Triangolo rosso
Il salvataggio di 5.200 ebrei ungheresi da parte delle autorità spagnole
La Spagna franchista e gli ebrei sefarditi
di Pietro Ramella
L’organizzazione “Casa Universal de los Sefardis”, fondata nel 1920, si preoccupò della sorte dei sefarditi nel mondo e propugnò di porli sotto la protezione consolare della Spagna, la richiesta fu accolta dal dittatore Primo de Rivera che il 20 dicembre 1924 decretò che tutti gli ebrei d’origine spagnola potevano ottenere la cittadinanza spagnola anche se non residenti in Spagna. La nuova Costituzione promulgata dal governo della Repubblica nel 1931 emancipò totalmente gli ebrei. Infatti l’art. 3 stabiliva che la religione cattolica non era più la religione di stato, gli articoli 23 e 24 permettevano agli stranieri che parlavano spagnolo di acquisire la cittadinanza spagnola, l’art. 27 garantiva la libertà di culto, pertanto tutte le restrizioni contro protestanti ed ebrei furono soppresse. Vennero create delle Camere di commercio ispano-sefardite, che svilupparono notevolmente l’interscambio tra la Spagna ed i paesi dove esistevano colonie di ebrei di discendenza spagnola. La Spagna repubblicana fu inoltre uno dei pochi paesi europei che accolse gli ebrei tedeschi, in fuga dalla Germania, dopo l’avvento e le persecuzioni di Hitler, circa 3.000 ebrei tedeschi troveranno asilo in Spagna, la maggior parte dei quali a Barcellona. Dopo la vittoria dei nazionalisti la Chiesa cattolica vedrà nuovamente riconosciute le antiche prerogative. L’art. 6 del Fuero de lo Españoles, promulgato il 17.7.1945, recitava: “La professione e la pratica della religione cattolica, che è la religione dello Stato spagnolo, godrà della protezione ufficiale. Nessuno sarà molestato per le sue credenze religiose né per l’esercizio privato del suo culto. Non si permetteranno cerimonie religiose né manifestazioni esteriori diverse da quelle della religione cattolica.” Esisteva quindi una certa libertà di culto, ma molto limitata: si poteva adorare il Dio che si voleva ma solo privatamente, il che comportava tra l’altro che un protestante (o un ebreo) non poteva sposarsi, essendo il matrimonio una cerimonia pubblica. Ebrei e riformati non saranno perseguitati per motivi religiosi, ma per quelli politici in quanto sostenitori della Repubblica. Si ricordi che circa 7.000 ebrei, provenienti principalmente da Polonia, Francia e Stati Uniti si arruolarono nelle Brigati internazionali e che la Sanità dell’Esercito repubblicano era costituita in prevalenza da medici ed infermiere ebrei. Il Concordato con la Santa Sede del 27.8.1953 accentuò il predominio della Chiesa nella vita spagnola, essa ottenne un effettivo potere sociale, un accettabile benessere economico, un rigoroso controllo sui suoi nemici; l’insegnamento della religione divenne obbligatorio a tutti i livelli e la scuola pubblica doveva adeguarsi al dogma, la censura era in mano ai vescovi. L’avvento di Giovanni XXIII al soglio di Pietro muterà la situazione, tanto che il 30 maggio 1960, 339 preti baschi, in una lettera ai vescovi attaccarono duramente il regime, prologo alle scuse chieste dall’Assemblea di vescovi e sacerdoti tenutasi a Madrid nel settembre 1971 per l’atteggiamento fazioso del clero durante la guerra civile.
Le differenze con il fascismo
Queste le premesse al salvataggio di 5.200 ebrei ungheresi nel corso della seconda guerra mondiale da parte delle autorità consolari spagnole, a cui collaborò attivamente Giorgio Perlasca, la cui vicenda è stata di recente ricordata da una fiction televisiva di successo. Gli avvenimenti sono stati descritti in modo esemplare, salvo qualche normale forzatura, che non incrina però il valore della storia, resta però da chiarire una evidente contraddizione. Come Perlasca, personaggio dal passato fascista, agì in aperto contrasto alle leggi razziali emanate da Mussolini, così Franco, salito al potere anche grazie all’aiuto tedesco, si adoperò a salvare gli ebrei, di cui Hitler aveva decretato la totale eliminazione. Il 15 ottobre 1944, i tedeschi, che nel marzo avevano occupato l’Ungheria, sino allora loro alleata contro l’Urss posero a capo del governo Ferenc Szálasi, (catturato dagli americani sarà consegnato all’Ungheria, dove dopo essere stato processato e condannato a morte sarà giustiziato con molti dei suoi accoliti) capo delle “Frecce Crociate”,(Omologhe ai “ragazzi di Salò” italiani) ferocemente antisemite, e la situazione delle centinaia di migliaia di ebrei ungheresi si fece tragica, trovando pratica attuazione la “soluzione finale”. Era all’epoca incaricato di Affari presso la Legazione spagnola a Budapest, Ángel Sanz Briz, ex combattente dell’esercito nazionalista, che spinto da spirito umanitario si adoperò per salvare quanti ebrei poteva. Rispolverando il decreto del generale Primo de Rivera ottenne dal governo ungherese di porre sotto la protezione spagnola duecento famiglie di origine sefardita. Il documento dichiarava che:
“Certifico che ......................., nacido en ......., residente a Budapest, via........, ha sollecitato a mezzo dei suoi parenti in Spagna, l’acquisizione della cittadinanza spagnola. La Legazione spagnola è stata autorizzata a concedergli un visto di entrata in Spagna, prima che si concludano le pratiche che detta richiesta deve seguire”.
Sanz Brix trasformò le duecento persone prima in duecento famiglie poi continuò ad emettere tali certificati avendo l’accortezza di non superare mai il numero 200, per cui utilizzando più volte gli stessi numeri concesse la cittadinanza spagnola a 5.200 israeliti, rischiando la vita in quanto solo in minima parte potevano vantare origini spagnole. Li ospitò in undici case, su cui aveva posto dei cartelli: “Annesso alla degazione spagnola” offrendo loro cibo, assistenza medica e rifugio. Alla fine del 1944 il governo spagnolo impose ai suoi diplomatici di lasciare l’Ungheria, ormai minacciata dall’avanzata delle truppe sovietiche e Sanz Briz dopo aver tergiversato per alcuni mesi, ubbidì trasferendosi in Svizzera, ed il suo posto venne preso da Giorgio Perlasca, che già collaborava con lui. Pur tenendo conto della difficoltà delle comunicazioni, non era possibile che il ministero degli Esteri spagnolo a Madrid, allora guidato dal filonazista antisemita José Félix Lequerica, non fosse a conoscenza di quanto avveniva a Budapest. Sorge spontanea la domanda : perché Franco rifiutò il razzismo antiebraico dei nazisti?
L’accoglienza spagnola a tutti i fuggiaschi
Le risposte fornite da storici e ricercatori sono diverse. Secondo alcuni il mutato andamento delle operazioni belliche che aveva visto le potenze dell’Asse verso la fine del 1942 e l’estate del 1943 perdere l’iniziativa a Stalingrado e ad El Alamein e la caduta del regime fascista in Italia, avevano indotto il furbo galiziano Franco alla prudenza ed a tentare una timida apertura verso gli Alleati, tanto che alla fine del 1943 aveva ritirato la Division Azul che combatteva a fianco dei tedeschi in Urss. Altri fanno risalire la condiscendenza del governo spagnolo all’operato della Legazione di Budapest in quanto cercava di ottenere l’appoggio della potente lobby ebraica americana, per far togliere l’embargo sulle forniture di petrolio decretato dal governo Usa nel febbraio 1944 per l’ambigua politica spagnola, oscillante tra gli Alleati e la Germania. Rientrava in questo progetto anche l’accoglienza concessa ad aviatori abbattuti, a membri della Resistenza o perseguitati politici e ad ebrei che fuggivano alle persecuzioni naziste in Francia attraverso i Pirenei. Quelli intercettati dalle guardie di confine spagnole venivano internati, se uomini al campo di Mirando de Ebro, liberato dagli interbrigatisti prigionieri dei franchisti, se donne o bambini in alberghi “sorvegliati” a Leiza e Murguia. Quando Franco si impegnò nel marzo 1943 a non riconsegnare ai francesi di Vichy e quindi ai tedeschi alcun profugo, militari o resistenti furono presi in consegna da diplomatici alleati che li accompagnavano a Gibilterra, Lisbona o in Nordafrica, mentre gli ebrei furono assistiti da loro associazioni che li trasferivano prima a Casablanca poi negli Stati Uniti. Altri non giudicarono l’atteggiamento di Franco dettato da motivi di opportunità politica come il giornalista José Antonio Lisbona che nel libro Ritorno a Sefarad avanzò l’ipotesi che tale comportamento derivasse sia dall’origine ebraica di Franco, indicata dai suoi tre primi nomi, che il generale non usò mai: Paulino Hermenegildo Teùdulo, sia dal fatto che la Banca Hassan e la Banca Pariente, appartenenti a famiglie sefardite della città marocchina di Tetuan finanziarono, insieme a famiglie israelite di Gibilterra e del Marocco, sin dai primi giorni i generali ribelli insorti “contro il marxismo, la massoneria ed il giudaismo”, in una guerra che era “una lotta tra il Divino Gesù e l’ebreo Carlo Marx”. Paul Preston nella biografia Francisco Franco – la lunga vita del Caudillo, ricordò che si era molto discusso sulle origini ebree della famiglia di Franco, in base al suo aspetto fisico ed al fatto che tanto Franco quanto Bahamonde, cognome della madre, erano cognomi ebraici comuni in Spagna. Ángel Sanz Briz ottenne, come Perlasca, il riconoscimento di “Giusto dell’Umanità” dallo stato di Israele e la sua storia fu raccontata da Federico Ysart in España y los Judios e da Diego Carcedo in Un español frente al Holocausto, libri editi dopo la morte di Franco (20.11.1975).
Più furbizia che generosità
Se la storia in Italia venne alla luce dopo molti anni ciò fu dovuto al fatto che Giorgio Perlasca era molto schivo a parlarne o forse a considerazioni politiche (il suo passato di fascista volontario in Abissinia e con Franco), mentre in Spagna occorre ricordare che la censura era esercitata dalla Chiesa. Concludendo personalmente ritengo che Franco salvò poche decine di migliaia di ebrei più per opportunità politica che per legami di sangue – sempre negati anche per il suo attaccamento bigotto alla fede cattolica – o per riconoscenza verso le banche ebree – si pensi al voltafaccia nei confronti di Hitler e Mussolini quando l’andamento della guerra mutò corso. Usò la sua furbizia ed abilità nel destreggiarsi che gli permetteranno di mantenere il suo potere assoluto per quasi quarant’anni superando contrasti interni ed internazionali.
Nell’anno della scoperta dell’America cacciate dalla Spagna 170.000 famiglie
Sefarad in ebraico significa “Spagna” e sefarditi erano detti gli ebrei residenti in Spagna sin dal III secolo, dove vissero in pace anche sotto la dominazione musulmana, tollerante verso le altre religioni, fino a quando i re spagnoli, cacciati gli arabi, dal 1480 li costrinsero a vivere in quartieri distinti, le juderias o ghetti. Un anno dopo la Santa Inquisizione iniziò a perseguitare gli ebrei convertiti, i cosiddetti marranos (maiali), termine di paragone dispregiativo all’animale, o per il fatto che i conversos ostentavano l’uso della carne di suino per dimostrare la sincerità della propria conversione. Il 31 marzo 1492 i “re cattolici” Ferdinando ed Isabella decretarono l’espulsione degli ebrei non convertiti, per conseguenza di ciò 170.000 famiglie (o forse 170.000 individui) lasciarono la Spagna, diretti in Italia (soprattutto a Livorno), Africa settentrionale e paesi del Nord, dove con l’avvento della Riforma, troveranno tolleranza e normalità di vita. Alcuni storici avanzarono l’ipotesi che la cacciata non fu dovuta a motivazioni religiose, ma più materialmente alla difficoltà per i reali di restituire gli ingenti prestiti avuti dai banchieri ebrei per la guerra contro il regno di Granada. Dovranno passare oltre quattrocento anni perché agli ebrei in Spagna torni ad essere riconosciuta una limitata cittadinanza, infatti solo nel 1909, una legge di Alfonso XIII sopprimerà tra l’altro il divieto di costruire sinagoghe.
Da Triangolo Rosso, marzo 2002