Triangolo rosso
Un importante convegno a Torino
La storia poco conosciuta dei religiosi a Dachau
Si è tenuto a Torino il 14 febbraio scorso un convegno organizzato dall'Aned con la collaborazione del Consiglio regionale del Piemonte e del Dipartimento di storia dell'Ateneo torinese, sulla deportazione dei religiosi. Sono intervenuti tra gli altri il presidente del Consiglio regionale Rolando Picchioni, il vicepresidente Andrea Foco, il prof. Francesco Traniello dell'Università di Torino, Mons. Franco Peradotto, il prof. Federico Cereia dell'Università di Torino, il prof. Enzo Collotti dell'Università di Firenze, il prof. Maurilio Guasco dell'Università di Alessandria, la ricercatrice Antonella De Bernardis. Hanno portato il proprio contributo di studiosi e di testimoni diretti, in quanto ex deportati nei Lager nazisti, Bruno Vasari ex di Mauthausen, presidente dell'Aned regionale, Beppe Berruto ex deportato a Dachau, Italo Tibaldi ex di Mauthausen, don Angelo Dalmasso ex di Dachau e Allach, e Giovanni Melodia, ex di Dachau.
Furono quasi tremila i religiosi internati nel campo di concentramento di Dachau e la metà di questi non riuscì a salvarsi. A cinquant'anni di distanza dalla barbarie nazista, nel decennale della scomparsa di Primo Levi, viene alla luce uno degli aspetti meno conosciuti della persecuzione. Merito del convegno "I religiosi nei lager" organizzato dall'Aned (Associazione Nazionale ex Deportati) in collaborazione con il Consiglio Regionale e il dipartimento di storia dell'Università: il sedicesimo degli appuntamenti voluti dal Comitato per l'affermazione dei valori della Resistenza. Di fronte ad una attenta platea di studenti, storici e testimoni hanno parlato della deportazione dei religiosi durante la seconda guerra mondiale: "Fino ad ora - ha spiegato il presidente dell'Aned Bruno Vasari – si è affrontato poco questo aspetto della deportazione per la difficoltà di reperire dati precisi. Molti dei sacerdoti internati, infatti, al momento di varcare la soglia del lager non dichiararono di essere ministri di culto per poter continuare la loro opera anche all'interno del campo". Secondo i dati ricavati dalla segreteria del lager di Dachau, i religiosi internati tra il ‘40 e il ‘45 furono 2.720, di cui 2.579 cattolici, 109 protestanti, 22 greco-ortodossi, 8 maroniti e 2 musulmani. La stragrande maggioranza (1780) erano polacchi, 447 i tedeschi. I sacerdoti italiani a Dachau furono 28, ma a questi bisogna aggiungere i 200 cappellani militari catturati dopo l'8 settembre che, all'interno dei campi, assunsero spesso il ruolo di vere e proprie guide spirituali e morali: "I cappellani militari - ha confermato la ricercatrice Antonella De Bernardis - condussero nei campi una importantissima opera di resistenza senz'armi. Non si limitarono ad amministrare i sacramenti ma furono punti di riferimento ed elementi di coesione in una situazione di grande sbandamento". Tra le testimonianze più toccanti, quella di don Jozef Kubicki, un sacerdote polacco scampato all'orrore di Dachau dopo cinque anni di prigionia: "La persecuzione dei religiosi in Polonia – ha ricordato Kubicki - fu praticata dai nazisti in maniera sistematica per distruggere uno degli elementi più forti di identità nazionale. Ma noi resistemmo. Nonostante all'interno del lager fosse strettamente vietato pregare, cercavamo in ogni modo di farlo. Nelle piantagioni, mentre eravamo piegati per togliere l'erbaccia, tenevamo davanti a noi a turno la scatoletta dell'Eucarestia per l'adorazione".
L’intervento introduttivo di Bruno Vasari, presidente dell’Aned piemontese
Le radici lontane di questa ricerca
Riportiamo di seguito ampi stralci dell’intervento introduttivo di Bruno Vasari, presidente dell’Aned piemontese, al convegno di Torino su: “I religiosi nei Lager”
Questo convegno, il 15°, chiude al momento (un altro convegno avrà luogo prossimamente) la serie organizzata dall'Aned con il patrocinio del Consiglio regionale del Piemonte. L'Aned che ho qui l'onore di rappresentare è l'Associazione nazionale ex deportati politici nei Lager nazisti, eretta in Ente Morale, che comprende donne, uomini, cattolici, ebrei, protestanti, agnostici, atei con diversi orientamenti culturali, nonché i famigliari dei caduti. L'Associazione è sempre rimasta compatta, tale è il cemento del dovere di testimoniare, e non subì scissioni neppure nei momenti più concitati della guerra fredda. Scopo dell'Associazione è la testimonianza per documentare con rigore giuridico tutti gli aspetti della deportazione nonché per cercare di evitare che la barbarie possa ripetersi in senso morale, religioso o laico. In questi tempi di nazionalismi diffusi, di fondamentalismo feroci, di razzismi esasperati le voci della testimonianza corrono il pericolo di essere sopraffatte. Ma gli ex deportati moltiplicano e moltiplicheranno i loro sforzi e si preparano per domani con concreti provvedimenti onde mettere in buone mani il testimone e produrre più libri che sia possibile, non improvvisati, ma rispondenti a criteri di rigore storiografico. In questa linea di comportamento sentono non solo di compiere il loro dovere, ma anche di onorare concretamente la memoria di Primo Levi, il grande testimone scomparso or sono dieci anni. Il convegno di oggi non è un'improvvisazione, non è un evento occasionale ma ha radici lontane. Una di queste radici è l'intervento di Mons. Manziana al nostro 1° convegno "Il dovere di testimoniare" intervento molto pregnante, di indubbio valore documentario, di profonda religiosità che potrete leggere negli Atti pubblicati dal Consiglio regionale del Piemonte - luglio ‘84. Mons. Carlo Manziana del 1903, ordinato sacerdote nel 1927 ha vissuto la eccezionale ricorrenza del 70° di ordinazione sacerdotale il 3 gennaio 1997 a Brescia. All'unanime compiacimento uniamo i nostri più fervidi auguri. Una fragile radice ancora più lontana nel mio resoconto di prigionia a Bolzano e a Mauthausen pubblicato nel 1945. E' a tutti noto e ampiamente documentato che il regime nazista intendeva distruggere il Cristianesimo e sostituire l'antico paganesimo delle divinità primitive delle tribù germaniche ed il nuovo paganesimo degli estremisti nazisti. Martin Bormann, uno dei più stretti collaboratori di Hitler, in una riunione di partito affermò: "Per noi nazionalsocialismo e Cristianesimo sono inconciliabili" (Shirer, The nightmare years, 1948, pag. 156). Rosenberg il "filosofo" del nazionalsocialismo nel suo demenziale regolamento della nuova Chiesa nazionale del Reich scrive: "art. 13 ...immediata cessazione della pubblicazione e della diffusione della Bibbia in Germania; art. 14 Sugli altari null'altro che il Mein Kampf (per la nazione tedesca e quindi a Dio il libro più sacro) e alla sinistra dell'altare una spada" (Shirer, pag. 157). Una tempesta contro il cattolicesimo fu sollevata dalla diffusione clandestina dell'Enciclica Mit Brennender Sorge di Pio XI. La Gestapo compì azioni di sequestro e arrestò alcuni sacerdoti (Frei, pag. 315). Sull'argomento delle persecuzioni ai religiosi segnalo il recente libro Il processo di Norimberga (Mursia 1997) di Giuseppe Mayda. Il convegno tratta specificamente dei religiosi italiani nel Lager di Dachau. La deportazione degli italiani ha inizio nel tardo 1943 - dopo l'occupazione nazista a partire dall'8 settembre. Gli italiani incontrano altri religiosi di altre nazionalità e intrecciano dei rapporti, oggetto di questa ricerca. Riflettendo su Dachau mi sono sempre chiesto quali pensieri potevano scambiarsi questi eccezionali prigionieri ben sapendo che il terrore totale dei Lager nazisti lasciava inverosimilmente, incredibilmente uno spazio sia pure limitatissimo per comunicare liberamente tra prigionieri. Ampia documentazione in proposito in Se questo è un uomo di Primo Levi. Modestamente anche la mia testimonianza che si intreccia con quella di Manlio Magini. Altra insistente domanda: perché Dachau? Naturalmente la concentrazione dei religiosi a Dachau non fu totalitaria. Dice Primo Levi: "Anche la più perfetta delle organizzazioni presenta lacune". Anch'io incontrai a Mauthausen due religiosi con i quali venni a contatto. Su questo aspetto della ricerca Italo Tibaldi vi dirà qualcosa di più ampio e preciso. Ho parlato di aspetti di ricerca. Pur con il più deferente rispetto per i religiosi, per questi nostri compagni di deportazione e di profonda comprensione per le motivazioni e gli atteggiamenti di opposizione al nazismo, ci siamo proposti di trattare l'argomento con impegno storiografico evitando toni celebrativi propri di altri convegni. Veniamo ora alla testimonianza di Mons. Manziana al convegno Il dovere di testimoniare, che contiene una risposta alla nostra prima domanda sugli scambi di pensiero tra religiosi deportati. “Nei tempi liberi avvenivano degli incontri spirituali e culturali nella prospettiva della sperata libertà. La maggior parte erano temi che il Concilio Vaticano II e le encicliche dei pontefici hanno affrontato. Tra cattolici, ortodossi, ed evangelici si era stabilito un rapporto di amicizia, di comunione nella preghiera e di fraterna collaborazione, anticipando il dialogo ecumenico che nel Concilio Vaticano II avrebbe trovato la sua espressione più significativa. Tra sacerdoti e laici di ogni convinzione nacque una conoscenza ed una comprensione reciproca nel segno della più fraterna cordialità, nella comune avversione al nazifascismo e nella originale speranza di sopravvivere per impegnarsi a realizzare una società veramente libera, giusta ed unita nella concordia.” Non c'è invece in Manziana la risposta alla domanda: “perché Dachau”, fuorché un accenno ad uno spostamento di baracca di alcuni religiosi per interessamento del Cardinale Bertrand di Breslavia. Un pallido indizio a mia conoscenza è la lettera del segretario di Stato Mons. Giovan Battista Montini in data 12 febbraio 1944 per confermare ad una signora di avere segnalato Luigi e Piero Valenzano, nipoti del Maresciallo Badoglio, deportati, al Nunzio Apostolico in Germania con preghiera di prestare ad essi ogni possibile assistenza (Gino Valenzano, L'inferno di Mauthausen, S.A.N. Torino, Ristampa 1993).
Da Triangolo Rosso, aprile 1997