Triangolo rosso

Frustato e incatenato ad un muro di Mauthausen stava per essere fucilato

La storia di Agapito

Il detenuto spagnolo che salvò un italiano

Si chiamava Agapito Martin Roman il deportato spagnolo che salvò a Mauthausen un detenuto italiano suo compagno e amico di lotta e di sventura. È una storia che merita di essere raccontata

di Pietro Ramella

 

Agapito nasce a Soneja (Valencia) il 10 settembre 1916. Allo scoppio della guerra civile spagnola nel 1936, si arruola nelle milizie repubblicane e combatte prima sul fronte di Teruel, poi al nord. Quando i franchisti nel febbraio 1939 occupano la Catalogna, si unisce una marea di cinquecentomila profughi che si rifugia in Francia. Per sfuggire alle dure condizioni dell’internamento, si arruola nella Legione straniera francese. Addestrato in Nord Africa, rientra in Francia allo scoppio della guerra con la Germania e partecipa ai combattimenti sulla frontiera belga. Rimasto di retroguardia per coprire la ritirata del suo battaglione, viene fatto prigioniero il 10 ottobre 1940 ed avviato, a piedi, ai campi di prigionia per militari in Germania. Il 26 marzo ’41 viene trasferito con altri 357 spagnoli a Mauthausen, dove giunge dopo un viaggi di nove giorni e gli viene assegnato il n. 4183. Lavora alla famigerata “cava” ed ogni giorno scende e sale la scala della morte, vede morire i primi compagni per le violenze dei kapò o d’inedia. Riesce a sopravvivere rubando gli scarti della cucina delle SS destinati ai maiali. Dopo una ferita ad un occhio, durante il lavoro di scalpellino, viene trasferito con altri cento internati alla fattoria di Saint Lambrecht, dove incontra Romolo Pavarotti (KZ 57612), partigiano italiano di diciotto anni, con il quale stringe un’amicizia fraterna. Pavarotti è destinato al taglio dei boschi con un gruppo di dieci internati, tutti spagnoli eccetto lui ed Agostino Meda di Torino. Quando Meda tenta la fuga, Pavarotti – accusato di averlo favorito – è immediatamente punito con venticinque nerbate. Il comandante tedesco decide, inoltre, che, dopo la cattura del fuggiasco, i due italiani saranno fucilati per dare un esempio. Agapito, lo spagnolo, è ormai un anziano del campo e parla il tedesco. Dichiara all’ufficiale delle SS, a rischio della sua vita, che Pavarotti non è italiano ma spagnolo (veniva normalmente chiamato Ramon, soprannome che poi ha sempre mantenuto). È sufficiente a salvarlo dal plotone di esecuzione. Il fuggiasco viene ripreso e con Pavarotti è riportato in piena notte a Mauthausen. I due sono incatenati al muro vicino all’entrata del campo. Quando ormai pensavano che sarebbero stati fucilati, al mattino si presenta un internato spagnolo, riconoscibile dal triangolo blu, che prende in consegna Pavarotti, destinato, grazie all’intervento di Agapito, al blocco n. 12, quello degli spagnoli. Da qui passerà ad un sottocampo, il Kommando Eletrich e successivamente a quello durissimo di Schlier, mentre il suo compagno spagnolo resterà a Saint Lambrecht fino alla liberazione. Le contingenze della vita li separeranno fino al 13 maggio 1988, quando l’Anpi di Padova organizzò il loro incontro, tra la viva commozione di tutti gli intervenuti. Agapito, morto il 7 luglio 2000, ha lasciato una testimonianza della deportazione in un libro di 80 pagine intitolato Sobrevivir a Mauthausen dove, nel raccontare la sua esperienza, ricorda con semplicità, l’intervento a favore del deportato italiano. Nel dicembre scorso, Romolo “Ramon” Pavarotti, ha portato un fiore sulla tomba del suo salvatore, nel cimitero di Perpignan. Agostino Meda, sopravvissuto al lager, rientrò a Torino, dove è morto nel dicembre 2000, senza mai incontrare Pavarotti. Ferruccio Maruffi, che fu suo compagno di internamento, ricorda quando venne portato al blocco, dopo essere stato incatenato e bastonato. E testimonia anche della sua generosità: era sempre pronto a rinunciare a parte della scarsa razione per aiutare i più deboli.

 

 Da Triangolo Rosso, ottobre 2001

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