TESTIMONIANZE di SOPRAVVISSUTI
Ricordo che giocavo con mia sorella e il mio cuginetto Sergio
Nata
a Fiume nel 1937, fu deportata ad Auschwitz nel marzo del 1943. Insieme alla
sorella Andra, è sopravvissuta miracolosamente allo sterminio. Vive in Belgio e
si dedica attivamente a portare la propria testimonianza ai giovani.
La
sera del 28 marzo 1944 siamo state arrestate dai tedeschi e dai fascisti,
accompagnati fino a casa dal nostro delatore, perché eravamo di razza ebrea.
Questo triste avvenimento è stato l'inizio di un capovolgimento della nostra
vita. All' epoca avevo solo 6 anni e nonostante fossero state emanate le leggi
razziali, la vita della mia famiglia scorreva tranquilla. È vero però che gli
zii persero il lavoro e un cugino più grande dovette abbandonare la scuola
pubblica per frequentare quella della comunità ebraica di Fiume. Andavo
all'asilo, non cominciai la prima elementare come avrei dovuto, ma la frequentai
più tardi a Praga dove ci portarono i russi che avevano liberato il campo di
Auschwitz. Ricordo che giocavo con mia sorella e con il cuginetto Sergio che
veniva a trovarci da Napoli assieme alla mamma Gisella e si trovavano a Fiume
quella triste sera del 28 marzo 1944. Ricordo anche le corse al rifugio durante
i bombardamenti. Papà era
assente, navigava per il Lloyd Triestino e nel 1940 il piroscafo sul quale era
imbarcato si trovava in Sud Africa, nelle acque territoriali inglesi, e fu fatto
prigioniero. Per non dimenticare nostro padre, ogni sera, prima di rimboccarci
le coperte, la mamma ci accompagnava davanti alla foto che li ritraeva nel
giorno delle loro nozze per augurargli la buona notte. Poi venne Auschwitz e,
una volta chiusa nel campo, mi resi conto che cos' era ciò che ci differenziava
dagli altri: la religione. Noi eravamo ebree come quasi tutti gli internati di
quel campo di concentramento. Solo molti anni dopo mi resi conto cosa volesse
dire essere state ebree in quel periodo. Nel campo mia sorella, nostro cugino e
io eravamo sempre assieme. Siamo rimaste ad Auschwitz fino alla fine della
guerra mondiale. Nostro cugino Sergio fu portato, assieme ad altri 19 bambini,
ad Amburgo, a Neuengamme, dove si concluse tristemente la Stia breve vita. I
bambini a Neuengamme furono sottoposti a esperimenti medici. Alla liberazione
parlavamo anche in tedesco, poi a Praga abbiamo imparato la lingua ceca e nel
frattempo avevamo dimenticato l'italiano. Più tardi in Inghilterra, dove siamo
state accolte in un centro per bambini sopravvissuti alla Shoa, abbiamo appreso
l'inglese perché frequentavamo la scuola pubblica. In Inghilterra la nostra
infanzia ci fu restituita, in quanto siamo state circondate da tanto affetto,
premure e calore umano di persone qualificate, che erano lì per aiutarci a
dimenticare gli orrori vissuti e a ridarci fiducia e speranza per il futuro.
Ancora oggi siamo in contatto con la nostra Manna, diventata quasi una mamma per
noi. I nostri genitori, nel frattempo rientrati in Italia, riuscirono con
l'aiuto della Croce rossa a ritrovarci. La fotografia della «buona notte» ci
consentì di riconoscerli e per fortuna ricordavamo i nostri nomi e il nostro
cognome. La mamma ce lo ripeteva sempre quando ad Auschwitz riusciva a venire ad
abbracciarci. Ormai molti anni sono trascorsi da quell'orribile periodo. Nella
ritrovata famiglia non se ne parlava molto, probabilmente anche perché chi ci
circondava appariva incredulo quando la mamma raccontava la sua terribile
esperienza e noi bambine eravamo troppo giovani. Ma i ricordi anche adesso e
forse soprattutto adesso sono ancora molto vivi. Abbiamo così avuto la fortuna
di crescere, di diventare adulte, mogli, madri e ora anche nonne. Abbiamo avuto
una vita con i suoi dolori e con le sue gioie. Certo, a volte i ricordi mi
riassalgono improvvisi, basta un treno merci, una ciminiera o una qualche
marcetta vagamente militare, ma poi la vita riprende il suo corso. Il dolore più
grande però è la scomparsa di nostro cugino rimasto per sempre bambino.
(da l'Unità 27 gennaio 2005 - Voci della memoria - Testimonianza e racconto della deportazione)