Triangolo rosso

NELL’UNIVERSO CONCENTRAZIONARIO, QUESTO CAMPO DI STERMINIO È TRAGICAMENTE NOTO PER I DISEGNI DEI BAMBINI

Nel museo ebraico di Praga i quattromila disegni di Terezin

 

di Ibio Paolucci

 

Nata come città fortezza fatta costruire dall’imperatore Giuseppe II nel 1780 e battezzata col nome della madre, Maria Teresa, Theresienstadt venne trasformata dai nazisti in un ghetto, diciamo così, un po’ particolare, le cui finalità, tuttavia, erano identiche a quelle di tutti gli altri campi di concentramento: lo sterminio di tutti gli ebrei. Nell’universo concentrazionario nazista, Terezin è conosciuta per i disegni dei bambini, quattromila dei quali sono oggi custoditi nel Museo ebraico di Praga. Gli autori di questi straordinari dipinti sono quasi tutti morti nelle camere a gas di Auschwitz.

Praga, marzo 1939, l’invasione delle armate hitleriane

Come si sa le armate di Hitler entrarono a Praga il 15 marzo del 1939 e quattro mesi dopo vennero emanate le leggi razziali con la conseguenza, fra le tantissime altre, di vietare ai ragazzi ebrei di frequentare le scuole pubbliche, come, peraltro, era già avvenuto, con un anno di anticipo, in Italia. La deportazione in massa degli ebrei della Boemia e della Moravia venne decretata nel settembre del 1941 e un mese dopo, il 19 ottobre, Terezin cominciò a funzionare come ghetto. Secondo lo storico Raul Hilberg, autore del fondamentale libro La distruzione degli ebrei in Europa (editore Einaudi), quel ghetto servì ai nazisti anche per dare un contentino agli alti comandi della Wehrmacht, che chiedevano un trattamento speciale per gli ebrei ex combattenti della prima guerra mondiale, che avevano meritato la Croce di ferro di prima classe o una decorazione austriaca equivalente. In sostanza, il ghetto fu creato sulla base di due considerazioni: creare un campo di concentramento per gli ebrei del Protettorato ceco, per poi utilizzarlo per gli ebrei “importanti” e per altre categorie speciali. In ogni caso Heydrich sfruttò la sua posizione di Reichsprotektor per ordinare la totale distruzione della piccola città, l’evacuazione della popolazione ceca e la creazione di un insediamento ebraico (Judensiedlung). Un ghetto, infine, che nelle intenzioni di Himmler, capo supremo delle SS, doveva anche servire, eventualmente, come in effetti servì, da specchietto per le allodole in caso di ispezioni della Croce rossa internazionale. In realtà, il ghetto di Terezin, dove furono inviate oltre 140.000 persone, di cui 15.000 bambini, non era nient’altro che una tappa che portava al grande cimitero di Auschwitz. Valgano, al riguardo, le cifre: dei 140.000 detenuti, 33.456 morirono nel campo, mentre ben 88.202, e cioè la quasi totalità dei restanti, furono i deportati nel campo di sterminio polacco. I liberati dall’Armata rossa, il 19 maggio del ‘45, furono 1654. In questo campo, dal ‘42 al ’44, venero deportati 15.000 bambini dai 7 ai 13 anni, che, a scaglioni, furono anch’essi trasferiti ad Auschwitz. Se ne salvarono solo un centinaio. Molti di loro lasciarono a Terezin un patrimonio prezioso di disegni e di poesie, una rassegna dei quali fece il giro del mondo, Italia compresa. La mostra, fra l’altro, fu accompagnata da un bel catalogo con una copertina dove era riprodotto uno stupendo dipinto di Renzo Vespignani, dedicato ai bambini di Terezin e donato al Museo ebraico di Praga.

Prima di finire ad Auschwitz consegnò i dipinti allo zio

Disegni teneri e strazianti, nati nella realtà allucinante del campo, autori ragazzini e ragazzine quasi tutti morti ad Auschwitz. È impressionante, infatti, scorrere le didascalie delle immagini nel catalogo, dove, nove volte su dieci, si trova il nome e il cognome, la data della nascita e quella della morte ad Auschwitz. Fra le bambine trasferite ad Auschwitz, dopo una lunga permanenza a Terezin, c’era anche Helga Weissova, una delle pochissime sopravvissute, che, a Terezin, aveva dipinto ciò che aveva visto e che, quando fu obbligata a lasciare il campo per Auschwitz, consegnò i disegni allo zio, che li nascose e riuscì a salvarli.

“Disegna ciò che vedi” le aveva detto il padre

“Disegna ciò che vedi” le aveva detto il padre, finito ad Auschwitz, e lei, dotata di un grande talento, aveva seguito il suggerimento. Ciò che Helga vede non sono soltanto le cose sotto i suoi occhi, ma anche quello che vorrebbe, che sogna. Di fuggire, innanzitutto, da Terezin per tornare nella sua casa di Praga. Uno dei disegni, infatti, rappresenta la giovanissima Helga, vestita sportivamente, con tanto di zaino e coperta arrotolata in spalla, borsetta e mani in tasca, che si lascia alle spalle il cartello stradale con indicato Terezin mentre, con aria soddisfatta, imbocca la via per Praga. Questo il sogno. La realtà, invece, è quella dell’arrivo a Terezin, con la fila delle persone, uomini donne bambini, con la stella gialla di David cucita sui cappotti, il gendarme che li sorveglia con il fucile in spalla. Oppure la distribuzione dello scarsissimo e poverissimo cibo in un cortile grigiastro, spoglio, squallido. O ancora, il trasporto di ogni cosa, compreso il pane, in carri funebri, mentre le bare erano trasportate su tavole con le ruote. E poi di nuovo il sogno per il suo quattordicesimo compleanno, raffigurato da un trittico, con tre diverse date. La prima, 1929, quella della sua nascita con un bel lettino, fiori, colori dolcissimi; la seconda, 1943, quella della presenza nel lager, con lei seduta su un letto a castello, meditabonda; la terza, 1957, quella dell’agognato ritorno alla normalità, con lei ed una amica che spingono carrozzelle, macchine e tram che sfrecciano nelle strade. C’è anche il disegno, che illustra l’arrivo della Commissione della Croce rossa internazionale, accettata dai nazisti per dare l’impressione che a Terezin gli ebrei erano trattati bene. I disegni, generalmente a penna, inchiostro e acquarelli, pur non essendo mai troppo cupi, colpiscono per la loro sconvolgente testimonianza di una realtà angosciante, dominata da una barbarie senza limiti. Solo rifugio i sogni: il dono più prezioso, rappresentato dal cibo, e nel disegno si vede una specie di paese della cuccagna, con persone che trasportano cibarie e dolciumi di ogni tipo, e, ricorrente, martellante, il sogno del ritorno. Infine ci sono i disegni fatti subito dopo la liberazione, fra il ‘45 e il ‘46, che riguardano la sua permanenza ad Auschwitz, questi sì cupi, tragicamente doloranti, senza speranza: il suicidio sul filo spinato, la selezione, la marcia della morte: gli orrendi ritmi della shoah.

 Da Triangolo Rosso, marzo 2003

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