Triangolo rosso
Un libro dedicato alla memoria di padre Placido Cortese
Assassinato dalla Gestapo (in un carcere a Trieste) il frate francescano direttore del Messaggero di S. Antonio
La testimonianza di Anton Zoran Music
di Ibio Paolucci
Con una lettera intestata della Pontificia Basilica del Santo il 9 ottobre del 1944 il padre rettore Lino Brentani scrive alla questura di Padova per denunciare la scomparsa del frate francescano conventuale Placido Cortese, direttore del Messaggero di S. Antonio. Precisa il rettore nella lettera che “verso le 13 di ieri due sconosciuti chiesero del suddetto Padre con rozza insistenza”, aggiungendo che “verso le 13,35 dello stesso pomeriggio il suddetto Padre fu visto da uno dei nostri Religiosi uscire dal portone principale del nostro Convento e dirigersi con passo lento e aspetto preoccupato verso l’apertura sinistra del parapetto che cinge il Sagrato della Basilica, oltrepassando il quale egli si diresse verso il Museo Civico. Detto religioso continuò a rimanere nella piazza del Santo per circa due ore e non lo vide più ritornare”. Né lo avrebbe visto ritornare neppure se anziché due ore fosse rimasto nella piazza due settimane. Sparito apparentemente nel nulla, in realtà in uno dei tanti luoghi di tortura delle SS, il povero fraticello che, all’epoca aveva 37 anni, venne assassinato dagli aguzzini nazisti, dopo orrende sevizie, in un carcere di Trieste, finito, forse, nel crematorio della Risiera di San Sabba. Depositario di segreti che riguardavano centinaia e centinaia di antifascisti, le sue labbra rimasero chiuse. Nella lettera alla questura il rettore fornì anche i connotati del frate: “individuo di media età, corporatura piuttosto gracile e snella, storto negli arti inferiori, viso oblungo, capigliatura bionda, occhi celesti con occhiali a stanghetta, dall’incedere claudicante”. Al padre Placido Cortese, martirizzato dal nazismo, con un enorme ritardo di cui si scusa l’arcivescovo emerito di Gorizia P. Antonio Vitale Bommarco, che parla di “un grave peccato di omissione, mio e della Provincia Patavina di S.Antonio” è stato dedicato un libro curato da padre Apollonio Tottoli, dal titolo Ho soccorso Gesù perseguitato!. Padre Placido era nato a Cherso (allora italiana e attualmente croata) il 7 marzo del 1907 da Matteo e Antonia Battaia, primogenito di quattro figli, tre maschi e una femmina, la più piccola e la più amata da padre Placido, più anziano di otto anni. Ordinato sacerdote il 6 luglio del 1930, la sua prima messa la celebra nella sua Cherso, nella chiesa di san Francesco. Dopo l’ordinazione sacerdotale torna a Roma per concludere gli studi teologici. Gli mancano gli esami di teologia dogmatica e di morale. Comincia anche la sua “carriera” di giornalista, scrivendo sul bollettino Il Santo della Basilica dei Santi Apostoli di Roma e sul Messaggero di S. Antonio, di cui, nel gennaio del 1937, diventa direttore. Poi scriverà anche sull’Osservatore romano. La rivista nacque nel gennaio del 1898 con una tiratura di seimila copie. Arrivato in direzione, padre Placido dette vita ad una campagna di abbonamenti che portò a 300.000 associati, poi a 700.000, infine a 800.000. Si fece anche promotore della costruzione di una tipografia più moderna e più adeguata alle nuove tirature. Obiettivo che raggiunse con successo tanto che nel gennaio del 1939 potè annunciare: “La nuova tipografia è ormai una realtà. Anche la macchina rotativa è arrivata da Milano; si attende solo che venga montata e collaudata”. Piena soddisfazione, dunque, nel lavoro. Ma il 1939 è anche l’anno dell’inizio della guerra con l’aggressione della Germania, il primo settembre, alla Polonia, che obbliga Francia e Inghilterra a scendere al suo fianco in un conflitto che durerà sei anni e che conoscerà l’orrore delle leggi razziali e dei campi di sterminio. Messo di fronte alla scelta dell’indifferenza o della solidarietà operante con le vittime del fascismo, padre Placido non ha dubbi. Già la sua azione in questa direzione era iniziata nel 1942, quando mons. Francesco Borgongini Duca, nunzio apostolico in Italia e delegato pontificio nella Basilica del Santo a Padova, lo aveva incaricato di assistere gli internati di Chiesanuova, un sobborgo del comune di Padova, dove passano circa 10.000 civili stranieri dall’inizio della guerra all’8 settembre. Ma naturalmente le prove più dure vengono con l’occupazione tedesca. Il 16 ottobre del 1943 l’alto comando del Reich approva la deportazione immediata di tutti gli ebrei dall’Italia. Quale atteggiamento assumere in una situazione del genere? Per il nostro fraticello valgono le parole di P. Carlo Varischi, dell’Università cattolica di Milano: “Questi oppressori non hanno alcun diritto su di noi; le loro leggi sono inique e, perciò, l’unica legge è quella della carità che ci impone di salvare la vita al fratello”. La caccia agli ebrei è spietata. Ma intensa è anche l’opera di salvataggio. “Da Padova, ricorda l’autore, la via per la Svizzera passa per Milano, tramite padre Placido Cortese, padre Carlo Varischi e il professor Ezio Franceschini, dell’Università cattolica”, di cui, negli anni Sessanta, diventerà rettore magnifico. Padre Placido è inserito a tempo pieno nell’organizzazione di soccorso Frama, il cui nome deriva da Ezio Franceschini (Milano) e Concetto Marchesi (Lugano). Il gruppo Frama, oltre che degli ebrei, si interessa anche del salvataggio dei soldati alleati braccati dai nazifascisti. Centinaia e centinaia le persone salvate grazie all’aiuto di padre Placido fino al momento in cui, tradito da uno che aveva beneficiato, venne catturato dalla Gestapo. Del suo calvario sono rimaste alcune testimonianze, una delle quali è del noto pittore Anton Zoran Music. In una lunga intervista a Marco Coslovich, l’artista, che era stato arrestato dalle SS, portato nel bunker della Gestapo a Trieste, in piazza Oberdan, e successivamente deportato a Dachau, racconta di essere stato in cella accanto a padre Cortese, testimone delle sue torture: “Mi ricordo che nel bunker di piazza Oberdan c’era un sacerdote, un certo padre Cortese di Padova. Era un ragazzo, giovane, molto carino, che hanno bastonato là dentro. L’ho notato perché ad un certo punto ci hanno portato tutti insieme in Questura e ci hanno tutti fotografati ed era la prima volta che vedevo questo padre Cortese che aveva tutta la schiena martoriata. Sulla giacca c’era una grande macchia di sangue, l’avevano bastonato. Era una persona squisita”. Un’altra testimonianza è di Adele Lapanje Danese, che, in una lettera dell’8 giugno 1995, scrive a padre Campello : “Nell’autunno del 1944 ero prigioniera nelle carceri Coroneo di Trieste, per mezzo del tam-tam carcerario sono stata informata che padre Cortese era appena morto sotto tortura, senza che fossero riusciti a fargli dire i nomi dei suoi collaboratori. Dovevano essere i primi giorni di novembre del 1944. Non ricordo le date, ma ricordo l’impressione generale per questa morte: un martire o un eroe, a seconda dei punti di vista. Non so che cosa abbiano fatto del corpo: forse portato alla Risiera di San Sabba, tristemente nota a Trieste perché lì si eseguivano le fucilazioni e le cremazioni”. Ivan Kastelic in un colloquio con un giornalista, a Lubiana, l’8 novembre 1989 dichiara: “Il Cortese rimase vittima di un provocatore. Un giorno fu arrestato e poi ucciso, probabilmente a Trieste, dopo lunghe e atroci torture senza però che rivelasse nulla”. Nel 1946 venne consegnato ai familiari un attestato di benemerenza firmato dal maresciallo Alexander: “Questo certificato è rilasciato al padre Cortese quale attestato di gratitudine e riconoscimento per l’aiuto dato ai membri delle forze armate degli Alleati, che ha messo in grado di evadere ed evitare di essere catturati dal nemico”. Nel 1948 giunge un’onorificenza, la “Croce di bronzo”, del presidente cecoslovacco Edvard Benes. In data 21 ottobre 1951, il Comune di Padova comunica al convento che il Consiglio comunale, nella seduta del 14 ottobre, ha deciso di intitolare una via cittadina “al nome glorioso di padre Placido Cortese”. E ora, dopo oltre mezzo secolo, questo bel libro di padre Apollonio Tottoli, che rende al meglio l’eroica figura del frate francescano. Fosse consentito ad un ateo di chiedere il premio più prezioso per un sacerdote, quello della santità, lo farei volentieri.
Da Triangolo Rosso, dicembre 2002