Triangolo rosso
Verso il processo a Theo Saevecke
Due buone ragioni per ricordare piazzale Loreto
di Sergio Fogarolo
A Milano un McDonald, numerosi negozi, una banca e un palazzo sorgono oggi in piazzale Loreto al posto del distributore di benzina che divenne famoso per la macabra esposizione dei cadaveri di Mussolini, della sua amante e di alcuni gerarchi fascisti il 29 aprile ‘45. Non molto tempo fa Combat Film ha mostrato quelle immagini raccapriccianti e ha sollevato un vespaio di indignazione per il comportamento impietoso della gente. Tuttavia, i milanesi più avanti con gli anni ricordano bene che la popolazione reagì in modo così spietato e crudele perché era ancora tragicamente ferita da un episodio di brutale violenza inferta dai nazifascisti alla Resistenza e alla città otto mesi prima. Sarebbe bene che tutti gli italiani conoscessero la verità storica per poter esprimere un’opinione documentata su quegli avvenimenti. Infatti, poco più in là, in posizione modesta e defilata, al vertice del giardinetto di via Andrea Doria che si affaccia sull’angolo di piazzale Loreto con viale Brianza, c’è la stele che ricorda 15 partigiani fucilati il 10 agosto 1944 da un plotone fascista per rappresaglia, a seguito di un attentato che aveva fatto saltare un camion della Wehrmacht in viale Abruzzi due giorni prima. Il rapporto sull’attentato del Comando di presidio della Guardia nazionale repubblicana elenca 6 morti, 5 feriti ricoverati all’ospedale di Niguarda e 6 feriti leggeri “medicati e ritornati ai loro domicili”. Eccezion fatta per il graduato tedesco che guidava il camion, e che risulterà ferito leggermente a una guancia, morti e feriti erano tutti italiani. Il più giovane era un ragazzo di 14 anni. L’attentato non venne mai rivendicato da alcun gruppo organizzato della Resistenza. In precedenza, anche per evidenti ragioni di propaganda, la rivendicazione era sempre arrivata, anche quando erano stati coinvolti dei civili. Così l’ipotesi più ragionevole attribuisce l’iniziativa di viale Abruzzi a elementi antifascisti isolati. Nel suo “Promemoria urgente” per il Duce, il capo della Provincia Parini conferma che “le vittime dell’attentato di Viale Abruzzi erano tutte italiane e neppure un tedesco e quindi era giusto che se la rappresaglia si fosse fatta anche le autorità italiane dovevano esprimere il loro avviso”, ed esprime un giudizio pesantissimo sull’episodio: “Il modo della fucilazione era stato quanto mai irregolare e contrario alle norme”. In effetti la rappresaglia di piazzale Loreto fu intimata dai nazisti allo stato illegittimo di Salò - che si prestò a eseguirla - al solo scopo di diffondere il terrore tra la popolazione civile ed affermare il controllo tedesco sul territorio italiano, secondo la logica dell’occupazione già ampiamente sperimentata in tutta Europa. Il capitano delle SS Theo Saevecke, comandante dell’Aussekommando Mailand, ordinò che venisse messo a disposizione un reparto fascista per provvedere alla fucilazione. E a curare personalmente la selezione dei partigiani da fucilare fu sempre il capitano Saevecke, che aveva anche la responsabilità della conduzione del carcere di San Vittore. Al momento di portare i Quindici al luogo della fucilazione, alle 4,30 del mattino, a ciascuno fu distribuita una tuta da operaio, per far credere loro che sarebbero andati a lavorare per la Todt. A eseguire l’ordine di fucilazione impartito da Saevecke fu un plotone fascista (Muti). L’operazione cominciò alle 5,45 del mattino del 10 agosto e si concluse alle 6,10, dopo che furono inseguiti e uccisi due degli ostaggi che, pur feriti, erano riusciti a fuggire nelle vie adiacenti. L’ufficiale nazista che controllava l’esecuzione dell’ordine, ligio alle disposizioni di Saevecke, ordinò che i corpi martoriati dei Quindici restassero esposti per tutta la giornata in piazzale Loreto. Volendo trasmettere un duro monito alla popolazione e alla Resistenza i nazisti scelsero quel luogo perché volevano che il maggior numero di persone possibile vedesse e sapesse. All’epoca questo era un punto di convergenza del pendolarismo milanese verso le fabbriche di Sesto e della Brianza e di quello dell’Hinterland verso Milano. Negli orari di punta dei giorni lavorativi il transito dei pendolari arrivava a diverse decine di migliaia di lavoratori. Ma in quella occasione la voce del raccapricciante episodio corse rapidamente di bocca in bocca e moltiplicò enormemente il numero dei passanti. La scelta del posto, i modi della fucilazione e l’arrogante crudeltà della lunga esposizione dei corpi martoriati (al contrario di quanto avvenne alle Ardeatine, dove si cercò di nascondere il misfatto) lasciarono un segno indelebile nella popolazione di Milano e nelle file della Resistenza, caricando di un forte valore simbolico il luogo e l’evento. Se si comprende questo, diviene più facile comprendere il secondo e più famoso episodio legato a piazzale Loreto, l’esposizione dei cadaveri di Mussolini, della sua amante e degli altri gerarchi fascisti il 29 aprile ‘45. E se a questo aggiungiamo l’esasperazione della gente, causata dall’oppressione nazifascista, dai lutti diffusi, dai sacrifici economici imposti dalla lunga guerra e dai disagi di ogni genere, sarà più facile capire il comportamento incivile di parte della popolazione documentato dalle immagini di Combat Film. Ci sono almeno due ottimi motivi per ricordare questi fatti dolorosi a distanza di oltre cinquant’anni.
1 Nell’attuale clima di rimozione collettiva delle responsabilità storiche, noi italiani dovremmo sentire il dovere civico, prima ancora che morale, di capire quel travagliato periodo e di assumerci le responsabilità che ci competono. Troppo spesso ci dimentichiamo che siamo una Nazione da poco più di un secolo e una democrazia compiuta da poco più di cinquant’anni. Ma soprattutto dobbiamo ricordare che il fascismo ha pesanti responsabilità nel mancato sviluppo democratico, civile ed economico del Paese. Tanto per ricordarne qualcuna: l’eliminazione delle libertà politiche e sindacali; le leggi razziali; l’autarchia che costrinse il paese entro i propri confini culturali ed economici; l’addebito alle classi meno abbienti del costo della ricerca del pareggio del bilancio dello stato, attraverso riduzioni dei salari effettuate d’autorità dal governo; la diffusa miseria; la realizzazione di uno stato illegittimo - la cosiddetta Repubblica di Salò che si oppose a quello legittimo, trascinando il Paese in una sanguinosa guerra civile, mentre era in corso la guerra di liberazione dell’Italia dall’invasore straniero. E non va assolutamente dimenticato che fu la politica dell’Italia fascista, insieme a quella scellerata della Germania nazista e del Giappone, la causa prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, che provocò 60 milioni di morti.
2 In una sala dello splendido Museo Monumento al Deportato di Carpi c’è una frase molto significativa di un resistente lussemburghese: "Non crediate che tutto finirà così. Sarete chiamati a rendere i conti. Quel giorno non è lontano, e allora, guai a voi! Ma non voglio essere io a giudicarvi". Il 16 luglio scorso il dottor Rivello della Procura militare della Repubblica di Torino ha chiesto l’incriminazione del criminale nazista Theo Saevecke per omicidio plurimo in danno dei 15 partigiani di piazzale Loreto. In carica da poco più di un anno, egli si è posto subito l’obiettivo di smaltire gli arretrati del suo ufficio, e dopo il censimento dei procedimenti giacenti, ha dato corso a quelli che presentavano due requisiti indispensabili: documentazione sufficiente (sia pure da aggiornare e completare) e indiziati ancora viventi. Il caso Saevecke, colposamente “dimenticato” per oltre cinquant’anni e posto in posizione di “archiviazione provvisoria” dai suoi predecessori, è tra gli ormai pochi casi che rispondono a questi due requisiti. In occasione dell’approssimarsi del procedimento, il 20 settembre scorso si è costituito il “Comitato I Quindici” che ha lo scopo di tutelare gli interessi morali, politici, sociali, storici e anche economici delle famiglie dei caduti di piazzale Loreto, e che per questi motivi si costituirà parte civile nel processo contro Saevecke. Da questa azione legale i familiari si aspettano solo quella giustizia che fu loro negata per cinquant’ anni dalla magistratura militare. In questo modo, essi intendono evitare che i Quindici siano uccisi per la seconda volta dall’ondata di revisionismo storico che vorrebbe trasformare i carnefici in vittime. L’obiettivo concreto del Comitato è quello della ricostruzione storica dei fatti, per evitare che sulla scelta dei Quindici, e sulla loro morte, si faccia colposa disinformazione, così come hanno fatto alcuni giornali milanesi, o - peggio – speculazione politica, come fa certa memorialistica neofascista. Per concludere, la costituzione di parte civile dei familiari dei Quindici ha lo scopo di scrivere la storia della fucilazione dei 15 patrioti di piazzale Loreto, in quanto pagina gloriosa della storia della guerra di liberazione.
Da Triangolo Rosso, novembre 1997