Triangolo rosso

Una testimonianza di Clara Avalle

Così Frida Malan aiutò i partigiani nel campo di Fossoli - Un episodio inedito, un pezzo di storia minuta della Resistenza. Il massacrante viaggio da Torre Pellice a Modena. In bicicletta fino al Lager. La solidarietà di alcuni operai che lavoravano all'interno.

 

Tra il marzo e il luglio 1944, prima di essere arrestata e poi incarcerata per circa un mese nella caserma di via Asti a Torino, Frida Malan tenne dei contatti con il campo di concentramento di Fossoli presso Carpi, in provincia di Modena, campo di transito e di prigionia per coloro che erano destinati alla deportazione in Germania. Ma perché Frida andò per ben due volte a Fossoli? chi la mandava? È stata lei stessa a raccontarmelo, ecco la sua testimonianza:

"In seguito ai grandi rastrellamenti del marzo 1944 i nazifascisti avevano ripreso posizioni nelle Valli Valdesi di Luserna, Rorà e Angrogna, molti partigiani erano stati uccisi e altri catturati. Tra questi ultimi vi era anche Jacopo Bombardini di Carrara, antifascista di fede mazziniana, aderente al Partito d'Azione e molto amato nelle Valli, anche per la sua opera di evangelizzatore protestante. Era grande amico di mio fratello Roberto e di tutta la mia famiglia. Lombardini e gli altri partigiani catturati furono dapprima portati a Luserna S. Giovanni e in seguito alle carceri "Nuove" di Torino, poi di loro non si seppe più nulla; erano scomparsi e non si riusciva a capire dove fossero finiti. A quel tempo ero nella Resistenza e conoscevo bene il mondo ebraico, anche perché tenevo i collegamenti con gli Ebrei fornendo loro, ad esempio, le carte d'identità false che portavo a Rorà e altrove. Così, in quell'ambiente avevo sentito parlare di un grande campo per gli Ebrei, diventato luogo di detenzione anche per i prigionieri politici; avevo avuto delle informazioni e ricordo che me ne aveva parlato Paola Levi, il cui figlio Geo Levi era anch'egli in campo di concentramento. Ebbi allora come un'intuizione, l'idea improvvisa che a Fossoli potessero esserci anche Lombardini e i partigiani scomparsi nelle Valli. Le loro famiglie mi misero a disposizione i mezzi per fare il viaggio e per organizzare, giunta là, un servizio di assistenza ai detenuti, qualora li avessi trovati. Così, la prima volta partii da Torre Pellice in treno con due valigie enormi piene di viveri e di vestiti e con il denaro datomi dalle famiglie. Dopo un viaggio massacrante giunsi a Modena proprio durante un allarme, trascinai le mie valigie in un albergo dove trascorsi la notte e la mattina dopo partii per Carpi con un trenino. Avevo l'indirizzo di un operaio che faceva parte della organizzazione clandestina locale antifascista, costituita anche da operai che lavoravano nel campo stesso e che tenevano i contatti con i prigionieri e con l'esterno. Ricordo che giustificavo la mia presenza in albergo facendomi passare per una studentessa in architettura, venuta per fare studi sulla piazza di Carpi. A mettermi in contatto con Lombardini fu un muratore che faceva parte della organizzazione antifascista e che lavorava nel campo: a lui consegnai i viveri affinché li distribuisse ai partigiani e il denaro delle famiglie per poter organizzare, fin dall'inizio, un servizio di assistenza ai prigionieri. Grazie anche alla complicità di un soldato siciliano di guardia, al quale il muratore aveva parlato dicendogli che ero una ragazza giunta lì per salutare suo padre, potei comunicare con Bombardini alcune volte, a giugno e nel mese successivo. Per poterlo vedere, arrivavo in bicicletta da Carpi e mi mettevo in attesa, al riparo, sotto l'arco di una casa colonica; poi, a mezzogiorno, mentre i contadini, evidentemente avvertiti della mia presenza, si ritiravano per il pranzo, nel breve intervallo di tempo necessario per il cambio della sentinella io parlavo con Lombardini, sia pure a una certa distanza e a voce elevata. La prima volta che lo vidi mi rassicurò sulla sua salute, mi comunicò alcune parole d'ordine per i partigiani delle Valli e poi ricordo che chiese delle Bibbie. Tornai a Fossoli il mese successivo inviata, questa volta, dal gruppo dirigente del Partito d'Azione che mi fornì l'appoggio e ciò che occorreva per organizzare un vero e proprio servizio di assistenza e vettovagliamento per i partigiani prigionieri, affinché a Fossoli non si sentissero abbandonati. Anche questa volta - era il luglio 1944 - portavo viveri e denaro; rividi Lombardini che mi ringraziò per quanto aveva ricevuto e manifestò la sua fiducia di tornare libero. Morirà invece, com'è noto, a Mauthausen nell'aprile 1945. Il mio ritorno a casa fu difficile e pericoloso. I treni non partivano e io, sulla piazza di Carpi - mi rivedo ancora - vedevo i camion carichi di fascisti e repubblichini in fuga verso il Nord Italia: avevo deciso di non accettare nessun passaggio perché non volevo, se uccisa, finire sepolta con loro. Accettai invece un passaggio che un uomo mi diede in sidecar fino a Suzzara, dove, dicevano, ci sarebbe stato qualche mezzo per risalire verso il nord. Così viaggiai sotto la minaccia degli aerei e solo più tardi riuscii a salire su un treno merci. Viaggiavo sola, spesso anche con soli uomini e sempre in condizioni di fortuna, ma non avevo paura. Forse ero anche incosciente, ma quella era la lotta contro un regime che i miei compagni e io, con tutte le nostre forze, non volevamo; la nostra lotta per la libertà che ci ha resi più liberi".

Clara Avalle

Da Triangolo Rosso, aprile 1997

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