la Repubblica

Giorgio Perlasca e gli altri giusti

In un libro gli italiani che aiutarono gli ebrei a salvarsi

di Nathan Horin

Il titolo di "Giusto tra le nazioni" viene attribuito dallo Yad Vashem di Gerusalemme, il memoriale della Shoah, ai non ebrei che hanno aiutato, spesso a rischio della vita, gli ebrei a salvarsi. Per riportare alla luce la memoria dei Giusti italiani, è stata svolta a Gerusalemme una lunga ricerca in collaborazione con il Centro di Documentazione Ebraica Con­temporanea di Milano, con il riconoscimento di circa 400 casi. I Giusti d’Italia (Mondadori, pagg. 344, euro 20, con un'introduzione di Carlo Azeglio Ciampi e Gianfranco Fini, in libreria il 1° febbraio, da cui traiamo questo intervento) raccoglie le storie di questi uomini coraggiosi.

Nella primavera del 1943, ricercato dalle autorità francesi di Vichy come disertore da un campo di internamento nei pressi di Limoges, mi rifugiai a Grenoble, nella zona d'occupazione italiana della Francia sudorientale. Per gli ebrei perseguitati questa zona era divenuta - dall'inizio del novembre 1942 all'8 settembre 1943 - un'oasi di sicurezza e di serenità. Protetti non solo contro le persecuzioni tedesche, ma anche contro le misure dei loro collaboratori francesi tese alla cons­gna ai nazisti per la deportazione nei campi di sterminio, gli ebrei riuscirono lì, fra l'altro, anche a costituire, in piena luce del giorno, una rete di resistenza e di salvataggio. Grazie a questa organizzazione, animata dal movimento di gioventù sionista (MJS) e dagli scout ebrei (EIF), migliaia di bambini furono tratti in salvo, trasferiti clandestinamente in Svizzera. Tutto questo finì, però, tragicamente l'8 settembre 1943, con l’occupazione tedesca dell'Italia. Tuttavia, come osserva il professor Daniel Carpi dell'Università di Tel Aviv, le condizioni create nella zona italiana permisero a non poche persone braccate di nascondersi ugualmente tra la popolazione locale fino alla Liberazione. Quando, anni più tardi, giunsi in Italia in missione diplomatica, sentii spesso, nei contatti con gli ebrei locali, i racconti del loro salvataggio da parte di connazionali cristiani. L'incontro, poi, con chi, in seguito, doveva essere mia moglie, mi confermò ulteriormente l'immagine che mi ero fatto sul comportamento degli italiani durante la Shoah. Infatti lei, i genitori e la sorella erano sopravvissuti ad Assisi, grazie all'aiuto generoso e coraggioso della rete di salvataggio organizzata dal clero locale. Ma nello stesso tempo conobbi anche l'altro lato della medaglia, cioè la collaborazione attiva di funzionari, ai diversi livelli, nella cattura e consegna agli aguzzini nazisti di circa metà degli ebrei italiani deportati. E questo senza parlare dei delatori che per odio antisemita o per squallidi calcoli di lucro contribuirono al tragico destino delle loro vittime, fra cui anche numerosi parenti di mia moglie. Ma questi italiani furono una minoranza in mezzo a una popolazione che, in genere, si era dimostrata una delle più umane d'Europa. Quando nel 1994 fui nominato membro della Commissione per la designazione dei «Giusti tra le Nazioni» di Yad Vashem, incaricato in particolare delle pratiche italiane, mi stupì il numero esiguo di italiani riconosciuti come «Giusti», cioè un po' più di 120. È  vero che l'entità della comunità ebraica italiana era infinitamente inferiore a quella delle comunità dell'Europa centrale e orientale e molto meno numerosa perfino di quelle della Francia, del Belgio e dell’Olanda. Ma questo dato di fatto non poteva spiegare da solo la palese discrepanza. Ed è proprio il carattere diffuso della solidarietà dimostrata in Italia, in contrasto con ciò che si era verificato nella maggior parte degli altri paesi europei, e soprattutto in quelli orientali, che fece sì che l'esperienza vissuta apparisse agli ebrei italiani quasi «normale», anche se certamente non dimenticata o minimizzata. (...) Risulta poi che per molti anni non si era stati a conoscenza della funzione specifica di Yad Vashem nel dare un riconoscimento ai soccorritori. Inoltre, sul piano italiano locale, erano stati conferiti degli attestati d'onore. Così l'Unione delle Comunità Israelitiche (poi Ebraiche) Italiane, nell'aprile del 1955, in occasione del decimo anniversario della Liberazione, aveva insignito della medaglia d'oro diversi benemeriti. Singole comunità ebraiche, come quelle di Roma e Firenze, avevano fatto altrettanto. Per quanto riguarda poi gli ebrei stranieri sopravvissuti in Italia, essi, dopo la Liberazione, si erano sparsi per il mondo, perdendo contatto con i loro benefattori e ignorando, a volte, perfino la loro identità o il loro domicilio. Stabilitisi all'estero, non hanno però dimenticato, generalmente, l'aiuto ricevuto. Così si spiega !'immagine molto positiva di cui gode l'Italia, per quanto riguarda il periodo della Shoah, negli ambienti ebraici nel mondo e in particolare in Israele. Spesso il rapporto fra salvati e soccorritori era di brevissima durata, come nel caso dei passaggi clandestini in Svizzera, che si svolgevano per lo più nell'anonimato per l'alto grado di rischio. Questo è vero, in parte, anche per la compilazione e la consegna di documenti d'identità e di carte annonarie falsi, necessari per una sopravvivenza meno esposta. Molti dei protagonisti di queste azioni rimarranno per sempre ignoti. Per rendere giustizia in modo più adeguato alla vera dimensione della solidarietà umana manifestatasi in Italia, si imponeva quindi un lavoro di ricerca capillare, non facile a distanza di decenni dagli eventi. In seguito ad appelli diffusi sulla stampa italiana e in particolare su quella ebraica, cominciarono ad arrivare a Yad Vashem nuove testimonianze. Nello stesso senso operò anche il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) di Milano e l'Associazione degli amici di Yad Vashem in Italia, nella persona di Emanuele Pacifici. Molti sopravvissuti avevano rimosso, dopo la guerra, un vissuto doloroso per poter riprendere una vita normale, e così anche il ricordo del bene ricevuto era caduto nell’oblio, ma ora, sopraggiunta la vecchiaia, rimpiangono di aver tardato tanto e sollecitano  Yad Vashem ad accelerare le procedure per poter pagare il loro debito di riconoscenza finché sono ancora in vita. La loro testimonianza a volte presenta delle lacune e delle incongruenze dovute a una memoria non più intatta. Succede anche che figli di salvati nel frattempo scomparsi scoprano un diario o altri documenti che riportano una storia di salvataggio di cui non avevano mai sentito parlare. In tutti questi casi l’istruttoria non è facile ed esige spesso delle ricerche lunghe e delicate. Alla fine del 2005 il numero dei «Giusti» italiani riconosciuti si aggira intorno ai 400, senza contare i dossier ancora all'esame.

Chi scrive è membro della Commissione per il riconoscimento dei Giusti di Yad Vashem

la Repubblica, 20 gennaio 2006

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