Triangolo rosso

Il campo di Jasenovac, l’ “Auschwitz croato”

Scoperto in Argentina un criminale ustasha. In pochi anni eliminati circa 200.000 serbi ed ebrei. I crimini degli Ustasha.

Il programma di Ante Pavelic: “Uccidere i serbi nel minor tempo possibile”

 

di Aldo Pavia

 

Vigilia di Pesach, la Pasqua ebraica. Mi telefona Cesar Brown, l’amico giornalista argentino - ci siamo conosciuti durante le udienze dei processi Priebke - e mi chiede affannosamente notizie sul campo di concentramento di Jasenovac. Ha ricevuto da Buenos Aires la notizia che è stato rintracciato un criminale che “lavorò” in quel campo ed il suo giornale chiede urgentemente dati e notizie. Jasenovac mi dice qualcosa, sicuramente è un campo jugoslavo, Altro non so dirgli. Gli fornisco nomi e numeri telefonici a cui rivolgersi, tra cui quello dell’amico Zidar. Ed è proprio Zidar, con le sue indicazioni, a mettermi la pulce nell’orecchio, o meglio ad “aprirmi la memoria”. Comincio a sfogliare libri e ritagli di giornali e, finalmente, ecco qualche dato, qualche notizia per Cesar. Jasenovac, “campo di morte”, l’Auschwitz croato, dove morirono non meno di 200.000 serbi ed ebrei. Situato sulla sponda della Save, lungo la linea ferroviaria Zagabria-Belgrado, era articolato in tre campi. Il campo III funzionò fino al 1945. Gli altri due furono anche inondati dal fiume nel novembre ‘41. Controllato dagli Ustasha, gestito dalla Direzione della Sicurezza Pubblica croata, ad Jasenovac nel 1942 erano relegati circa 24.000 bambini di cui la metà furono assassinati. Quelli risparmiati, dopo l’uccisione dei loro genitori, raccolti dalla Caritas dell’arcivescovo Stepinac, vennero “convertiti” al cattolicesimo, veri “professanti” dell’unica e vera Chiesa. Proprio quell’arcivescovo Stepinac che in occasione della Pasqua, si rallegrò poiché “insieme a Cristo, rinasceva anche lo Stato ustasha”. Dedicando a questo una pastorale, ebbe a scrivere che “è facile riconoscere in quest’opera (la rinascita dello stato - n.d.r.) il tocco di Dio”. Jasenovac fu comandato, a partire dalle seconda metà del 1942 e per alcuni mesi, dal frate francescano Miroslav Filipovic - Majstorovic, appoggiato da altri religiosi e francescani tra i quali Brkljanic, Matrkovic, Brekalo, Celina e Lipovac. Già tristemente famoso per le decapitazioni di massa, a Jasenovac sotto il comando del frate francescano vennero eliminati 40.000 esseri umani, molti strangolati proprio dal religioso, cui piaceva esibirsi come “strangolatore magico”. Prima di lui, in una sola notte, il 29 agosto ‘42 Brizca, uno stipendiato dei francescani, decapitò 1360 persone con un coltello speciale. Filipovic, soprannominato “fratello diavolo”, fu giustiziato nel 1945. Altri Lager furono creati nella Croazia ustasha: Jadovno, Ogulin, Djakovo, Zenic, Pag, Koprivnica, Kruscica, Loborgrad e altri. Brocice, Ustice, Siaak, Gornja, Rijeka erano appositi Lager per i bambini. Vittime degli ustascia erano gli ebrei, i serbi, gli zingari, gli oppositori politici. Fucilati, annegati, accoltellati, torturati uccisi per fame, per malattie. Ogni tipo di morte era prevista e perseguita. E per il terzo di popolazione già sparita nel ‘41, la versione ufficiale, porta con un inequivocabile sorriso da Kvaternik ai diplomatici di Ciano, era: “emigrazione”. Una emigrazione fatta anche di crani fracassati a colpi di martello. Nulla di che meravigliarsi, se il programma politico di Pavelic era, secondo le affermazioni di padre Simic al comandante italiano della divisione Sassari: “Uccidere i serbi nel minor tempo possibile. Questo è il nostro programma”.

Da Triangolo Rosso, dicembre 1998

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