Triangolo rosso
Un film ripropone il problema complesso del rapporto tra artisti e potere: il caso di uno dei più grandi direttori d’orchestra nella Germania nazista
Arte e dittatura Wilhelm Furtwängler innocente o colpevole?
di Ibio Paolucci
“A torto o a ragione” Ë un magnifico film di Istvan Szabo, che ripropone il problema spinoso e sicuramente complesso del rapporto fra arte e politica o, per meglio dire, fra arte e dittatura. Nella fattispecie la questione trattata è quella del maestro Wilhelm Furtwängler, ritenuto uno dei maggiori direttori d’orchestra del tempo, se non addirittura il più grande. Rimasto in Germania alla direzione della Filarmonica di Berlino, Furtwängler fu lodato e coccolato dai notabili nazisti, in particolare da Goebels. Principali interpreti del film Harvey Keitel (il maggiore americano incaricato dell’inchiesta) e Stellan Skarsgard (Furtwängler), bravissimi entrambi.
“Ascoltate Beethoven e Wagner e sterminate gli ebrei. Ma che razza di uomini siete? E anche lei, caro maestro, sommo interprete di Beethoven, non si è mai guardato allo specchio, non le è mai venuto il sospetto di essere una carogna?”. Ci va duro l’ufficiale inquirente americano, non badando a scegliere le parole. Furtwängler si difende dicendo di essersi adoperato per salvare qualche ebreo e di non avere mai avuto la tessera del partito nazista. Vero. Ma ai nazisti interessava che lui restasse in Germania per potersene gloriare, che continuasse a rimanere alla testa della Filarmonica di Berlino, che seguitasse a dirigere concerti e a farsi applaudire da Goebels e da Hitler. “Lei ha anche diretto un concerto per il compleanno del Fuhrer”, accusa l’ufficiale americano. “Non è vero, io l’ho diretto la sera prima” è la debole difesa del maestro. Il film, naturalmente, è ricco delle musiche dei grandi compositori: Beethoven, Schubert, Bruckner. Nell’annunciare con cupa solennità il suicidio di Adolf Hitler nel bunker di Berlino, la radio tedesca trasmise il Requiem di Bruckner proprio nell’edizione diretta da Furtwängler, e anche di questo il maggiore americano rimprovera il direttore d’orchestra. “Perché è rimasto in Germania coi nazisti? Poteva andarsene, molti suoi colleghi l’hanno fatto. Bruno Walter l’ha fatto. Certo Walter era anche ebreo e se fosse rimasto, per lui non ci sarebbe stato scampo. Lo sa che altri musicisti sono finiti nei campi di sterminio?”. Vero, proprio in questo stesso numero del “Triangolo rosso”, Gabriele Manca ci ricorda come vennero trattati sotto il nazismo alcuni musicisti, considerati autori di “musica degenerata”. Li conosceva Furtwängler? Ha avuto notizie del loro barbaro trattamento? Sapeva che milioni di ebrei venivano gasati mentre pensavano di fare la doccia? Furtwängler dice che ignorava la tragedia della Shoah. Ma come credergli? È anche possibile che non sapesse dei crematori e delle camere a gas. Ma della caccia agli ebrei sapeva, eccome, come, del resto, sapevano tutti i tedeschi. Mica la nascondevano questa caccia spietata i nazisti Tutto il contrario. Ne facevano, anzi, l’asse della loro politica. Sapeva, dunque. E tuttavia continuava a dirigere Mozart e Beethoven, Wagner e Brahms. Non Mendelsohn, però, perché Mendelsohn, grandissimo musicista, era ebreo e la sua musica era proibita nel Terzo Reich. Furtwängler, come si sa, venne sostanzialmente assolto e poté continuare a dirigere vari complessi orchestrali importanti d’Europa e d’America fino al 1954, anno della sua morte. Il maggiore americano, rappresentante della giustizia militare degli Stati Uniti, l’obbligò, però, a guardarsi dentro, a immergere le sue mani delicate con la sua magica bacchetta nell’orrendo marciume (il maggiore più crudamente dice merda) della barbarie nazista. Certo, Furtwängler non strozzò, non torturò, ne stuprò nessuno, come, per esempio, tanto per fare un nome che è tornato al disonore della cronaca, fece il criminale Michael Seifert, detto Misha, 78 anni, arrestato il 30 aprile scorso dalla polizia canadese, ma rilasciato pochi giorni dopo perché ormai quei fatti per i quali un tribunale italiano l’ha condannato all’ergastolo sarebbero lontanissimi nel tempo e l’imputato, inoltre, avrebbe ormai un’età avanzata, tale da meritare pietà. No, noi non ci stiamo. Ci mancherebbe che il tempo, cinquanta o cent’anni o anche duecento, avesse il potere di cancellare l’infamia dell’Olocausto. Questo per Seifert e per tutti gli altri boia ancora viventi, sfuggiti alla giustizia. Per Furtwängler il discorso è sicuramente più complesso, ma noi, francamente, dovendo scegliere fra le solide accuse dell’ufficiale inquirente e le fragili difese del maestro imputato, ci metteremmo accanto al maggiore americano. Ci piacerebbe sapere, però, che cosa ne pensano i nostri lettori
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Il film: A torto o a ragione L’autore di Mephisto torna, con il film A torto o a ragione, sul luogo del delitto: i rapporti tra intellettuali e potere, argomento sempre d’attualità. Vi si ricostruisce la vicenda inquisitoria di Wilhelm Furtwängler, il celebre direttore d’orchestra che fu messo sotto inchiesta, e assolto, dalla commissione Alleata per la denazificazione della cultura tedesca. [...] La trama propone un aneddoto: Furtwängler dirige per il compleanno di Hitler. Dimostrazione della sua adesione ideologica secondo l’accusa, atto di coraggio per la ‘difesa’, poiché il maestro non fece il saluto nazista con un pretesto: impugnava ancora la bacchetta. Ma uno spezzone d’archivio inserito nel finale mostra Furtwängler stringere solo un fazzoletto. Lasciamo allo spettatore l’interpretazione di questo ‘segno’. Il documento, però, è un interessante tributo alla potenza delle immagini, testimoni inoppugnabili e ambigue al tempo stesso di un evento. (Da Drammaturgia.it)
Da Triangolo Rosso, luglio 2002