Triangolo rosso
Mangiare,
mangiare … e durante la marcia strappavamo l’erba
Gli sconvolgenti ricordi di Carola Cohn, una ebrea tedesca deportata a Terezin, poi ad Auschwitz e a Mauthausen – Ha scritto un libro di cui anticipiamo un capitolo
Poco più di un anno è passato da quando, Pupa Garribba mi ha fatto conoscere Carola Cohn. Per la verità io e l'amico Corazza la conosciamo con il nome di Carla Robitscer, iscritta all'Aned. È ebrea, nata in Germania. A 15 anni viene deportata con il padre a Terezin. Il 10 ottobre 1944 suo padre viene inviato ad Auschwitz e dopo pochi giorni anche Carla lo seguirà. Sfuggita alla camera a gas, viene evacuata in Mauthausen. Quando si avvicinano i giorni della liberazione si trova con altre 500 donne, a Lenzing, un Arbeitskommando femminile, situato in una industria tessile. Con le sue compagne viene liberata il 6 maggio 1945. Dopo la liberazione è vissuta in Israele e negli Stati Uniti. Oggi vive a Roma. Sollecitata dagli amici, dopo lunghi anni di silenzio, ha deciso di affidare la sua testimonianza ed il racconto degli anni del sonno della ragione ad un libro che sta scrivendo. Carla scrive in inglese, lingua che le è più conosciuta. Ne ho potuto leggere tre capitoli, di cui uno "Il prato" è stato tradotto da Paola Del Re. Una lettura che mi ha sconvolto per il dramma vissuto da Carla e mi ha, al tempo stesso, colpito per la qualità di scrittura. Per questo motivo ho chiesto a Carla di potere pubblicare su "Triangolo Rosso" il suo ricordo dei primi giorni dopo la liberazione. E Carla ha acconsentito senza alcun indugio. Al suo libro sono interessati editori americani e italiani.
di Aldo Pavia
Verde, verde, nient'altro
che sfumature di verde. Tutto intorno. Erba forte, steli grassi e lucenti. E
ora, improvvisamente è acqua, acqua trasparente. Quel prato mosso dal vento
d'estate, come le onde del mare. Quelle piccole foglie turgide e fresche, così
vicine al tuo viso, improvvisamente sembrano animarsi; nelle loro vene si può
quasi vedere pulsare la vita. Piccole formiche si arrampicano industriose su
quegli steli, ponti nel loro cammino. Mondo affascinante e pieno di pace in
tanta frenetica attività. Caleidoscopio di verdi dai disegni sempre mutevoli.
E in quel mondo la ragazza si confonde, diviene parte di esso e perfino i
grilli tacciono silenziosi di fronte a quel corpo sdraiato nell'erba, tutt'uno
con essa. "Aspetta un attimo". Quella voce sgraziata, cattiva lacera
improvvisamente quel lembo dorato di pace che le sue mani stavano stringendo.
Sembra venire da lontano a interrompere il suo sonno. Era infatti scivolata nel
sonno senza accorgersene e ora si rende conto che le voci che l'hanno
all'improvviso svegliata appartengono a delle persone che si trovano poco
distante. Ma lei non voleva essere disturbata nel dorato e verde rifugio del
prato."Ti ho detto di aspettare. Metti questo giornale per terra prima di
sederti altrimenti il tuo vestito bianco si macchierà". "Dammi quel
sandwich. Tu prima a casa hai detto che non lo volevi. Ora è mio". Ciaf,
ciaff... Uno strillo e un rumore di carta. Evidentemente un picnic di
famiglia. Ora è la voce del padre a farsi sentire: "Smettetela di
litigare.
Tutti e due. Smettetela. La mamma vi darà da mangiare". Plop, Quello era
il rumore del tappo di una bottiglia. E la voce tace. "Mamma, lo volevo
io quel cetriolo e lei l'ha preso". Sembra che quando le persone
litigano i nomi non esistono. Esiste solo 'lei' o 'lui' su cui è più facile
scaricare la rabbia. Come potevano litigare ora che finalmente erano assieme,
per quel solo giorno della settimana che vedeva tutta la famiglia riunita,
senza più l'affanno quotidiano, circondata da tanta bellezza. Come potevano
ignorarla. Eppure per loro sembrava non esistere. Sembrava fossero ancora in
città, fra il cemento privo di quella bella natura, dove ora erano immersi.
Eppure erano venuti qui a cercarla per il loro pic-nic. La discussione andava
avanti ora per un motivo, ora per un altro, interrotta solo per masticare o
per un ostinato, ombroso silenzio. La ragazza si alzò senza guardarsi
attorno e si allontanò sul prato finché si sentì di nuovo al sicuro, lontana
da quel mondo. Ma la brusca interruzione aveva fatto cessare la sua reverie
e il sentirsi tutt'una con quell'oasi di verde e così cominciò a pensare.
Certo per quelle persone il suo prato non poteva avere neppure l'ombra del
significato
che aveva per lei: avevano mai guardato un prato con gli occhi di una
prigioniera? Lunghe code di donne emaciate, in file di cinque per riga.
File interminabili allineate su una strada polverosa. All'alba, al tramonto,
sempre su strade di polvere. Uomini delle SS ogni poche righe, con i loro cani
da guardia, tenuti da corti guinzagli, che cercavano di farle marciare in un
ordine perfetto. Avanti e indietro dai campi di lavoro forzato che erano stati
loro assegnati. Se era al mattino, erano già in piedi da ore, dalle tre, cacciate fuori dai loro 'letti', letti a castello a tre piani per sei
di loro. I materassi erano sacchi pieni di vecchi giornali. E questa era una
fortuna, altrimenti che cosa avrebbero usato nelle latrine? Svegliate dal sibilo
dei fischietti delle donne delle SS che urlavano di fare in fretta: "Schnell",
"Raus". Di corsa, fuori nelle notti ghiacciate. Fuori per
Zaehl-Appell - l'appello di controllo. Appello riga per riga, fintanto che
tutti i numeri avessero risposto, per essere sicuri che tutti fossero stati
chiamati. Alba dopo alba, durante le grigie, buie ore
dell'alba. E ogni sera, come se fosse ancora rimasta loro un po' di forza,
energia o volontà dopo il giorno passato. L'appello era seguito dalla
"colazione": liquido orrendo di colore scuro: caffè - ersatz - e
forse un piccolo pezzo di "pane", la razione giornaliera che
consisteva, per la maggior parte, di segatura mista a bucce di patate. Le urla
di 'schnell' accompagnate dai sibili delle fruste delle SS che fendevano l'aria.
Infilarsi alla svelta le uniformi a righe grigie e blu, il berretto e cercare
gli zoccoli di legno che non erano mai della misura giusta e spesso spaiati,
perché
bisognava fare in fretta per l'appello. Spesso gli zoccoli si mischiavano ed
era meglio rimanere scalze piuttosto che avere ai piedi due sinistre o destre,
oppure una misura troppo piccola o troppo grande. Fuori in righe di cinque,
file di cento controllate dalle SS e dai loro cani. fame e stanchezza infinite,
mentre il mattino avanzava e la luce si faceva più chiara. Così come la strada
diventava più visibile. Era in arrivo una bella giornata, irreale dopo il
terribile freddo inverno. La strada si snodava
polverosa
in mezzo a un prato fitto di erba dove spuntava anche qualche bocca di leone,
con i suoi fiori carnosi e freschi. Tutte loro cercavano il modo di
camminare il più vicino possibile ai bordi del prato. Più vicine all'erba
verde. Aspettavano che gli uomini delle SS non guardassero verso di loro e
allora si piegavano svelte e strappavano quanta più erba potevano. Alcune di
loro se la mettevano subito, avidamente in bocca masticandola mentre
camminavano; altre la nascondevano sotto la giacca a strisce sperando di poter
aumentare il bottino. Se soltanto quei bastardi le avessero lasciate a
raccoglierne ancora un po'... invece minacciavano di sparare se soltanto
avessero fatto un passo fuori dalla loro fila. Questo veniva definito Flucht
Versuch - tentativo
di fuga - ed era punibile con la morte. Ma la fame era più
forte della paura: che cosa mai poteva essere la morte a confronto con la
loro sopravvivenza. Come si poteva temere la morte, spesso così desiderata, se
la speranza di vivere era ormai svanita. Se dovevano morire per una pallottola,
probabilmente non si sarebbero neppure accorte di morire. Se soltanto non ti
avessero torturato... lentamente ... Meglio non pensare. No. Non pensare. C'è
ancora dell'erba e fra questa anche qualche bella bocca di leone. Il suo fiore
così bello, così appetitoso. Quella mattina la SS che controllava la loro
riga sembrava essere diventato quasi decente: faceva finta di essere intento
a guardare qualcosa all'altro lato della strada. Presto, presto le mani
afferravano
quell'erba preziosa per nasconderla dentro la giacca. Ancora, ancora, ma
l'occhio è anche attento a mantenere l'ordine della fila. Piccoli passi.
Piegarsi rapidamente e rapidamente strappare l'erba, tanta, quanta più è
possibile, poi alzarsi, allungare il passo, veloci anche se gli zoccoli di
legno hanno formato piaghe ai tuoi piedi. Quelle foglie d'erba forse erano state
irrorate dai cani ... ma erano mangiabili, anzi sapevano di fresco, di
meraviglioso. Rappresentavano la sopravvivenza, il nutrimento.
Un sapore che una volta avevano tutte le estati. Ancora un'altra manciata.
Forse domani non si sarebbe presentata un'altra occasione e questa era la loro
unica opportunità per sopravvivere. Se soltanto fosse stato loro concesso
un intero, lungo minuto per metterne da parte abbastanza per nutrirsi per
alcune ore. Mangiarla, nascoste nella latrina. La giovane fantasticava di un
prato ... Tanta erba da mangiare. Mangiare, mangiare ancora; Mangiare tutte
quelle belle bocche di leone senza paura. Bocche di leone pulite, fresche,
raccolte nel prato, non sul bordo della strada. Che cos'altro poteva sperare? E così
i mesi erano passati. Impossibile pensare all'inverno trascorso: giorni,
notti entrambi temuti. I turni di giorno paventati per la tanta stanchezza
dopo una notte disturbata dalle donne dei turni di giorno che rientravano,
dal rumore dei loro zoccoli di legno. Le luci venivano accese un momento, per permettere loro
di cercare i pidocchi e le loro uova. Forse erano troppo stanche per questa
attività, ma non sarebbero state in grado di dormire affatto se non si fossero
uccisi questi parassiti che si cibavano del tuo sangue e che lasciavano
punture infette che prudevano. Turni di notte, paventati perché era troppo
buio per piegarti rapidamente a raccogliere tutta l' erba che potevi. Fame
... Fame ..."Hai mai guardato un prato con gli occhi di una prigioniera? Alcuni soldati americani aprirono un giorno quei
cancelli. Le SS erano fuggite. Erano LIBERE, LIBERE. Incredibile LIBERTÀ. Un
soldato lanciò una pagnotta di pane: non fece in tempo a toccare il suolo
perché centinaia di donne si precipitarono, le mani tese, per afferrarla. Un
mucchio di corpi, braccia, mani. Erano ancora lì a cercare per terra briciole
mischiate alla polvere. Nel filo spinato di recinzione si era creato un grande
squarcio. La ragazza lo attraversò. Guardò il prato aldilà della strada. Là
c'era tutta quella bella erba verde, fresca, pulita... lontano dalla
polvere... stendersi in quel prato, immergersi, sentirsi una cosa sola con quel
mare di verde... nascondersi... Al riparo da tutto il mondo. Finalmente al
sicuro.
Da Triangolo Rosso, a cura dell'ANED di Milano, settembre 2000, per gentile concessione