la Repubblica

Cracovia dopo

A colloquio con Alberto Nirenstein che ritornò in Polonia per studiare l’Olocausto

di Stefano Malatesta

Firenze - Nel dopoguerra Alberto Nirenstein, che aveva combattuto con gli inglesi a El Alamein e in Italia, tornò in Polonia. Nato nella regione di Lublino, era andato in Palestina negli anni in cui gli studenti cattolico-reazionari polacchi scaraventavano giù dalle finestre delle scuole gli studenti ebrei. In Polonia, dove non c'era più nessuno ad aspettarlo - genitori, fratelli, sorelle erano stati tutti uccisi dai nazisti - è rimasto per quattro anni, facendo ricerche sull'Olocausto per incarico dell'Istituto Storico Ebraico di Varsavia. Ma di Oskar Schindler ha trovato poche tracce. Le truppe tedesche avevano occupato la città il 6 settembre del 1939. «Cracovia aveva 250 mila abitanti, quasi 70 mila erano ebrei. Da secoli in Polonia lavoravano come commercianti e come artigiani: dopo il loro sterminio non si riusciva più a trovare chi sapesse tagliare un vestito, far un paio di scarpe, costruire uno strumento musicale o cucire una pelliccia. Gli ebrei di Cracovia   stavano qualche gradino sopra, molti di loro erano avvocati o medici. Cracovia è sempre stata una città influenzata dalla cultura progressista, da un ceto intellettuale: qui si stampava il più importante quotidiano in lingua polacca del paese. Il ghetto di Kazimierz era stato liberalizzato nel 1867 da Francesco Giuseppe, il nume tutelare degli ebrei. In ogni casa si poteva trovare un suo ritratto». «Nello stesso tempo la città è stata uno dei centri più importanti dell'ebraismo. Il grande storico della Diaspora, Meier Balaban, è nato a Cracovia. Qui hanno vissuto i dottissimi rabbini della migliore tradizione ebraico-talmudica, come Jacob Polak, come Moshe Iserlés». Gli editti restrittivi dei nazisti per gli ebrei vennero emanati già in novembre: il cartellino di riconoscimento, le razioni dimezzate. «Hans Frank, il governatore generale della Polonia aveva come unico scopo di ripulire il paese da quella che chiamava l'infezione ebraica. Spaventati dagli editti, oltre 40 mila si sparsero per le campagne e i paesi vicini. 11 mila furono rastrellati e rinchiusi dentro un nuovo ghetto, alla periferia di Podgórze, al di là della Vistola. Durante il rastrellamento ne ammazzarono cinque o seicento». Nel libro di Thomas  Keneally su Schindler si dice che il passaggio degli ebrei venne salutato da una folle entusiasta di polacchi, che lanciava zolle di fango. La prima deportazione scattò il 5 maggio del 1942. Seimila furono spediti in un viaggio senza ritorno, nel famigerato campo di Belzéc, nel sud della Polonia. «Come il trasferimento anche le deportazioni comportavano massacri sul posto, per pura brutalità forse anche per far capire che poco da sperare. Le operazioni erano dirette naturalmente dalle Ss, che però si servivano, come manovalanza, di poliziotti ebrei. Una pagina nerissima. Venne ucciso anche Mordechai Gebirtig, uno dei più grandi poeti yddish, l’autore del poema Brucia». In ottobre le Ss deportarono altre migliaia di persone a Belzec e ad Auschwitz-Biíkenau. Quelli che rimasero furono divisi in due gruppi: adatti e non adatti al lavoro. Gli adatti vennero internati nel tremendo campo di lavoro di Plaszów, diretto da Amon Goeth, impiccato dopo la guerra. «E' qui che entra in scena 0skar Schindler, un industriale tedesco dei Sudeti, che aveva rilevato da ebrei una fabbrica di oggetti smaltati, la 'Emalia'. Schindler è riuscito a salvare centinaia forse migliaia di ebrei, facendoli lavorare nella sua azienda. Pagando Coeth, corrompendo con regali e contante altri ufficiali, portava via quei poveretti da Plaszòw, dove Goeth si divertiva a sparare ai prigionieri  dalla finestra, come al tiro al piccione». Ma la 'Emalia' andava male. Schindler allora aprì una fabbrica di munizioni in un posto chiamato Brinnlitz, nei Sudeti. «All' inizio del 1945, aiutato da alcuni ebrei, salvò altri cento deportati, rimasti prigionieri dentro un carro bestiame abbandonato in uno scalo a 30 gradi sotto zero. La Germania era al collasso, le Ss fingevano di non vedere per denaro o tentare di acquisire benemerenze». Sempre Keneally scrive che nel 1963, quando in Germania la stampa tedesca cominciò a raccontare delle imprese di Schindler, l'ex industriale veniva fischiato per strada e chiamato «baciaebrei». A Cracovia, in quei tremendi anni, non c'erano solo ebrei destinati al massacro o ebrei collaborazionisti. C'era anche chi combatteva per la resistenza. «E' giusto parlare di Schindler. Sarebbe anche giusto parlare di quei ragazzi e ragazze di 18, 20 anni, poco meno di un centinaio che facevano imboscate, attaccavano le Ss, ancora prima della rivolta del ghetto di Varsavia. Giovani anarchico-romantici, molto idealisti, che sapevano di avere poche possibilità di scampare. Furono quasi tutti catturati dopo un attacco ad un grande caffè di Cracovia. Prima di morire una ragazza è riuscita a scrivere, rinchiusa nella cella, un diario che si chiama Il diario di Justina. Ė quasi più commovente del Diario di Anna  Frank.  

Da la Repubblica, 10 marzo 1994, per gentile concessione

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