dopo aver attraversato l’Austria e la Cecoslovacchia. La signora Elvira quasi settantenne, ammalata, si reggeva a stento; la figlia Amalia di 23 anni, eroina incomparabile d’amore per la mamma, infondeva coraggio. Da Auschwitz furono inviate al sobborgo di Birkenau. Dalla partenza di Trieste i deportati giunsero in 142. Incolonnate verso il sinistro edificio del campo di concentramento, chiuse alle spalle le porte di ferro, furono avviate subito alle “camere” ed eliminate, in meno di 15 minuti, dai gas. I corpi buttati nei forni crematori.

Questi fatti mostruosi, viva testimonianza del sacrificio e del lutto di un popolo, non si devono dimenticare. Il sacrificio della giovane Amalia Piccoli resta, nel ricordo, un esemplare atto d’amore e di eroismo consumato con stoicismo a sfida di chi follemente ha voluto l’orrenda fine della sua mamma Elvira, condannata a morte solo perché appartenente alla razza ebraica.

Da Triangolo Rosso, marzo 2003

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