Sette del Corriere della sera
Memoria - il racconto dei sopravvissuti
Steven Spielberg e la Shoah
Cinque
ungheresi narrano la loro esperienza, dalla vita felice e serena al lager. E
oggi ritornano là dove furono carne da
macello, dove perdettero tutto…
Il documentario che ha scosso il mondo arriva in Italia. Per non dimenticare…
di
Stefano Jesurum
Il
«dopo» ha i colori della vita. E il «prima»
quelli dell'orrore, il bianco
e i1 nero. Il titolo, Gli
ultimi
giorni
– The last days , porta con sé, un doppio significato: ultime ore
vissute (se così si può dire) da milioni di uomini, donne, bambini e gli
ultimi mesi della guerra quando, pur consapevoli che per loro era finita, i
tedeschi invasero l'Ungheria e scatenarono una delle pagine più atroci della
Storia, lo sterminio del popolo ebraico. È questo il racconto che Steven
Spielberg porta in Italia: cinque testimonianze che entrano nella pelle narrando
la normalità, la serenità, l’allegria della fanciullezza, l’essenza stessa
del Male conosciuta in campo e la volontà odierna di spiegare ai propri nipoti,
e al mondo, ciò che è stato e che non può mai più accadere. Gli ultimi
giorni, Oscar 1999 al miglior documentario, è il sapiente e commosso
montaggio di un bravo regista, James Moll, che ha usato un minuscolo pezzetto
dell’enorme lavoro voluto in questi anni da Spielberg e dalla sua Survivors of
the Shoah visual history Foundation (240 dipendenti, 3500 giornalisti e
ricercatori. 4000 volontari, un costo che supera i 180 miliardi di lire per 50
mila interviste con i sopravvissuti, realizzate in 57 Paesi e in 32 lingue, un
totale di 51 mila chilometri di pellicola): il più grande progetto mai
realizzato di tradizione orale. Per non dimenticare. Il 18 ottobre sarà
presentato a Roma, al cinema Etoile, alla presenza di Carlo Azeglio Ciampi, che
ascolterà Edith Bruck, scrittrice nata in Ungheria e deportata ad Auschwitz, e
Marco Szulc, presidente dell’Associazione italiana Figli della Shoah. Le
testimonianze del film sono di cinque
ungheresi che vivono in America: Tom Lantos,
da trent’anni deputato al Congresso; Renée Firestone, che viaggia per
l’America insegnando la Shoah nelle scuole; Bill.Bash e
Irene Zisblatt. Interviste
di repertorio (anche inediti), ritorni nei luoghi della memoria (i lager e le
cittadine da cui erano stati strappati), qualche lacrima che non si è riusciti
a trattenere, qua e là le note di un pianoforte o di un violino. Non può che
venire in mente Primo Levi: «Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici; considerate se
questo è un uomo...». E che importanza ha sapere chi sta parlando? Voci di
signore e signori dignitosi, incrinate dal dolore, immagini di luoghi cari e
meravigliosi divenuti improvvisamente, un triste giorno del ‘44, orribili
trappole per topi. Che a raccontare sia un uomo o una donna, poco importa; che i
ricordi si accavallino l'un l’altro, nemmeno. I loro sono i suoni
dell’essenzialità della sofferenza.
Sullo
schermo passano
verdi campi, contadini
sul carretto trainato da cavalli, sfilate di SS, folle che salutano a braccio
teso il Führer; e inizia,
sommesso,
il racconto … Uomini, treni,
camion: si fossero fermati sei mesi
prima e avessero usato tutta quell’energia
per rafforzarsi avrebbero potuto resistere ancora un po'; ma per loro era più
importante uccidere
gli ebrei che, vincere
la guerra.
Volti
di bambine sorridenti, ragazzini cappello in testa, vecchi con la barba degli
uomini pii, donne al mercato. Szaszovo era una piccola comunità di 3.000
persone niente elettricità, una
vita molto semplice, noiosa.
Un bellissimo signore cammina su un ponte e parla a quattro nipotini biondi. All'inizio
mi
hanno fatto lavorare come un cane
su questo ponte che serviva ai collegamenti. L'ebraismo era la nostra religione,
ma. noi eravamo ungheresi. Nel '38, quando avevo 10 anni, comprai il mio primo
giornale e vidi i titoli «Hitler marcia sull'Austria» e ho avuto la sensazione
che un impatto tremendo sulle nostre vite, sulla mio. famiglia, su me stesso.
Bombardamenti a tappeto, carri armati che avanzano; tante svastiche. Ho
ascoltato una conversazione di mio padre e un altro uomo, lui diceva cosa
stavano facendo i nazisti in Polonia, che prendono i bambini più piccoli e li
strappano in due tenendoli per i piedi, poi
li gettano nel fiume Dniester.
Invasione dell'Olanda, del Belgio, della Francia; ebrei picchiati, fucilati,
presi a calci nelle strade. Hitler era in Germania, così ciò che accadeva là
non rifletteva la nostra situazione, noi eravamo lontanissimi da tutto questo.
Adunate oceani che, folle in delirio, marce di Frecce Crociate, le SS ungheresi.
Perché non siamo scappati? Be’, le cose non succedono di colpo, le cose
accaddero molto lentamente. Due motociclette furano l'intero regime nazista che
occupò la nostra città.
Perché loro erano già là e fecero il loro sporco lavoro. Gente che noi
avevamo considerato nostri amici in tanti anni; in una notte passarono
dall’altra parte.
Camminano a braccia alzate, con la stella gialla cucita sul cappotto, camminano
in fila uomini, donne, vecchi e bambini, quanti bambini. L'ebreo non può
uscire per strada senza la stella gialla. Il decreto successivo diceva che
dovevamo prendere con noi un pacco di 25 chili. Cosa puoi prendere con 25 chili?
Cose 25 chili? Una vecchia foto d'una bambina felice
in costume
da bagno. Mentre stavamo
impacchettando, volevo con me qualcosa che mi avrebbe ricordato i bei tempi. E
così mi sono imbattuta in un costume da bagno che
papà mi aveva portato; papà portava sempre qualcosa dai suoi viaggi a me e a
mia sorella. Uditi gli stivali dei soldati che salivano le scale corsi a
infilarmi il costume sotto il vestito. È così che sono partita mentre i nostri
amici, i vicini di casa, gridavano «Era ora! Andatevene! Non abbiamo bisogno di
ebrei nella nostra città. Dobbiamo sbarazzarci di tutti voi!»
Una donna, oggi, spiega a sua figlia, e sua figlia l'accarezza in continuazione.
Dicevano che ci avrebbero portati in un ghetto, non avevamo mai sentito
quella parola. Lì c'erano migliaia di persone venute dall'intero Paese, ovunque
guardie con i cani. I convogli. Una massa di disperati, attoniti, vi è
cacciata dentro. Ci aspettavano dei carri bestiame. Mio padre disse: hanno
esaurito gli altri treni perché siamo in guerra. Chi non camminava in fretta
veniva picchiato. Io non accettavo l’idea che avessero esaurito altri treni;
Quando chiusero le porte, quando
udii il rumore del chiavistello che ci chiudeva dentro... non era più
normale, non lo era.
Avanzano i treni, lenti come la morte. Nel mio vagone eravamo circa 120;
faceva caldo, avevamo un secchia per andare in bagno, il secchio si riempiva e
l'odore era insopportabile, non aprirono mai le porte, non ci diedero mai acqua
né cibo; i bambini. piangevano, volevano andare a casa.
Quando aprirono, dopo 4-5 giorni di buio, eri praticamente accecato. Eravamo
felici perché saremmo usciti all'aria aperta. E ognuno chiedeva: dove siamo?
dove siamo? Ed era un nome molto strano, Auschwitz.
Il lager sotto la neve, le
torrette, le baracche; il filo spinato, le SS con i cani, le file dei deportati.
Vedevi tanta gente che correva in abiti a strisce e le teste rasate. E i
tedeschi urlavano. E mia madre, mia madre, e mio fratello e mia sorella, lei
teneva il mio fratellino in braccio e per mano la mia sorellina più grande di
quattro anni e mezzo e io mi tenevo stretta alla sua mano ed era così che
camminavamo verso... Le selezioni. Parla un signore, normalmente, ex medico
del gruppo del dottor Mengele: «Era un processo molto semplice. Questo è
troppo vecchio, più
di 50, va a destra, quell'altro a sinistra».
Mia madre fu selezionata alla stazione, «vai a sinistra», io e mia sorella
andammo a destra, la mamma fu portata direttamente alla..camera gas.
Nudi...nelle docce uomini
da una parte, donne dall'altra, famiglie divise, lacerate. Le baracche. Mille
in una baracca, mi svegliavo sempre gelata. Sognavo di essere a casa, avevo
molto freddo ma papà arrivava e mi copriva subito. Volti di piccole
creature meravigliose. Vidi due bambini cadere giù da un camion, il camion
si fermò, scese un SS, prese un corpicino e lo sbatté contro il camion e il
sangue cominciò a scorrere. Fu allora
che smisi di parlare a Dio.
Gli esperimenti del dottor Mengele e della sua équipe. Solo più tardi
capimmo che cosa ci stavano facendo, cercavano di cambiarci il colore degli
occhi. Camere a gas, forni crematori, fosse comuni avvolte dal fuoco. I
crematori non ce la facevano, dovettero scavare buche speciali per bruciare i
corpi, usavano il grasso
degli stessi ebrei come carburante.
Il medico: «Se
il grasso bruciava era segno
che la fossa stava funzionando, allora venivano gettati sempre più corpi. Era
semplice». Una donna con un libro di preghiere in mano, l'accompagna sua
figlia. Qui c'erano le latrine, in questo posto mia sorella Edith mi
sussurra: è quasi shabbàt. Come si celebrava il sabato a casa. nostra, con il
cibo, con i canti, con le preghiere, accendendo le candele. Corremmo verso il
fondo e cominciammo a cantare: Shalom Aleichem Malachei... E appena cantammo la
melodia altri bambini ci vennero intorno e cantarono con
noi, venivano dalla Polonia,
dalla Germania, dall'Ungheria, dalla
Cecoslovacchia... nella latrina. Dico a un ragazzo polacco: dov'è Dio? Mi
risponde: Dio è dove hai la forza.
Uomini caricano altri uomini su carretti, portano i cadaveri, montagne di
cadaveri, ai forni, sono i Sonderkommando. Avevo due amici molto cari; si
chiamavano Venezia. Venne il loro turno. Io dissi subito che sarebbero andati a
morire. Mi chiesero cibo e diedi tutto che avevo. E dissi loro esattamente dove
stare; vicino alle aperture, così sarebbero morti più in fretta. E dopo li
tirai fuori; li lavai, li misi nel forno per essere bruciati. Cataste corpi,
di scarpe, di bagagli, i bombardamenti sempre più vicini. La liberazione,
scheletri che camminano, senza più le natiche; file infinite di esseri umani
che sono soltanto occhi. Perché sono
sopravvissuto? Perché Dio mi ha risparmiato?
Avevo 16 anni ma ero molto vecchio. Ritornare era difficile, non sapevamo come
avremmo fatto la pace con il mondo di fuori che non ci aveva voluti. Non
sapevamo chi avremmo ritrovato e chi no.
E oggi tornano in campo, coi figli, coi nipotini: si accendono i lumini dei
morti, si recitano le benedizioni … Voglio che mio marito dica una
preghiera con i miei bambini
e con me, perché noi seppelliremo
simbolicamente mia sorella. Ho portato con me il tuo libro di preghiere, mamma,
lo leggeremo e accenderemo una candela in tua memoria
e ti ricorderemo, per sempre; fino a quando avremo vita. E
nelle case da dove furono strappati: incontrano i vicini di allora, gli amici,
piangono insieme. E una donna chiede: «Ma
è tutto vero quello che ho visto alla televisione?».
Poi tornano in America, la loro nuova casa. Mia moglie Annette e io ci
conosciamo da tutta la vita. Siamo sposati da 47 anni e abbiamo due figlie che
da piccole sono venute da noi e ci
hanno detto che loro avevano in mente
un regalo speciale per i loro genitori:
dato che le nostre famiglie,
erano
state spazzate via, ci avrebbe
donato
una grande famiglia. E noi
siamo stati benedetti da 17 meravigliosi nipoti...
Da Sette/Corriere della sera, ottobre 2000