la Repubblica
Mille
ex soldati internati dai nazisti chiedono l'indennizzo alla Germania
Sono
i toscani assistiti dall'avvocato Lau. Dice uno di loro: " Ci trattarono
come schiavi"
di
Claudia Riconda
I maiali di Badoglio. Nel lager li chiamavano così quelli come il Nappini. Badoglioschweine. Maiali, traditori. Il Nappini Giancarlo, fiorentino, che oraha 79 anni e la voce che non trema più: "La nostra è una battaglia persa, la Germania non ci darà un soldo. Siamo tutti vecchi, moriremo senza aver avuto giustizia". Il Nappini che era un soldato di diciott'anni quando i tedeschi lo catturarono a Trieste il 9 settembre del '43, all'indomani dell'armistizio di Badoglio. Gli chiesero se voleva combattere a fianco di Hitler, disse no e finì nel lager. Quando tornò, nel maggio del 45, pesava 45 chili. "Siamo stati trattati come animali. Sei giorni chiusi in un vagone per le bestie, e poi stipati nelle baracche del campo, nella Prussia orientale, sotto Danzica. Un metro di tavolaccio per dormirci in tre. Da mangiare acqua e rape. Per mesi a lavorare sottoterra, nelle miniere. A meno vent’otto gradi con una camicia di cotone e gli zoccoli. Non siamo mai stati trattati come prigionieri di guerra. Come schiavi, sì". In Italia sono in centoventimila come lui. In Toscana quasi mille. Quelli che hanno fatto causa alla Germania per avere un indennizzo di quei lavori forzati, e ai quali la Germania ha detto no: Niente risarcimento per voi: per i lavoratori coatti civili si, ma per i prigionieri di guerra no. Una beffa, per i reduci che sopravvivono: una minima parte dei soldati italiani, oltre 650 mila, che furono deportati nei lager tedeschi all'indomani dell'8 settembre '43. Gli Imi, gli internati militari italiani, come furono schedati da Hitler. Protagonisti di quella che qualcuno ha definito la più grave disfatta politica e militare subita dall'Italia in epoca moderna. In cinquantamila morirono nei lager. E per chi tornò, ci fu il silenzio (a parte le coraggiose rivendicazioni dell'Anrp, l'associazione nazionale reduci di guerra e internamento). Fino a che nel 2000 la Germania ha istituito per legge uno speciale Fondo indennizzi, dotato di 5 miliardi di euro, per rifondere i lavoratori forzati nei lager dal '39 al '49. Ma una piccola clausola nega quei fondi ai prigionieri di guerra (la Convenzione di Ginevra non escludeva l'opportunità che potessero lavorare, purché non inattività belliche). E i soldati italiani, a sessant'anni di distanza, sono stati considerati tali: prigionieridi guerra. Una beffa, appunto. Perché quello status gli fu subito negato nel '43, quando lo stesso Hitler il 20 settembre ordinò che quei soldati fossero considerati soltanto "militari internati", per escluderli così dai vantaggi dei prigionieri ufficiali: gli aiuti dalla Croce Rossa, cibo, lettere da casa, un trattamento più dignitoso rispetto a quanto sopportarono i "maiali di Badoglio". A difendere i loro diritti, c'è oggi un avvocato tedesco che vive in Toscana e ha lo studio presso Piazza della Signoria. Joachim Lau. Una sorta di Joschka Fischer, con cravatta a righe e un gran rispetto per la verità storica. "La Germania deve riconoscere ufficialmente di aver compiuto un atto illegale". La strategia di Lau, che ha anche fatto ricorso tramite due clienti (di cui uno aretino) alla Corte istituzionale tedesca, e dimostrare che quei soldati italiani non devono essere considerati prigionieri di guerra: "Semplicemente perché, per fare dei prigionieri legalmente riconosciuti tali, bisognache due paesi siano in guerra. Mentre tra l'8 e il 9 settembre '43 l'Italia e la Germania non lo erano ufficialmente. Per l'Italia, anzi, una volta sciolto lo stato maggiore dell'esercito, si ipotizzava in quei giorni uno stato di neutralità. Né formalmente contro i tedeschi, né formalmente alleata con inglesi e americani. Quei soldati furono catturati illecitamente". E in ogni caso, insiste l'avvocato, questa gente deve essere risarcita: "Perché non ha mai goduto del trattamento che fu riservato agli altri prigionieri occidentali. Ma furono umiliati, seviziati, costretti tra l'altro a lavorare in attività belliche, a costruire bombe e aerei da guerra, cosa non tollerata dalla Convenzione di Ginevra". Le prime due richieste di risarcimento hanno già fatto un pezzo di strada giudiziaria: il tribunale amministrativo di Berlino, la settimana scorsa, ha rinviato la sentenza. Il fatto che non le abbia respinte, è già un buon segno. Per sostenere questa difficile battaglia c'è un conto corrente postale: Bancoposta 38016861 Abi 07601 Cab 14100 causale: lavoratori forzati.
la Repubblica - 24 febbraio 2004