la Repubblica

Se il genetista è un razzista

La destra cattolica di Gedda alla scuola di Mengele: un saggio di Francesco Cassata

I legami imbarazzanti del capo dell’Azione Cattolica. Ma l’eugenetica non è una scienza reazionaria come in tanti pensano – L’inventore dei comitati civici era sostenuto dal ministro Antonio Segni – Tra i suoi interlocutori ex nazisti e sostenitori dell’inferiorità dei neri

di Simonetta Fiori

Tra le categorie più abusate nel recente dibattito pubblico – a proposito di fecondazione artificiale e diagnosi prenatale – figura quella di "eugenetica". Dalle gerarchie ecclesiastiche al movimento Scienza e Vita, dal ministro Buttiglione all'accesa campagna mossa dal Foglio, insistita appare la denuncia d'una potenziale "deriva eugenetica", fatalmente associata alle pratiche di sterminio esercitate dal nazionalsocialismo. Eugenetica eguale nazismo è un po' la premessa di chi invoca i diritti dell'uomo contro le minacce del progresso biotecnologico. Ma è corretto appiattire sul modello nazista un complesso di teorie e pratiche diffuse a livello mondiale tra l’Otto e il Novecento? Soccorre un'accurata rassegna storica di Francesco Cassata, trentenne dottore in ricerca dell'Università di Torino, un "precario" cresciuto nella stretta cerchia di giovani storici raccolti da Alfredo Salsano intorno alla Bollati Boringhieri: Molti, sani e forti (pagg. 396, euro 34) è il titolo d'un denso volume che ripercorre la storia dell'eugenetica in Italia - dalle radici londinesi nel 1912 fino ai tardi anni Sessanta - colmando una pagina rimasta inspiegabilmente bianca. «Tanto più incomprensibile questo vuoto», commenta Cassata, «quanto più rilevante appare il ruolo dell'Italia nel definire una sorta di "eugenica latina", offrendosi come modello per paesi cattolici come Francia, Belgio e diversi stati dell'America centromeridionale: un'eugenetica pronatalista, profondamente intrisa di igienismo e medicina sociale». Costruito su materiali largamente inediti, raccolti anche negli archivi personali dei genetisti italiani, il libro aiuta a ridefinire una categoria sfigurata da un uso pubblico distorto. «il mito dell'eugenetica come scienza essenzialmente reazionaria, per lo più legata ad ambienti di destra (razzisti, antisemiti e sessisti) cede il campo a una valutazione più articolata, che illumina il fascino esercitato dal discorso eugenetico tra le fIle del riformismo novecentesco, incluse le prime femministe paladine del controllo delle nascite». L'eugenetica, in sostanza, non è soltanto Josef Mengele, ma anche Margaret Sanger. «Non è soltanto sterilizzazione obbligatoria, ma anche il birth control, l'amore libero, la campagna antitalassemia». Quando si parla di eugenetica, in sostanza, occorre distinguere tra correnti sideralmente distanti. I capitoli più nuovi proposti da Molti, sani e forti sono quelli dedicati alle polemiche che contrapposero nell'immediato dopoguerra gli studiosi compromessi con il fascismo - guidati da Corrado Gini - e la nascente genetica italiana, capeggiata da figure quali Claudio Barigozzi, Adriano Buzzati-Traverso e Giuseppe Montalenti. Una contrapposizione poi sfociata in una rottura istituzionale tra le società rappresentative dei diversi gruppi. Ma ancor più interessante è il contrasto che nei decenni successivi – tra i Cinquanta e Sessanta – vede su rive opposte i cattolici Luigi Gedda e Luisa Gianferrari da un lato, dall'altro la triade Barigozzi, Buzzati-Traverso e Montalenti. Una frattura in cui si può leggere sia un antagonismo di carattere accademico quanto uno scontro tra le intelligenze laiche e quelle più fedeli agli orientamenti del Vaticano. Prima di approfondire il ruolo di Gedda, non privo di aspetti inquietanti, occorre però ricordare come altre componenti del cattolicesimo partecipassero fattivamente al confronto eugenetico di quei decenni, su posizioni assai più illuminate di certo affidamento fatalista alla natura affiorato nel dibattito di oggi: la ricca documentazione raccolta da Cassata mostra il sostegno verso forme di prevenzione eugenica, come la "visita prematrimoniale" su base volontaria, poi superata dai progressi nella diagnosi prenatale. Quella più controversa appare la figura di Luigi Gedda (1902-2000), l'inventore dei "comitati civici", esponente di spicco d'un cattolicesimo retrivo, messo nel 1952 da Pio XII alla guida dell'Azione Cattolica per correggerne le aperture del predecessore Vittorino Veronese. L'esordio del medico Gedda nel campo della genetica fu segnato da uno scandalo accademico di non scarso rilievo politico. Nel 1953, in vista degli esami di abilitazione alla libera docenza in genetica umana, il Consiglio superiore del ministero della Pubblica Istruzione propose i membri delle commissioni giudicatrici scegliendoli tra i genetisti più illustri. Senza tenere conto di tale parere, l'allora ministro Antonio Segni sostituì ad alcuni di quei nomi quello meno autorevole di Gedda, sollevando le proteste degli ambienti universitari più illuminati. L'epilogo fu - per Gedda e Segni - una sonora sconfitta (il Consiglio di Stato pronunciò una sentenza a loro contraria). Ma le protezioni politiche di Gedda apparvero a tutti evidenti. A rendere più complessa la vicenda sono "i legami pericolosi" coltivati dallo scienziato Gedda con una rete eugenetica internazionale di chiara marca razzista. Innanzitutto con gli studiosi coinvolti nei progetti della "scienza di morte" nazionalsocialista. Il nome più rappresentativo è quello del barone Otmarvon Verschuer, la cui carriera era decollata sotto il nazismo: nel 1938 aveva diretto un "consultorio per la tutela del patrimonio genetico e della razza", oltre che svolgere attività di "perito sulla questione ebraica". Tra i suoi assistenti compare Josef Mengele, personaggio-simbolo. della medicina nazista. «Molti elementi», scrive Cassata, «sembrano comprovare che egli fosse a conoscenza del lavoro svolto. dal suo allievo ad Auschwitz». Nel dopoguerra Verschuer sfuggirà all'epurazione grazie alla vicinanza con gli ambienti ecclesiastici. Agli anni Cinquanta risale la stretta collaborazione con Gedda, il quale nel 1956 gli dedica uno spietato omaggio dal titolo Un maestro e un esempio. Ma la collaborazione del presidente dell’Azione Cattolica con esponenti dell'eugenetica ex nazista non si esaurisce qui: tra i suoi interlocutori c'è anche Hans Grebe, collaboratore di Mengele ai tempi di Auschwitz. Corrispondenti davvero imbarazzanti. Non basta. La rete internazionale intessuta da Gedda include anche esponenti d'una corrente angloamericana schierata su posizioni razziste. Significativa l'amicizia con il botanico e antropologo Reginald Ruggles Gates, nome di punta per quattro decenni del razzismo scientifico, sostenitore delle differenze biologiche tra le razze umane e dell'inferiorità naturale dei neri rispetto ai bianchi. Queste collaborazioni si tradussero in precisi orientamenti eugenetici intrapresi da Gedda e dall'Istituto Mendel da lui diretto. È il caso - indica Cassata - delle indagini sull'ereditarietà del talento sportivo svolte tra la metà degli anni Cinquanta e il 196O, data delle Olimpiadi a Roma. Fu in quella occasione che - su autorizzazione del Coni - Gedda procedette alla mappatura degli atleti raccolti al Villaggio Olimpico: un'indagine di tipo antropometrico (ossia con quei criteri invalsi nel positivismo lombrosiano) e di evidente impianto razzista. Molti sportivi si guardarono bene dal rispondere, come l'olimpionico Derek lbbostostson, 27 anni: «Il professor Gedda riceverà solo rispostacce». Alla vicenda la rivista Il Ponte dedicò un articolo dai toni divertiti. Allo scandalo olimpico, quello stesso anno, s'aggiunse quello accademico. Nonostante la cattiva figura internazionale, l'Università di Roma con la collaborazione del Vaticano regala a Gedda una cattedra di genetica medica inventata apposta per lui. Contro l’ingiusta assegnazione ­ che tra gli esclusi vede il nome di Luca Cavalli Sforza - si levarono le voci scientifiche più autorevoli, da Giuseppe Levi a Montalenti. Ma questa volta ogni protesta fu inutile. Tutta la stagione successiva, fino alla metà degli anni Sessanta, sarà segnata da una zelante campagna del cattolicissimo professor Gedda - spesso affiancato da Corrado Gini - contro "il dogma egualitario" professato dall'Unesco. Centrale in questa nuova battaglia la collaborazione con il periodico statunitense The Mankind Quarterly, il cui razzismo scientifico ha lungamente alimentato (e continua tuttora ad alimentare) il neofascismo europeo e le organizzazioni neonaziste americane, uniti nella battaglia contro le posizioni antirazziste dell'Unesco e il processo di integrazione degli afroamericani. Il frutto scientifico di questo lavoro comune fu un'opera di Gedda, Il meticciato di guerra e altri casi, in sostegno della legittimità scientifica della genetica razziale: il volume gli procurò la pubblica accusa di "razzista" da parte del genetista Leslie C. Dunn. Lo studioso italiano non era nuovo alla riflessione sugli incroci razziali: nel 1938 s'era espresso favorevolmente ai provvedimenti fascisti contro il meticciato, manifestando la sua avversità a legami tra razze molto differenti. La stretta collaborazione tra Gedda, Gini e la rivista americana d'ispirazione razzista sfocerà in un manifesto pubblico contro le posizioni dell'Unesco. Antropologi, sociologi, psicologi e genetisti vi sostengono la scientificità del concetto di razza e la legittimità del razzismo. Nel volume-manifesto Race and Modern Science figurano anche i contributi di Gedda e Gini (scomparso due anni prima). Era il 1967, non mille anni fa. Forse chi oggi­ - da posizioni di intransigentismo cattolico - accusa la scienza di deriva eugenetica queste storie dovrebbe conoscerle. 

la Repubblica, 24 febbraio 2006

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