Triangolo rosso

Per oltre mille ebrei romani

Il viaggio cominciò dalla Tiburtina

Le rotaie dell’orrore

A Birkenau più di 800, tra i quali 243 bambini, vennero subito uccisi nelle camere a gas. Una lapide del Comune di Roma, dell’Aned e della Comunità ebraica

di Aldo Pavia

 

L’appuntamento è a Roma, stazione ferroviaria Tiburtina per la posa di una lapide, per ricordare il 16 ottobre 1943 quando il Ghetto era percorso dalla soldataglia nazista che strappava dalle loro case più di mille ebrei per deportarli a Birkenau. Quando arrivarono alla più tremenda delle “fabbriche della morte”, più di 800 essere umani vennero subito inviati alle camere a gas. Tra di loro 243 bambini. Oltre 550 le donne. Gli ebrei romani furono i primi italiani ad essere deportati in Auschwitz. Per ricordare la loro tragedia e quella di tutti i deportati italiani nei lager nazisti, l’Aned, il Comune di Roma e la Comunità ebraica della capitale, la più antica della Diaspora, hanno voluto apporre una lapide a fianco del primo binario, alla stazione Tiburtina, dalla quale partì, il 18 ottobre del ‘43, il trasporto con i razziati del Ghetto. La lapide è stata scoperta alla presenza di numerosi superstiti e di familiari, di studenti, di professori, dall’allora sindaco di Roma, Francesco Rutelli, del ministro della Pubblica Istruzione, on. Tullio De Mauro, del Rabbino capo, prof. Elio Toaff e di altre numerose autorità, con la partecipazione di tutte le Associazioni dell’antifascismo e della Resistenza, con i loro medaglieri. Ha preso la parola per una breve allocuzione il presidente della sezione romana dell’Aned, cui ha fatto seguito l’intervento di Rutelli. In entrambi gli interventi si è voluto sottolineare il più ampio significato dell’apposizione della lapide. Non solo un momento di ricordo e di commozione, bensì un chiaro atto di volontà politica e culturale di fronte a quanto in Europa e nel nostro Paese giornalmente accade. Al ripresentarsi di razzismi criminali, al proporsi di nuove schiavitù, alle ripetute parole e non solo parole, di intolleranza, di discriminazione, di odio. Alla inaugurazione della lapide ha fatto seguito un incontro con oltre seicento studenti romani, con i loro professori, cui è stato presentato il cd-rom “Destinazione Auschwitz” realizzato dal Cdec. Marcello Pezzetti, dopo l’intervento del presidente della Comunità ebraica di Roma, ing. Leone Paserman, e del ministro De Mauro, ne ha evidenziato le caratteristiche principali, avvalendosi anche della preziosa presenza di Shlomo Venezia, superstite del SonderKommando di Birkenau. L’incontro è stato chiuso da un lucido ed intenso intervento del prof. Amos Luzzato, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane.

 

Ecco il testo della lapide apposta alla stazione ferroviaria di Roma Tiburtina:

 

“Meditate che questo è stato”

Primo Levi

Il 16 Ottobre 1943

più di mille ebrei romani,

intere famiglie, uomini,

donne, bambini,

vennero strappati

alle loro case,

colpevoli solo di esistere.

Da questa stazione,

racchiusi in carri piombati

il 18 Ottobre

vennero dai nazisti

deportati

nei campi

di sterminio.

Sedici uomini

e solo una donna

fecero ritorno.

La loro memoria

e quella di tutti i deportati

romani, ebrei, politici,

militari, lavoratori,

sia monito perenne

perché ovunque simili

tragedie non debbano

essere rivissute.

MAI PIÙ

Comune di Roma

Aned

Comunità ebraica di Roma

16 Ottobre 2000

 

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L’allucinante cronaca di un trasporto dalla Francia

Quel “treno fantasma” verso Dachau

Lo chiamarono così per il suo carico di prigionieri in gran parte malati e inabili - Alla fame, alla sete e alle disumane condizioni igieniche, si aggiunsero bombardamenti e mitragliamenti - E i cadaveri non si potevano scaricare dai vagoni.

 

I trasporti della deportazione rappresentarono l’inizio di un incubo che avrebbe raggiunto il suo acme con l’ingresso nei campi di sterminio. Incubo provocato dall’inumanità del viaggio, esseri umani stipati in uno spazio ristretto con problemi di aerazione, vitto e soprattutto di igiene. Incubo la cui durata dipendeva dalla distanza tra la stazione di partenza ed il campo di destinazione

e dalla percorribilità delle linee ferroviarie. Era il primo lacerante contatto con una realtà neppure immaginabile, quando si pensava di aver toccato il fondo ci si accorgeva che il baratro era ancora profondo. Questa è la storia di uno degli ultimi trasporti partiti dalla Francia, giunto in Germania dopo quasi due mesi, iniziato quarantasette giorni dopo lo sbarco degli alleati in Normandia e conclusosi dopo la liberazione di Parigi.

2 luglio 1944

I tedeschi prelevano dal campo d’internamento di Vernet d’Ariége gli ultimi quattrocento prigionieri, sono detenuti politici francesi e di altre nazionalità, ex soldati dell’esercito repubblicano spagnolo, questi ultimi internati dal febbraio 1939 ed alcuni israeliti. Vi sono diversi elementi ritenuti pericolosi e soggetti a sorveglianza speciale ma perlopiù sono malati ed inabili (1), quelli sani sono evasi o sono stati arruolati nell’organizzazione tedesca Todt. Vengono trasferiti alla stazione di Tolosa dove sono rinchiusi a gruppi di settanta in carri bestiame insieme a centocinquanta detenuti prelevati dal carcere di Saint-Michel di Tolosa e a sessanta donne. I quaccheri riescono a distribuire una pagnotta ed una scatola di sardine ogni due uomini ed un pan pepato ogni sette.

3 luglio

Alla sera il treno si muove verso Nord sulla linea Tolosa – Clermont-Ferand, ma questa è stata interrotta dai maquis prima di Brive-La-Gaillarde (2), per cui viene dirottato da Mountauban sulla Bordeaux-Poitiers. Durante il viaggio il convoglio è mitragliato da aerei alleati, i deportati sventolano una bandiera tricolore fatta di stracci; il mitragliamento ha fine. Si prosegue fino ad Angoulême.

6 luglio

Tre giorni di sosta, durante i quali i tedeschi aprono una volta al giorno i vagoni per permettere ai prigionieri di fare i loro bisogni sotto i carri ed alla Croce Rossa di distribuire pane, frutta ed acqua. Bombardamento della città.

9 luglio

Rientro a Bordeaux. Sosta per tre giorni su binari morti in attesa che le linee diventino percorribili. Cibo fornito dalla Croce Rossa: un piatto di “vermicelli” e una pagnotta di pane.

12 luglio

Alle due del mattino i tedeschi fanno sgombrare il treno. Destinazione i locali della sinagoga di rue Labirat, saccheggiata di ogni arredo e piena di sporcizia. La permanenza dura tre settimane durante le quali la Croce Rossa fornisce zucchero, burro e biscotti, ma i tedeschi vietano la scodella di zuppa quotidiana.

10 agosto

I detenuti sono riportati alla stazione, il nuovo convoglio comprende dei vagoni su cui sono stati stipati i prigionieri prelevati da Forte du Ha di Bordeaux; complessivamente i deportati raggiungono le settecento unità, tra cui sessantadue donne. Il treno parte diretto a Nimes, il viaggio dura due giorni. Ogni ventiquattro ore, il solito quarto d’ora d’aria in un clima reso soffocante dal gran caldo. Oltre alla sete li tormentano mosche, pidocchi e pulci.

11 agosto

Arrivo e sosta a Nimes.

15 agosto

Il treno è bloccato a Remoulins. Lo sbarco alleato in Provenza ha intensificato i mitragliamenti degli aerei americani.

18 agosto

Arrivo a Roquemaure. I prigionieri vengono fatti scendere, si prosegue a piedi per una marcia di diciassette chilometri. A mezzogiorno la colonna transita per Chateauneufe-du-Papè e raggiunge Sorgues verso le sedici al canto della "Marsigliese". La popolazione si precipita alla stazione e malgrado le minacce della scorta distribuisce ai prigionieri pomodori, meloni e vino. Approfittando della confusione creata dalla folla, alcuni ferrovieri fanno evadere trentaquattro deportati che vengono nascosti dagli abitanti (3). Gli altri ripartono alle ore ventuno.

19 agosto

Montélimar. Il mitragliamento del treno costa tre morti e sedici feriti in un vagone. I tedeschi non danno l’autorizzazione di scaricare i morti. Trasbordo su un altro treno.

20 agosto

Valence. Un coraggioso ferroviere aiuta undici detenuti a fuggire, facendoli travestire da operai addetti alle strade. (4)

21 agosto

Transito per Lione.

22 agosto

Sosta a Chalon-sur-Saone. Vengono distribuiti 2.400 grammi di pane per settanta uomini ed un secchio d’acqua per vagone.

24 agosto

Beaune. La popolazione raggiunge in massa la stazione, ma questa volta la scorta è attenta e non permette di avvicinarsi ai vagoni. Confisca viveri e vino. Su un vagone i detenuti sono riusciti con una leva e un coltello a fare un buco nel pavimento ed alle ventidue, mentre il treno viaggia, si calano sulle rotaie: undici riescono nell’intento indenni, il dodicesimo ed il tredicesimo hanno una gamba troncata dalle ruote. Gli altri desistono.

28 agosto

Arrivo a Dachau. Ai deportati vengono assegnati i numeri dal 93834 al 94376; tra evasi e morti mancano circa cento uomini. Le donne proseguono per Ravensbrück. I carri armati di Leclerc sono alla Porte d’Italie a Parigi.

NOTE

1. Appunto dall’aspetto di questi “passeggeri” malati, scheletrici e storpi prenderà il nome di “Treno fantasma”.

2. È in corso la bataille du rail tendente a bloccare il traffico ferroviario per impedire ai tedeschi di mandare rinforzi alle truppe impegnate contro gli alleati sbarcati in Normandia.

3. La via della stazione, dopo la Liberazione, diverrà Rue des 700 déportès.

4. In una di queste evasioni fuggirà l’italiano Francesco Fausto Nitti,combattente della guerra di Spagna e della Resistenza francese; racconterà la sua avventura in Chevaux 8, Hommes 70.

 

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Un doloroso e atteso rimpatrio delle vittime dei lager

Dopo 55 anni i resti potranno tornare

Un doloroso e atteso rimpatrio delle vittime dei lager

Le rotaie dell’orrore

Il rimpatrio delle salme nei campi di concentramento nazisti, in una lettera al presidente nazionale dell’Aned, sen. Gianfranco Maris, da Roberto Zamboni, in rappresentanza del caduto Luciano Zamboni. Ed ecco il testo della lettera:

 

Luciano Zamboni, nato a Mizzola (Verona) il 3 febbraio 1923, venne arrestato a Caprino Veronese e subì 12 mesi di deportazione tra Bolzano e Flossenburg (matricola 43728) dove morì. Per l’interesse suscitato dal problema del recupero delle salme, riteniamo utile pubblicare la lettera di Roberto Zamboni.

Egregio signor presidente, sono il nipote di un ex deportato morto nel campo di

concentramento di Flossenburg il 4 maggio 1945, a soli 22 anni. Mio zio venne sepolto nel cimitero del paese che ospitava il famigerato campo e nel marzo del 1958 i resti della salma furono traslati nel cimitero militare italiano di Monaco di Baviera dal Commissariato generale onoranze caduti in guerra del ministero della Difesa. Qualche anno prima, il 5 gennaio 1951, venne promulgata la legge n. 204 la quale, all’articolo 4, prevedeva che le salme definitivamente sistemate a cura del Commissariato generale non potessero più essere concesse ai congiunti. Con questo articolo, crudele ed assurdo, molti si videro negato il diritto di poter riportare a casa i propri cari, morti tra mille sofferenze nei campi di sterminio. Il 10 marzo 1998, con l’aiuto del Presidente della Camera on. Luciano Violante, riuscii a far presentare in Parlamento una proposta di legge chiedendo la modifica dell’articolo sopracitato. Il 14 ottobre 1999, al termine della procedura legislativa, venne firmata dal Capo dello Stato la legge n. 365 che cambiava l’articolo in questione, permettendo così ai parenti dei caduti sepolti nei cimiteri militari dal Commissariato generale onoranze caduti in guerra, di poter riavere i resti dei propri cari rimasti sepolti per 55 anni lontani dalle loro famiglie. Il secondo comma dell’articolo 4 della legge 9 gennaio 1951, n. 204 venne sostituito dal seguente: “Le salme definitivamente sistemate a cura del Commissariato generale possono essere concesse ai congiunti su richiesta ed a spese degli interessati”. Dopo aver testato personalmente l’efficacia di questa nuova legge che, grazie all’impegno del Commissariato generale ed al consolato generale d’Italia a Monaco di Baviera, mi ha permesso di far rimpatriare i resti del mio povero zio il 2 dicembre 2000, ho pensato che sarebbe stato utile avvisare anche il Centro di documentazione ebraica contemporanea, l’Associazione nazionale ex deportati e l’Associazione nazionale ex internati in Germania, così da permettere loro di attivarsi comunicando alle varie sezioni o alle varie comunità ebraiche sparse per l’Italia della revisione della vecchia legge del 1951. Pertanto le invio di seguito l’indirizzo al quale dovranno eventualmente rivolgersi i parenti dei caduti per poter avere informazioni dettagliate sul rimpatrio e sulla spesa che dovranno sostenere che in linea di massima dovrebbe aggirarsi intorno a £. 1.600.000. Tale spesa comprenderà:

1. Riesumazione dei resti mortali, sistemazione in cassetta-ossario e consegna all’aeroporto di partenza con la documentazione necessaria.

2. Rimpatrio dei resti che verranno custoditi presso il Sacrario militare del Verano (Roma) a disposizione dei parenti per la consegna, o su richiesta, potranno essere trasportati all’aeroporto più vicino alla città del richiedente. Con la speranza di essere stato in qualche modo utile, le invio i miei più cordiali saluti.

Roberto Zamboni

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Per saperne di più

 

Lo stesso Zamboni, in calce alla lettera, fornisce inoltre le seguenti indicazioni. Per informazioni dettagliate i familiari dei caduti potranno rivolgersi a:

Ministero della Difesa (Commissariato generale onoranze caduti in guerra Direzione situazione e statistica Ufficio estero) piazzale Luigi Sturzo, 23 00144 Roma, telefono e fax 06.59.17.895

Il 15 dicembre 2000 ho presentato - scrive ancora Zamboni - una petizione al Senato della Repubblica (annunciata all’assemblea del 17 gennaio 2001 con il n. 847 ed assegnata alla quarta Commissione permanente della Difesa) chiedendo che tutte le spese riguardanti l’esumazione, la sistemazione dei resti mortali in cassetta-ossario ed il rimpatrio siano totalmente a carico dello Stato. Inoltre è stata data copia di questa mia petizione ai presidenti dei gruppi parlamentari alla Camera dall’onorevole Luciano Violante, auspicando così che si possano attivare presentando una proposta di legge che modifichi quella vigente.

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Un mattino del ’44

 

Era neve calpestata,

fango ghiacciato

membra doloranti, cuori sanguinanti.

Le belve

latravano un numero,

la mascella

impietrita ghiacciata

rifiutava l’appello

infernale.

La marea zebrata

incombeva

ti calpestava

avanzava,

nell’alba livida

un’altro giorno

cominciava.

Perfette le file per cinque

una ogni giorno

qualcuno mancava,

il numero urlato passava

era “pace” per quello....

..... ma non “libertà”.

Maria Musso Gorlero

(deportata di Ravensbruck)

 

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Dimenticare

 

Se perdono vuol dire

non desiderare, neppure per un attimo

che i vostri crimini ricadano

su figli innocenti

in questo senso noi perdoniamo

Se perdono vuol dire

non ammettere neppure

che dobbiate soffrire

lungamente l’agonia

sinché la morte divenga liberazione

In questo senso noi perdoniamo

Se perdono vuol dire

sperare che anche per voi

sorga il giorno

perché nella ritrovata matrice

in voi rinasca

il fratello ucciso

In questo senso noi perdoniamo

Ma se perdono vuol dire

disperdere la memoria

come al vento la cenere dei morti

Chiudere occhi, orecchi

impedire al cervello di pensare

mentre voi sognate altri massacri

altri bagni di sangue, altri roghi

Ebbene

cercate altrove

i vostri complici e i vostri servi

Finché avremo un respiro

un atomo di forza

un lampo di pensiero

li useremo contro di voi

finché quel Ventre

non sarà insterilito.

Dopo, soltanto dopo

potremo dimenticare.

Maria Montuoro

(sopravvissuta di Ravensbruck)

 

 Da Triangolo Rosso, marzo 2001

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