la Repubblica

Italia, l’arma biologica dei nazisti

Nel ’43 i tedeschi diffusero la malaria per fermare gli Alleati – Uno studio di un professore di Yale svela il piano per bloccare, nell’agro pontino, l’avanzata da Sud degli anglo-americani – La zanzara killer non fermò l’avanzata ma contagiò nella zona laziale centomila persone in meno di tre anni

dal nostro inviato Alberto Flores D'Arcais

New Haven - Nell'autunno del 1943, quando dopo l'11 settembre­ anche in Italia la guerra iniziò agirare favorevolmente per le truppe anglo-americane, i tedeschi decisero di ricorrere a un’ “arma" mai usata prima, nel disperato tentativo di bloccare o rallentare l'avanzata delle truppe alleate: la malaria. Come "campo di battaglia" vennero scelte le paludi pontine, solo da pochi anni bonificate dal Fascismo; fu lì che i militari nazisti guidati dal più famoso "malariologo" dell'epoca Erich Martini - amico personale di Heinrich Himmler -crearono le condizioni ambientali per la riproduzione delle micidiali "Anopheles Labranchiae", le zanzare-killer portatrici di malaria: realizzando il primo (e unico) episodio di "guerra biologica" combattuto in Europa nel Ventesimo Secolo. A scoprirlo è stato un professore di storia della prestigiosa università di Yale a New Haven (Connecticut). Frank Snowden, che da anni stava compiendo accurate ricerche negli archivi italiani e in quelli americani per pubblicare una storia della malaria nel Novecento in Italia. Nel libro appena edito dalla Yale University Press (The Conquest of Malaria, Italy 1900-1962) un lungo capitolo (Nazism and Bioterror in the Pontine Marshes) racconta in che modo venne pensato, preparato e attuato il primo esperimento di "biological warfare"; non ebbe successo da un punto di vista militare, ma provocò nel triennio 1944-1946 un aumento del mille per cento dei casi di malaria nell'agro pontino, colpendo in modo drammatico la popolazione civile. Tutto inizia con l’arrivo a Roma, nell'autunno del 1943 di Erich Martini, noto malariologo, nazista convinto e scienziato al servizio del Fuerher, che dodici anni prima aveva pubblicato studi decisivi sull'habitat delle "anopheles labranchiae" in Italia. Martini spiegò nei dettagli agli ingegneri della Wermacht in che modo si poteva ripopolare una zona che Mussolini era riuscito, con grandi sforzi, a bonificare prima della guerra. L'idea era semplice: visto che la "labranchiae" è l'unica zanzara le cui larve riescono a sopravvivere sia in acque dolci che saline, e considerato che secondo i dati del 1942 nell'agro pontino l'ottanta per cento delle zanzare erano innocue, occorreva creare la condizione ambientale perché queste ultime scomparissero lasciando campo libero alla "zanzara-killer". Il meccanismo era leggermente più complicato mai tecnici nazisti trovarono la soluzione: bloccare le pompe di drenaggio e utilizzare i canali al contrario, in modo da fare arrivare l'acqua di mare (salina) nelle paludi. La maggioranza delle pompe venne distrutta con la dinamite, le altre furono smontate e portate verso la Germania. Per essere sicuri di poter provocare una grande epidemia di malaria contro gli alleati - i tedeschi erano convinti che una volta sfondata la “linea Gustav” le forze anglo­americane si sarebbero impantanate proprio da quelle parti i nazisti distrussero pure tutte le motobarche usate dagli specialisti italiani durante la "bonifica" per pulire i canali di drenaggio dalla folta vegetazione. Cosa ancora più grave, confiscarono nove tonnellate metriche di chinino dai depositi del ministero della Sanità a Roma; chinino che venne poi nascosto e buttato in Toscana, vicino Volterra, e reso inservibile. Il piano segreto di guerra biologica ebbe tecnicamente pieno successo: tra l'autunno del 1943 e la primavera del 1944 (quando gli americani entrarono a Roma) ogni tipo di zanzara innocua scomparve dall'agro pontino, dove rimasero in vita - in quantità sempre maggiore - solo le micidiali “anopheles labranchiae”. Militarmente non servì a molto: l'esercito americano, già colpito da una epidemia di colera in Sicilia al momento dello sbarco, arrivò nella zona preparato e con tutte le medicine necessarie; inoltre l'avanzata verso Roma fu molto più rapida di quanto i comandi tedeschi avevano previsto e i marines toccarono le paludi pontine solo di sfuggita. Il secondo obiettivo dei nazisti, quello di punire la popolazione civile italiana venne invece raggiunto in pieno: se nel 1943 i casi di malaria nella zona erano stati solo 1.217, nel 1944 raggiunsero la cifra ufficiale di 54.929 e quella ufficiosa (ma più vicina alla realtà) di circa 1OOmila casi: su una popolazione di 245 mila persone.


Segreti di guerra

il piano

Nell’autunno del 1943, quando la guerra iniziò a girare favorevolmente per gli anglo-americani, i tedeschi pensarono di bloccare l’avanzata da sud diffondendo la malaria

il biologo

l’area prescelto fu l’Agro pontino, bonificato da Mussolini. A occuparsi del piano un biologo al servizio di Hitler, Erich Martini. Creò le condizioni, portando acqua marina nelle paludi, perché le zanzare innocue lasciassero campo libero alle zanzare killer

gli alleati

Il piano dei nazisti riuscì tecnicamente ma non raggiunse l’obiettivo di fermare gli Alleati. Gli americani, già colpiti da un’epidemia di colera in Sicilia, arrivarono in zona preparati e dotati di tutte le medicine. Inoltre, le truppe passarono rapidamente per l’agro pontino

l’epidemia

I tedeschi raggiunsero uno degli obiettivi dell’operazione, cioè quello di punire la popolazione. In tre anni i casi di malaria passarono da 1217 a centomila


l'intervista - Parla il professor Snowden

“La verità in un diario inedito”

dal nostro inviato

New Haven - «Non c'è dubbio, si trattò di guerra biologica». Nella sua stanza al Berkeley College di Yale, Rank Snowden, professore di storia nella prestigiosa università di New Haven tira fuori una serie di fotocopie. E il diario di Alberto Coluzzi, all'epoca uno dei maggiori esperti di malaria, che fu chiamato dagli americani il combattere l'epidemia «creata» dai tedeschi.

Professore, come è arrivato a scoprire questa vicenda?

«Con un po' di fortuna e molta metodologia. Quando ho iniziato le ricerche negli archivi della "Rockefeller Foundation" sono stato colpito da una serie di documenti su quanto successo nell'agro pontino tra l'autunno 1943 e la primavera 1944 - molti già noti - che nessuno aveva però collegato tra loro. La conferma l'ho poi avuta a Roma».

In che modo?

«Grazie al professor Mario Coluzzi, figlio di Alberto e anche lui malariologo, che mi ha mostrato il diario, inedito, del padre».

E cosa c'era scritto?

«Dopo aver fatto un giro, di ispezione nelle paludi con le truppe americane, descrivendo le attività svolte dai tedeschi, così scriveva: "È assolutamente chiaro che tutto questo è stato fatto con l'obiettivo di far nascere un numero enorme di larve; non c'era alcun altro motivo"».

Gli italiani, il governo di Salò, erano al corrente di questa arma "biologica"?

«No, del resto se lo avessero saputo avrebbero fatto di tutto per bloccarlo; non bisogna dimenticare che la bonifica della paludi pontine fu uno dei grandi successi del regime fascista; e poi uno degli obiettivi era proprio quello di punire la popolazione civile italiana, per il "tradimento" avvenuto l'8 settembre».

Nessuno, neanche tra gli studiosi di malaria, sapeva?

«Qualcuno aveva capito, ad esempio Alberto Missiroli, un altro noto studioso di malaria che aveva lavorato con Martini: e che aveva profetizzato che i tedeschi potessero scatenare "la più grande epidemia di malaria nella storia dell'umanità". Missiroli non può essere considerato responsabile per le azioni compiute dai nazisti, ma il suo comportamento fu inquietante: impedì la distribuzione di chinino alla popolazione; e quando nel 1944 scoppiò l'epidemia, lui che era diventato l'alto commissario per combattere la malaria, preferì studiare gli effetti della nuova "arma antimalarica", il Ddt, piuttosto che impedire le sofferenze delle vittime della "guerra biologica" nazista».

Nei documenti ha trovato anche chi diede l'ordine?

«No. Ho ricostruito solo quanto successo, il piano preparato con cura seguendo le indicazioni di Erich Martini e del suo collega Rodenwaldt; al momento non so chi abbia dato l'ordine, si può immaginare che sia venuto da uno dei comandanti di Kesserling, da Kesserling stesso, o arrivare fino ad Himmler, - amico personale di Martini - e allo stesso Hitler. Adesso sono in contatto cori diversi storici tedeschi, è probabile che quell'ordine sia in archivi storici in Germania. lo, purtroppo, ho lavorato solo sugli archivi americani e su quelli italiani».

(a. f. d'a.)

la Repubblica, 13 febbraio 2006

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