Sette del Corriere della sera
Spettacoli – Intervista a Costa Gravas
Pio XII? Filonazista no, filogermanico sì
Per
Lui Hitler era un nemico legittimo, non da distruggere come pensava Churchill.
Alla vigilia dell’uscita di «Amen» in Italia, il regista spiega perché il
suo film ha scatenato tante polemiche. A partire dal manifesto.
di
Francesca Pini
Raccontare
l'olocausto, ma dalla parte dei nazisti. Per capire come «girasse» la
macchina dello sterminio. Cinquantamila persone che si alzavano tutti i
sacrosanti
giorni per fare il loro lavoro: ridurre in cenere milioni di esseri umani. Amen,
il controverso film di Costa Gavras, che in Italia uscirà il 19 aprile,
mostra senza appello l'ambiguità di quel momento storico, delle coscienze,
della politica, chiamando di nuovo in causa Pio XII per il suo non intervento.
«Che in guerra si compiano massacri è, al limite, inevitabile. Ma i nazisti
hanno creato un'efficientissima industria della morte. Anziché produrre
scarpe, ogni giorno, dovevano produrre tot numero di morti», dice il
regista greco-francese.
Occuparsi
del nazismo, piuttosto che di altre mostruosità accadute in Kosovo, in
Africa, o a Timor Est, non è un facile terreno per il cinema?
«Nel
cinema ci vuole innanzitutto un soggetto avvincente, poi può svolgersi ovunque.
Noi europei, con la nostra civiltà e cultura, non possiamo non continuare a
interessarci a quel periodo, durante il quale si possono osservare tutti i
comportamenti dell'uomo (spinti fino al parossismo): dai più aberranti ai più
nobili. L’arte, il cinema, il teatro esplorano questo parossismo perché qui
si trova più facilmente l'anima e la natura umana. Anche le generazioni future
non cesseranno d'interrogarsi. Ciascuno dovrebbe chiedersi: cosa avrei fatto
se mi fossi trovato in quelle circostanze? I nazisti non erano dei folli, erano
persone coscienti».
A
questo lei risponde incentrando il suo film sulla figura realmente esistita
dell'SS Kurt Gerstein, cristiano praticante che, pur permanendo nell’ingranaggio
criminale, tenta di avvisare il mondo libero di cosa stava succedendo agli
ebrei. Fino a che punto può spingersi la complicità per diventare
testimonianza?
«Dev’essere
la coscienza a timonarci, non ci sono regole. Lui ha fatto tutto quello che
poteva, anche sabotando il sistema. Il suo comportamento è talmente strano
e rivela fatti così mostruosi, che viene preso per pazzo. Nel film, oltre a
lui, c'è il personaggio di un giovane gesuita italiano: entrambi dicono no, si
ribellano ai rispettivi sistemi di potere. Il prete sceglie liberamente di
saire su un treno e di essere deportato insieme agli ebrei. Né l'uno né
l'altro calcolano le conseguenze».
Cosa
che il Vaticano non poteva fare, essendo uno Stato.
«C'è
uno Stato che dice di rappresentare Dio e detiene anche un potere temporale
che entra in relazione con l'umano e promette giustizia, pace, amore. Ma nel
momento in cui questo potere, in un frangente terrificante come allora e in
altri come oggi, non insorge contro la barbarie, tradisce l'uomo. C'è
un'etica da difendere. Ma il film non è un tribunale, io non condanno
nessuno. I gesuiti furono i primi a condannare le leggi razziali italiane nel
'38. Se da un lato approvo incondizionatamente lo slancio di amore e il
sacrificio che il giovane gesuita compie, (questi valori sono quelli che mi ha
trasmesso mia madre, profondamente religiosa), dall’altro mi chiedo perché
altri non abbiano fatto altrettanto».
In
Germania cinque studenti e un professore crearono il movimento d'opposizione La
Rosa Bianca...
«Sì,
c'era una certa resistenza, anche nel popolo. Quando nel 1943 il ministro degli
Interni tentò di togliere dalle aule scolastiche il crocefisso per mettere
il ritratto del Führer, le madri scesero nelle piazze a protestare e la cosa
non ebbe seguito. Mi domando cosa sarebbe successo se questa resistenza
fosse stata alimentata. Il regime controllava tutto, ma le uniche
organizzazioni relativamente libere erano le Chiese, che avevano accesso alle
coscienze individuali. Però hanno reagito molto timidamente».
La
lettera pastorale che i vescovi olandesi fecero leggere nelle chiese nel '43
scatenò la vendetta nazista:
gli ebrei del luogo furono
massacrati.
«Ma
allora quando il male si presenta cosa dobbiamo fare? Cedere, senza resistere?
Con questa idea Churchill e De Gaulle non avrebbero dovuto neanche
combattere, al primo bombardamento avrebbero negoziato senza andare fino in
fondo come poi hanno fatto. Hanno sacrificato migliaia di vite. E intanto i
nazisti continuavano a uccidere milioni di ebrei, non so più nemmeno quanti. Le
cifre non sono così importanti: a volte la gente pensa che il dato di diecimila
morti sia meno drammatico di sei milioni, anche se non è così, come nel caso
degli armeni. Penso alla necessità di resistere, di rifiutare l'inaccettabile».
Che
idea si è fatto di Pio XII?
«Una
cosa è certa, non era filonazista, ma filogermanico sì. Credo che Pio XII
considerasse Hitler come un nemico legittimo piuttosto che un nemico da
distruggere come pensavano Churchill, De Gaulle e molto più tardi Roosevelt.
Ma Pio XII non è stato un criminale, collaboratore dei nazisti, non è stato il
papa di Hitler come sostiene Cornwell nel suo libro: è assurdo. Non c'è alcuna
prova in merito. Per me resta solo il papa del silenzio».
Silenzio
vero e proprio no, nei suoi discorsi ci furono allusioni molto comprensibili per
i nazisti. Nel '39 diede il suo accordo per essere
intermediario fra un governo
antinazista e l'Inghilterra. Il 27 gennaio 1940 Radio Vaticana condannò il
nazismo scatenando le ire dei tedeschi.
«Nel
suo famoso discorso di Natale del '42, parla di nazionalità e di razze ma
questo può riguardare molte persone. Poche righe in un discorso molto lungo
che parlava dei bombardamenti. Ma il vero problema all'epoca erano i campi di
sterminio che cominciavano a funzionare a pieno regime. E questo fatto era noto
anche a lui».
Ci
sono migliaia di testimonianze di ebrei che sono stati salvati, da preti,
religiosi e anche cittadini qualsiasi a rischio della loro stessa vita: sono
almeno 800 mila persone, questo è un dato storico inconfutabile.
«È
verissimo: migliaia di cattolici e non cattolici senza aver l'ordine da
nessuno si sono sentiti in dovere di salvarli. Forse se il capo della Chiesa
avesse detto espressamente: salvateli! ne sarebbero sopravvissuti due
milioni».
Le
porte dei monasteri e degli istituti religiosi si sono aperte agli ebrei perché
qualcuno ha dato il benestare, come ricorda anche il suo film.
«Dalle
fonti storiche non risulta esservi stato un ordine preciso».
Se
anche non c'è stata una lettera firmata, come vorrebbe lei, conta il fatto che
migliaia di ebrei abbiano trovato rifugio nei conventi non «per caso», ma per
volontà precisa.
«D'accordo.
Ma non è la Chiesa che ha salvato 800 mila ebrei, sono stati i cristiani che
hanno ascoltato la loro coscienza. È innegabile che i crimini nazisti siano
stati preparati da un tipo di mentalità che ai tempi li considerava ancora
deicidi. Tutto è cominciato con piccole avvisaglie. Adesso tocca agli arabi».
La
locandina del film ha dato scandalo:
assimilare la croce di Cristo
alla svastica è parso sacrilego,
è come vanificare il sacrificio
di Gesù.
«Ci
sono molte foto d'epoca che documentano come ai quei tempi pastori e sacerdoti
non si ponessero troppi problemi ad affiancare nelle pubbliche adunate, o nei templi, le due croci. La mia intenzione era quella di mostrare i miei due
personaggi presi nei rispettivi ingranaggi. Per alcuni questa locandina è
diventata il mezzo per rifiutare interamente il film, che non è contro la
Chiesa, chi lo afferma fa solo una semplificazione. Mi accusano di essere
anticlericale. Non è vero. Ho conosciuto sacerdoti davvero eccezionali, la
maggioranza di loro ha fatto una scelta forte, di vera fede. Ma quando si
toccano temi sensibili, cominciano i problemi».
Crede
che si possa giudicare il passato con la logica del presente?
«Sicuramente
no. Ma a mio avviso c'è un'etica di cui bisogna tenere conto, altrimenti si
potrebbe affermare che prima Stalin era un santo mentre è sempre stato un
mostro, fin dall'inizio. Come Hitler».
Perché
lei ha rifiutato di avvalersi dei consigli degli storici per Amen?
«li
rapporto tra cinema e storici è delicato. Gli specialisti hanno un punto di
vista direi rigido e poi tra di loro sono molto divisi. Non ho voluto fare un
film storico: questa è solo una mia interpretazione, da cineasta, del
nazismo. Il cinema non sarà mai una lezione di storia, ma è la percezione del
sensibile: s'interessa alla psicologia, al sentimento dell'uomo, e la storia
è l'insieme di tutto questo. Così nascono capolavori come Il Grande
dittatore di Chaplin e La vita è bella di Benigni. L'Afghanistan è
già materia cinematografica. Ridley Scott mi ha proposto di girare un film su
Ingrid Betancourt, la giovane senatrice colombiana rapita. Gli americani non
hanno voluto produrre Amen temevano che nessun attore accettasse il
ruolo di un'SS. Da noi il cinema rimane un'arte, non un prodotto. Il primo a
occuparsi dell'olocausto è stato il cinema europeo, con un'opera fondamentale
come Nuit et brouillard di Alain Resnais».
Giovanni
Paolo II sarebbe un buon soggetto per un film?
"Sì,
amo papa Wojtyla ma anche Giovanni XXIII, due papi interessati al mondo.
Wojtyla, che ha un formidabile senso della modernità e che ha dato il colpo di
grazia al comunismo, non dovrebbe prendere posizioni assurde sull'uso del
preservativo o sul divorzio. Ma al di là di questo ha fatto dei discorsi di una
forza strepitosa. Inascoltati. Forse la lezione del silenzio di Pio XII è
servita ai suoi successori per dire le cose come stanno».
Da Sette/Corriere della sera, marzo