Schede tematiche
Razzismo e antisemitismo
Il termine "razzismo" è usato per designare sia le teorie, che esaltano le qualità di una razza affermando la necessità di salvaguardarne la purezza e la preminenza, sia i comportamenti fondati sul presupposto che i caratteri socioculturali e le vicende storiche delle popolazioni umane dipendano più o meno strettamente dai loro rispettivi patrimoni genetici (la loro "razza") e che, perciò, tra le diverse civiltà umane sia possibile stabilire una gerarchia di valore o di merito.
Il termine "antisemitismo", con cui, a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, si designa una posizione ideologica antiebraica di tipo razziale, fu usato per la prima volta nel 1879 dal giornalista W. Marr per definire i termini del conflitto tra gli ebrei e i loro vicini in una Europa secolarizzata, con l'implicito significato che l'identità politica nel mondo moderno era basata sulla razza e sulla nazionalità e che le inconciliabili differenze tra ebrei e non ebrei sarebbero culminate nella vittoria degli uni e nella sconfitta degli altri.
La parola "razza" attribuita a esseri umani compare nel XVII secolo, ma è solo nella prima metà del Settecento, prima con C. Linneo e poi con G.L.L. Buffon, che il termine viene introdotto nella letteratura scientifica nel suo significato zoologico e per designare le varietà umane. Carlo Linneo (nome latinizzato di Carl Von Linné, naturalista svedese, 1770-1778) distinse i popoli a seconda del colore, delle dimensioni e della forma corporea. Individui con caratteristiche simili venivano catalogati come appartenenti a una stessa razza. Da tale impostazione derivarono giudizi sul carattere e sulla personalità degli individui, supponendo che a determinate caratteristiche fisiche ed esteriori corrispondessero determinate qualità spirituali. Con la diffusione delle dottrine di C. R. Darwin (1809-1882), e in particolare del concetto di selezione naturale, si affermò un altro principio che sarà la base del razzismo: il perseguimento della purezza razziale come valore e obiettivo primario. In altri termini si pensava che per mantenere forte una razza, soprattutto una razza superiore, occorresse mantenerla pura e incontaminata da incroci con razze diverse e inferiori che la indebolivano.
Bisogna tuttavia aspettare la pubblicazione del Saggio sull'ineguaglianze delle razze umane ("Essai sur l'inégalité des races humaines", 1853-55) di J. A. Gobineau (1816-1882) per avere il primo esempio di una compiuta e organica visione storica d'ispirazione razzista, che diventa il supporto ideologico all’imperialismo colonialista, dagli ultimi decenni dell’Ottocento sino alla prima guerra mondiale. Gobineau, partendo dal presupposto dell'ineguaglianza razziale, afferma che solo le razze superiori sono capaci di creare civiltà e cultura. All'inizio ci sarebbero state solo tre razze pure: la bianca, la gialla, la nera; ma solo la bianca, soprattutto ariana, sarebbe stata creatrice di civiltà. Nel "Saggio" si ritrovano quasi tutte le idee fondamentali del razzismo contemporaneo: la purezza del sangue considerata fattore essenziale dell'ascesa e decadenza delle civiltà; la cultura come espressione delle qualità razziali innate del popolo che la esprime; la pretesa dimostrazione della superiorità dell'uomo bianco, soprattutto ariano di ceppo germanico; il disprezzo per l'elemento semitico; l'inevitabile declino della razza ariana una volta mescolata con le razze inferiori.
In Germania, nella seconda metà del XIX secolo, tutti questi concetti trovarono un terreno particolarmente fertile e un clima culturale propizio perché alcuni intellettuali, anche influenzati dal romanticismo, avevano elaborato il concetto di "Volk" inteso come esaltazione degli ideali nazional-patriottici, l'allontanamento dai quali avrebbe provocato la decadenza e la crisi della società tedesca. Le teorie di Gobineau vennero riprese e sviluppate da H. S. Chamberlain, scrittore inglese naturalizzato tedesco (1855-1927), che nell'opera "I fondamenti del XIX secolo" affermava l'intrinseca corrispondenza tra caratteri razziali e spirituali e interpretava la storia come una lotta perenne tra le uniche razze pure: quella germanica, erede della civiltà greco-romana, portatrice dell'elemento metafisico, eroico-aristocratico e armonico, e quella ebraica, meccanicistica e materialistica. Grazie all'opera di Chamberlain le teorie razziste ebbero largo consenso in Germania, diventando un fattore importante della vita politica tanto che si diffuse la convinzione della superiorità della razza germanica su tutte le altre.
Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, molte idee razziste assumono decisamente i caratteri dell'antisemitismo, un atteggiamento sempre diffuso e costante con punte più o meno drammatiche nelle varie fasi storiche, a partire dall'età antica fino a quella moderna, tutte caratterizzate da forme diverse di ostilità e di pregiudizio contro gli ebrei, alimentate da ideologie e religioni differenti, spesso accentuate, o talvolta attenuate, da tradizioni nazionali, forze di trasformazione sociale ed economica e molteplici circostanze politiche. L'antisemitismo fece numerosi adepti non solo in Germania, ma anche in Francia (basti pensare al caso Dreyfus, capitano ebreo dell'esercito francese falsamente accusato di spionaggio), nel mondo anglo-sassone (Inghilterra e Stati Uniti d'America) e in altre parti d'Europa. In Austria-Ungheria, tra il 1867 e il 1914, furono celebrati dodici processi contro sudditi ebrei accusati di omicidi rituali, ovvero di aver ucciso un bambino non ebreo e col suo sangue aver impastato il pane azzimo, di aver inquinato i pozzi e di profanare l'ostia cristiana trafiggendola). In Russia la repressione si manifestò con strumenti diversi, il pogrom (linciaggio di massa associato a saccheggi e distruzioni) e la diffamazione: il timore nei confronti degli ebrei fu evidenziato dalla pubblicazione dei Protocolli dei Savi anziani di Sion (1903), un falso documento che pretendeva di rivelare una cospirazione ebraica per affermare il dominio mondiale. In Germania, agli inizi del Novecento opuscoli antisemiti venivano inviati gratis ai funzionari dello stato e a esponenti dei ceti più elevati e, dopo la prima guerra mondiale, l'ostilità divenne sempre più aggressiva nei confronti degli ebrei, accusati di essere i responsabili della sconfitta e della grave crisi economica.
Con l'avvento di Hitler,
l'antisemitismo acquista un carattere nuovo e rappresenta il cemento ideologico
del nazionalsocialismo, che fa dello sterminio un fine e non un mezzo: nel Mein
Kampf (1925) Adolf Hitler elaborò la teoria del Lebensraum, lo «spazio
vitale», e delineò un antisemitismo di Stato. Nel 1933, con la sua nomina a
cancelliere, si ebbero le prime persecuzioni, con il boicottaggio dei negozi
ebrei e i roghi dei libri, prologo alle leggi di Norimberga
(1935), finalizzate alla “separazione biologica” fra tedeschi ed ebrei,
attraverso l'esclusione degli ebrei dalla vita pubblica e dall'impiego statale,
la privazione della cittadinanza in base alla discendenza e poi con la
loro graduale espulsione dalle professioni e dalle attività commerciali. Mentre aderirono al nazismo pensatori e filosofi, fra i quali
E. Jünger e M. Heidegger, intellettuali e artisti ebrei come S. Freud e M.
Chagall furono costretti ad andarsene.
In Italia, anche se il fascismo non aveva alle origini un programma antisemita (tanto che numerosi ebrei delle classi medie aderirono al partito fascista occupando posizioni di rilievo perfino nelle istituzioni), nel 1938 per ispirazione dell'antisemitismo nazista e allo scopo di consolidare l'alleanza con la Germania furono varate, con l’avallo dei Savoia, le leggi razziali che, rafforzando le componenti razziste già emerse in precedenza, perseguitavano gli ebrei stranieri, escludevano quelli italiani dalla funzione pubblica, dall'insegnamento, dall'esercito e limitavano l'usufrutto delle loro proprietà: queste misure, scatenando la caccia all'ebreo, prepararono oggettivamente il terreno alle persecuzioni e alla successiva politica di deportazione e di sterminio dei nazisti.
Con
lo scoppio della seconda guerra mondiale, la
politica persecutoria divenne più tragica, con la deportazione degli ebrei
d'Europa nei ghetti dell'Est e poi con la loro eliminazione nei campi di
sterminio. Nell’inverno fra 1941 e 1942, si prospettò la “soluzione finale” della questione
ebraica: è la politica della deportazione di massa, della reclusione nei lager,
del lavoro coatto sino allo stremo per i più robusti, dello sterminio; una
strategia che se, all'inizio fu rivolta agli ebrei tedeschi, interessò poi le
comunità ebraiche di tutti i territori sotto l'orbita del nazismo (Polonia,
Cecoslovacchia, Ungheria, Olanda, Belgio, Grecia, Russia, Francia, Italia). Il 20 gennaio 1942 si tenne la
conferenza di Wannsee, presieduta da Heydrich, per risolvere i problemi tecnici
legati alle deportazioni, la cui organizzazione venne affidata ad Eichmann.
Il primo campo di concentramento
era stato Dachau, inaugurato il 22 marzo 1933 per rinchiudervi gli oppositori al regime.
Migliaia di persone, ammassate in condizioni inumane, vennero sottoposte a
privazioni e umiliazioni indicibili: oltre agli ebrei, detenuti comuni e
politici, “asociali”, omosessuali, zingari, testimoni di Geova e apolidi. I
campi più tristemente famosi furono Buchenwald (1937), Ravensbrück (1939 ), Bergen-Belsen
(1941): a
Mauthausen (1938) ebbero luogo numerose esecuzioni tramite gas, così come a
Sachsenhausen (1936), Neuengamme (1938), Struthof (1941) e Stutthof (1942) .
Con la Shoah si manifesta il carattere di colossale e sistematico programma di sterminio, ma la distruzione della popolazione ebraica non fu comunque l'unico obiettivo della politica nazista: con il lavoro forzato degli ebrei nei lager la Germania riuscì a mantenere elevato il proprio livello produttivo, anche nel periodo della massima mobilitazione militare. Lo sterminio rappresentava - tranne che per i bambini, i vecchi e i malati che, se sopravvivevano al trasporto, venivano subito avviati alle camere a gas - il momento finale di uno sfruttamento condotto fino all'esaurimento delle forze; in molti casi lo sfruttamento proseguiva anche dopo la morte, attraverso l'utilizzazione delle ceneri come fertilizzanti o per la fabbricazione del sapone. A partire dal processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti (novembre 1945-ottobre 1946) il diritto internazionale si arricchì della figura del “crimine contro l’umanità”: storici e media presero a usare la nozione di genocidio, fatta propria anche dall’ONU. Il regime nazista fu certamente responsabile dell'inizio di questa politica, ma è opinione diffusa che la sua piena attuazione fu resa possibile solo grazie all'aiuto di coloro che con quel regime collaborarono negli stati occupati dell'Europa occidentale e orientale.