la Repubblica

I ragazzi del liceo e quelli del '44

Ricordati i martiri di Campo di Marte

di Beatrice Manetti

E I ragazzi del '44 incontrarono i ragazzi dei 2002. Quelli che non hanno ancora vent'anni e quelli che non hanno mai smesso di averli. Si sono cercati, si sono ascoltati, insieme hanno colmato l'enorme distanza di un cinquantennio denso come 5 secoli e smemorato come un soffio di vento. È stato il sapore inconfondibile della memoria condivisa, a rendere speciale la commemorazione dell'eccidio del 22 marzo 1944, quando i fascisti fiorentini fucilarono 5 giovani contadini del Mugello poco più che ventenni, "colpevoli" di essere tornati a casa dopo lo sbando generale dell'8 settembre e di non voler abbandonare i campi e i genitori per andare a morire a Salò. Fu un macello. Per i soldati del plotone di esecuzione quei contadini erano prima di tutto dei coetanei: piangevano così tanto, mentre sparavano, che non riuscirono ad ammazzarli subito. I due sopravvissuti li finì a colpi di pistola Mario Carità, il comandante delle SS fiorentine. Oggi una croce e una lapide sul muro dello stadio, a pochi metri dalla torre dì Maratona, ricordano quei martiri: Antonio Raddi, Guido Targetti, Leandro Corona, Ottorino Quiti, Adriano Santoni. È lì che li hanno incontrati i ragazzi della V A del liceo scientifico Antonio Gramsci. "Molti di noi vengono allo stadio - spiegano Marco e Barbara Host, portavoce improvvisati della classe - ma quella croce l'abbiamo messa a fuoco solo adesso. È stato il nonno di un nostro compagno a parlarci dell'eccidio di Campo di Marte. Così, la ricerca che avevamo avviato sulla guerra si è trasformata nella ricostruzione di questo episodio". Il risultato è un documentario rigoroso e commovente, realizzato insieme alla, professoressa Alessandra Povia e al regista Marco Colangelo, e il cui titolo parla da solo: "Ragazzi come noi" (oggi alle 9.30 viene presentato al Museo del calcio di Coverciano per gli studenti delle scuole medie fiorentine). Sulle tracce dei ragazzi del '44, i ragazzi del 2002 hanno raccolto immagini di repertorio, intervistato i parenti delle vittime, restituito il suono dei passi di chi andava a morire e di chi era stato chiamato a uccidere. Hanno imparato che la storia non è una fredda astrazione, ma una ferita che guarisce solo se la si tiene aperta: "Qui non c'è solo una croce - proseguono ci sono anche ricordi, dolore, emozioni ancora vive. Non abbiamo voluto fare un film politico, ma raccontare cinque storie comuni".

la Repubblica - 23 marzo 2002


"Perdono per i crimini nazisti"

Il presidente tedesco Rau chiederà scusa a Marzabotto - I due capi di stato mercoledì prossimo nel luogo simbolo degli eccidi delle truppe del Reich - Il gesto non ha precedenti La svolta attentamente preparata dalle due diplomazie

di Andrea Tarquini

BERLINO - Sarà la fine di un muro di gomma di silenzi ufficiali tedeschi rimasto in piedi per mezzo secolo tra i due paesi, sarà la cancellazione dell'ultima grande "macchia bianca" nella storia della Germania e dell'Europa. La settimana prossima, nel corso della sua visita ufficiale, il presidente tedesco, il socialdemocratico Johannes Rau, si recherà insieme al capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, a Marzabotto. Come annuncia la Sueddeutsche Zeitung nella corrispondenza della collega Christiane Kohl che pubblichiamo in questa pagina, Rau insieme a Ciampi renderà omaggio alle vittime di quella strage tedesca nella chiesa di Santa Maria Assunta, uno dei luoghi dove cominciò il massacro dei civili. E nel suo discorso là a Marzabotto parlerà apertamente delle colpe e dei crimini di cui si macchiò il suo paese nell'ltalia occupata, tra il 1943 e il 1945. Il presidente tedesco ha chiesto di incontrare familiari delle vittime: chiederà scusa e cercherà parole di riconciliazione. È una svolta di grande importanza, preparata da lunghe consultazioni riservate tra il vertice di Berlino e il Quirinale. È nota infatti la grande sensibilità di Ciampi verso il ricordo di quelle terribili pagine della Storia recente. E il presidente italiano ne ha parlato con il collega tedesco quando quest'ultimo gli ha riferito della commozione con cui aveva letto gli articoli della stampa tedesca sull'eccidio nazista dell'isola di Cefalonia. Finora, in mezzo secolo di dopoguerra, nessuna delle numerosissime visite di capi di Stato e di governo della Repubblica federale aveva affrontato in Italia questo tema. Il paragone più immediato che corre alla mente è quello con lo storico inchino del "cancelliere della pace" Willy Brandt al Ghetto di Varsavia. In piena guerra fredda, il primo premier di sinistra della democrazia di Bonn s'inginocchiò davanti al monumento nella capitale polacca, chiedendo perdono per il genocidio degli ebrei d'Europa e i massacri di civili polacchi. Sfidò così critiche e riserve dei conservatori. E insieme ai trattati sulla coesistenza e le frontiere con Mosca e Varsavia, quell'inchino gli valse il Premio Nobel per la pace. Forse non è un caso se proprio Johannes Rau ha scelto di compiere il grande gesto verso l'Italia. L'attuale presidente tedesco infatti fu a lungo il braccio destro di Brandt, e nella Spd dei sessantottini diventati uomini di governo è rimasto l'ultimo compagno di militanza del "cancelliere della pace". Per la Bundesrepublik la visita di Rau a Marzabotto ha anche un valore politico e diplomatico. In un'Europa in cui il vento del revisionismo storico e della minimizzazione del nazismo è in voga, la Germania tornata paese leader ci tiene a mostrarsi capace di fare i conti col passato e di aver sposato i valori della democrazia.

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"Il massacro durò due giorni furono uccisi quasi 300 bimbi"

Il racconto di Dante Cruicchi, 81 anni, una vita spesa per la memoria di Marzabotto - L'emozione dell'ex sindaco che fu anche deportato: assisteremo a un fatto storico - Tra le vittime anche il parroco, ucciso nella chiesa di cui oggi restano solo rovine

di Christiane Kohl

MARZABOTTO - "Qui, guardi, qui sedeva sulla sua sedia a rotelle l'invalido che uccisero sul posto come un cane". Dante Cruicchi, il vecchio con i baffi, indica le mattonelle consunte accanto ai suoi piedi. "Qui, qui gli hanno sparato", continua con ampi gesti muovendo le mani nel nulla. Siamo tra le rovine della chiesa di Santa Maria Assunta, che fu la parrocchia di Casaglia, un gruppetto di case sui monti a sud-ovest di Bologna. Oggi, della chiesa, sono rimaste in piedi soltanto un paio di mura, le antiche mattonelle dei pavimento e l'altare in marmo bianco e rosso spazzato dal vento e dal maltempo. La settimana prossima, le rovine della piccola parrocchia saranno lo sfondo di un evento che l'81enne signor Cruicchi ha atteso da decenni: il presidente tedesco Johannes Rau verrà quassù sugli Appennini, a rendere omaggio alle vittime civili del la Wehrmacht. "E' un fatto storico", dice il vecchio, un evento almeno altrettanto importante dell'inchino del cancelliere Willy Brandt al Ghetto di Varsavia. Per la prima volta un presidente tedesco parlerà dei crimini dei soldati della Wehrmacht e delle Waffen - Ss contro civili italiani. "Per tutta la mia vita - dice Cruicchi - ho lavorato e mi sono battuto affinché questo accadesse". Casaglia è una frazione del comune di Marzabotto, un nome che in Italia è simbolo del terrore nazista durante l'occupazione tedesca tra il 1943 e il 1945. A fine settembre del '44 l'intero paese fu raso al suolo da reparti delle Waffen-Ss, e circa 770 persone furono massacrate nei piccoli centri sparsi attorno a Monte Sole. Cruicchi finii deportato dai nazisti in un campo di concentramento in Germania. Dopo la guerra, fu sindaco di Marzabotto, e da ben 25 anni è presidente del comitato d'onore per le vittime della strage. "Fu quello il più grosso massacro compiuto dai nazisti nell'Europa occidentale occupata", dice. Nella chiesa di Santa Maria Assunta, che domina il paesaggio circostante, trovarono la morte ottanta persone, tra cui trentotto bambini. La mattina del 29 settembre 1944 un centinaio di abitanti del villaggio avevano cercato rifugio nella piccola parrocchia. Dalla valle sottostante veniva già l'eco degli spari: a Cadotto, poco distante, un gruppo di partigiani si era asserragliato in una casa e stava affrontando una compagnia delle Waffen-Ss in un violento scontro a fuoco. Ci furono morti da entrambe le parti. Fu il comandante della compagnia a ordinare allora di sgomberare anche le altre case, in cui vivevano semplici contadini. Una cinquantina di civili, per lo più donne, bambini e alcuni anziani, furono portati via e uccisi dai soldati, e tutte le case del circondario furono date alle fiamme. I militari appartenevano alla 16° divisione corazzata granatieri Reichsfuehrer Ss. "Piombarono anche qui in chiesa - racconta Cruicchi - gridavano "raus, raus", fuori, fuori". Tre persone, tra cui l'invalido sulla sedia a rotelle, furono assassinati già in chiesa, gli altri vennero portati in un cimitero vicino, poco più in alto sulla montagna. Un muretto in pietra diroccato circonda il camposanto, al cui margine un ciliegio è in fiore. Su una cappella funebre e su alcune croci sono ancora visibili le tracce delle pallottole. Il massacro durò due giorni. Alla fine il comando della divisione comunicò: "718 nemici uccisi, di cui 497 banditi e 291 complici delle bande". "I complici erano i bambini uccisi - dice Cruicchi - e tra i banditi contarono anche il parroco".

Il parroco venne ucciso in chiesa. E proprio dove egli cadde, Johannes Rau pronuncerà il suo discorso mercoledì 17 aprile. Negli ultimi anni di guerra, i soldati tedeschi uccisero circa diecimila civili italiani; mezzo milione di italiani venne deportato per i lavori forzati in Germania. Rau vuole ora parlare apertamente di questo che fu il capitolo più buio dei rapporti tra i due paesi, e trovare anche adeguate parole di scusa. Sarà così il primo presidente federale a percorrere la via del mea culpa a cercare una riconciliazione segnata dalla coscienza della Storia. Un altro capo di Stato tedesco, Richard von Weizsaecker, in visita a Roma nel 1991, si recò alle Fosse Ardeatine, e vi depose una corona di fiori iscrivendosi nel libro dei visitatori, ma non tenne alcun discorso pubblico sui crimini del passato.

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L'INDAGINE

"Pochi conoscono la nostra storia" - Una ricerca delle associazioni partigiane

SOLO la metà sa che la Costituzione entrò in vigore nel 1948 e solo quattro su dieci si ricordano che l'asse Roma - Berlino fu stretto nel 1936. Per quasi uno su tre la Marcia su Roma avvenne nel 1945, ma sono ancora di più (il 47%) a sbagliare l'anno dell'entrata in guerra dell'Italia. Va un pò meglio con l'8 settembre del '43: armistizio con gli angloamericani, dice il 60%; ma per il 21 quella data segna l'invasione dell'Italia da parte dell'esercito tedesco. Sono dati sorprendenti, soprattutto per chi - i milanesi della Fiap, la federazione delle associazioni partigiane - ha commissionato all'Swg la ricerca sulla «conoscenza della storia patria», in particolare negli anni della Resistenza. Anche se Aldo Aniasi, il mitico comandante dei partigiani in Valdossola, preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno: «Nonostante sia in atto un cosiddetto revisionismo storico, che io giudico deplorevole, questa indagine dimostra che i valori principali della Resistenza, su tutti la libertà, continuano a essere vissuti come fondanti». Sta di fatto che gli italiani su quel periodo sembrano fare una gran confusione: «Nelle scuole - spiega Aniasi - lo studio della storia continua ad arrivare al massimo alla Prima guerra mondiale, per questo presenteremo i risultati della ricerca al ministro Moratti».

la Repubblica - 10 aprile 2002


Scoperti in Germania i nazisti di Marzabotto

La tv tedesca rivela l'identità di alcuni degli ex Ss responsabili della strage in Italia - Hanno tra i 76 e gli 82 anni, vivono da pensionati liberi tra Amburgo e la Baviera - La scoperta giunge proprio a pochi giorni dalla visita italiana del presidente Rau

di Andrea Tarquini

BERLINO - Quattro ex militari delle Ss, che parteciparono alla strage di Marzabotto, sono stati individuati dai reporter della tv tedesca. Tutti e quattro vivono liberi e indisturbati in Germania, hanno tra i 76 e gli 82 anni, e abitano ad Amburgo, Braunschweig, Essen e nella foresta bavarese. Il caso minaccia di pesare sull'imminente visita in Italia del presidente tedesco, Johannes Rau, il quale si recherà proprio a Marzabotto mercoledì prossimo per chiedere scusa per i crimini nazisti. Nonostante molte prove schiaccianti accusino da anni i quattro, dice la tv pubblica, nessun procedimento è stato mai aperto nei loro confronti dalla magistratura tedesca. I reporter della prima rete tedesca, la Ard, che hanno individuato i quattro criminali di guerra, hanno realizzato il programma, che andrà in onda stasera, per Kontraste, la testata di attualità politica che scovò ad Amburgo Friedrich Engel, responsabile dei massacri di Genova. I quattro sono ex sottufficiali, che comunque furono in prima linea nel massacro di civili. Uno dei quattro è l'ex sergente Albert Meier. Intervistato dai giornalisti, ammette di aver partecipato alle azioni. "Sì, certo, c'ero anch'io - dice Meier - ma punimmo solo persone che avevano commesso crimini". Egli riconosce però, secondo Kontraste, che le vittime erano civili. A carico di Meier e dei suoi tre compagni, secondo quanto affermano la Ard e la Sueddeutsche Zeitung, esistono da decenni prove che organizzazioni internazionali e le Nazioni Unite avevano inviato alle magistrature tedesca e italiana. Ma contro i quattro non furono aperti procedimenti specifici in nessuno dei due paesi. Un'indagine cumulativa contro molti presunti partecipanti alla strage di Marzabotto fu tardivamente avviata in Germania negli anni Ottanta, ma - dice Kontraste - senza convinzione. I sospetti non furono mai ricercati attivamente, e nel 1993 il procedimento venne archiviato. "Finalmente li hanno scovati, speriamo che vengano chiamati a rispondere dei loro crimini", hanno detto a Marzabotto i sopravvissuti al massacro. Aggiungendo: "È inconcepibile che abbiano potuto godere dell'impunità per decenni". La speranza è che ora la denuncia della tv serva a smuovere la magistratura dal suo torpore conciliante verso i vecchi nazisti. Così è stato nel caso di Engel: lo scoop di Kontraste l'anno scorso portò alla sua incriminazione per l'assassinio di 59 ostaggi. Anche il presidente Rau, nella sua visita, sarà probabilmente chiamato a prendere posizione sui quattro ex Ss dall'aria di tranquilli pensionati.

la Repubblica - 11 aprile 2002


"L'ordine era: uccideteli fu come una battuta di caccia"

Essen, parla un ex sergente SS: "C'ero anch'io a Marzabotto"

di Andrea Tarquini

È lui, Anton Meier, ex sergente della 16ma divisione corazzata granatieri delle Ss, uno dei quattro presunti assas-sini di Marzabotto e di Sant'Anna di Stazzema scovati dopo oltre mezzo secolo dagli investigative reporters della tv di Berlino. Per decenni le giustizie tedesca e italiana, pur avendo in mano prove schiaccianti, li hanno lasciati vivere liberi, tranquilli e incensurati. E adesso che il presidente Johannes Rau si prepara a venire a Marzabotto per chie-dere scusa, Meier e i suoi tre commilitoni temono la resa dei conti con la Storia. "Lo lasci in pace", ribatte decisa Frau Meier alle nostre vane insistenze. Ci lascia sul piane-rottolo dell'umile palazzina annerita qui nel vecchio cuore industriale della Germania. In strada passeggiano curve donne anziane avvolte in chador e informe cappotto a sacco, ma anche snelle, splendide ragazze con capelli e occhi nerolucido vestite alla moda del discount; corpulenti uomini baffuti dallo sguardo mite si avviano fumando verso il "circolo Anatolia". Frau Meier è nervosa: la trasmissione che smaschera suo marito e accusa chi lo ha protet-to va in onda tra poche ore sulla prima rete pubblica. Herre Frau Meier temono indagini e rivelazioni. Sembrano non perdonarsi la scelta di aver ricevuto giorni fa i colleghi René Althammer e Guempel della Ard con cameramen al seguito. Davanti alle telecamere, l'ex sergente Meier aveva parlato. "Si, certo che mi ricordo di Marzabotto, c'ero anch'io. Abbiamo soltanto punito quelli che riuscimmo ad acciuffare, gente che comunque in qualche modo si era macchiata di crimini". E chi erano? "Bé civili, certo". A Heinz Otte, un altro dei quattro reduci, Althammer e Guempel hanno strappato altri ricordi. "Fu un'azione contro i partigiani, intendiamoci bene. Gli ordini? Ce ne fu uno solo: ucciderli, ucciderli tutti insieme, nessun altro comando. Fu come una battuta di caccia: la gente venne radunata tutta insieme, avanti, via con noi! Furono tutti portati davanti alla chiesa del villaggio, su una piazzetta col crocifisso antistante la chiesa, come in Italia ne vedi tante. Si cominciò a sparare, poi non ce la feci più a guardare". E un terzo reduce aggiunge: "Non ho nulla da rimproverarmi, ho la coscienza immacolata. Il passato è un capitolo chiuso". Morirono in oltre mille, tra Marzabotto e Sant'Anna, quan-do il generale Max Simon, co-mandante della 16ma SS, eseguì l'ordine di fare terra bruciata. Così doveva proteggere la fuga degli "eroi del Reich millenario" davanti alle armate vittoriose di Clark e Montgomery e alle brigate del Cln. Né italiani né tedeschi ma i giudici militari inglesi condussero tra il 1945 e il '47 l'inchiesta più veloce sulle stragi. "Solo a Sant'Anna - scrissero - furono uccisi almeno 150 bambini. La più piccola, Anna Pardini, aveva venti giorni ... alcuni neonati, sopravvissuti per caso alle pallottole e alle granate, brancolarono a quattro zampe per giorni tra i cadaveri segati in pezzi dalle raffiche delle mitragliatrici MG 42. Morirono poi di fame, o sbranati da cinghiali e cani randagi ... furono uccisi a freddo anche invalidi e sacerdoti, molte donne furono prima violentate per ore, i feriti a terra vennero finiti a colpi di calcio di fucile ... madri e nonne morirono con figli e nipoti nelle case date alle fiamme ... poi fu bruciata anche la chiesa". Il generale Max Simon, ricordano i colleghi della tv tedesca Ard, finì condannato a morte per crimini di guerra a Padova nel '47 da una corte militare di Sua Maestà britannica. Poi venne il dopoguerra: l'inchiesta alleata fu girata alle giustizie tedesca e italiana di nuovo sovrane. Contro i quattro reduci scovati adesso dalla tv e contro decine o centinaia di loro commilitoni, i magistrati dei due paesi non mostrarono lo stesso zelo degli inglesi, o dei reporter di oggi. "Eppure", dice Althammer, "uno dei quattro sopravvissuti, G.S. di Amburgo, era tenente, quindi ufficiale, investito di responsabilità di comando. Comandava una compagnia del secondo battaglione della 16ma, e lo ha ammesso davanti a noi". La tv tedesca ha intervistato anche il procuratore italiano Marco Coco e gli inquirenti della commissione della Giustizia tedesca per la caccia ai criminali nazisti. "Abbiamo un piccolo gruppo di nomi di persone che parteciparono all'azione a Sant'Anna, sappiamo che sono ancora in vita e dove abitano", dice Coco alla tv tedesca. Gli inquirenti confessano alla televisione di non aver ancora né esaminato gli atti degli Alleati, né identificato alcun sospetto. "Se ne vada, lasci in pace mio marito", insiste Frau Meier e ci chiude la porta in faccia. Scendiamo le scale della palazzina senza ascensore al numero 26. In strada due ragazzoni turchi sfoggiando una fiammante Golf Gti corteggiano due biondine tedesche, le invitano a un concerto rock a Colonia. Un motivo di Kylie Minogue dall'autoradio, l'eco lontana del muezzin turco che chiama alla preghiera da una moschea e il sibilo del Tgv che sfreccia verso Parigi si fondono nell'aria. Risparmiato dalla giustizia, il vecchio ex SS soffre accerchiato dalla Germania multiculturale per lui straniera. Althammer chiama dal cellulare: "Stasera andiamo in onda, raccontatelo agli italiani". La Golf con i quattro giovani a bordo parte sgommando. Anche gli ignari vicini di Herr Meier tra poche ore conosceranno in tv l'altro volto dell'anziano inquilino del terzo piano, "quel povero vecchio sulla sedia a rotelle".

Il procuratore italiano spiega agli intervistatori: "Abbiamo i nomi di chi partecipò ai massacri, sappiamo anche dove abitano oggi" - "Uno dei quattro militari sopravvissuti, di Amburgo, era un ufficiale investito di responsabilità di comando: guidava una compagnia"

la Repubblica - 12 aprile 2002


"Fu una strategia precisa per terrorizzare la popolazione"

Parla Ivan Tognarini di cui sta per uscire un libro su quegli episodi - "Il clima di impunità fu avviato dal processo a Kesselring: nel 1952 era già in libertà" - "I manuali spiegavano come riunire le vittime in piazza per falciarli con la mitragliatrice"

di L. P.

Parte dal processo al feldmaresciallo Albert Kesselring il nuovo libro di Ivan Tognarini dedicato alle stragi nazifasciste in Toscana in uscita proprio in questi giorni (presso la casa editrice Carocci) in cui tornano alla ribalta le responsabilità per le stragi di Sant'Anna di Stazzema e di Marzabotto. "Se il processo a Kesselring avesse avuto un esito diverso - afferma il professore di storia moderna all'università di Siena che è anche presidente dell'Istituto storico della Resistenza in Toscana - avrebbe forse contribuito a non far insabbiare le altre inchieste sulle stragi nazifasciste. E si sarebbero salvate memorie e documentazioni che oggi non sono più recuperabili. Ma alla memoria delle generazioni lasciamo almeno la condanna morale degli uomini che in questi giorni sono stati identificati". Il processo a carico del feldmaresciallo della Wehrmacht - che il 3 agosto si trovava a Firenze durante il minamento dei ponti e della parte monumentale - si svolse nel 1947 a Venezia e non a Roma dove avrebbe dovuto essere celebrato in un primo momento. Kesselring fu condannato a morte per fucilazione per il massacro delle Fosse Ardeatine, ma poco dopo la pena fu tramutata in ergastolo. Scrissero lettere e telegrammi in suo favore sia Winston Churchill che il generale americano Alexander. E pochi anni dopo, nel 1952, ottenne la grazia e fu scarcerato. "Di Marzabotto al processo non si parlò neanche afferma Tognarini - L'accusa riuscì a tirare in ballo la strage di Sant'Anna di Stazzema. Ma solo per un breve accenno, leggendo un rapporto redatto da un sacerdote. Kesselring al momento dell'avvio del processo era riuscito a non farla includere tra i capi d'accusa. L'inchiesta su Sant'Anna, una delle più atroci per il numero delle vittime, oltre 400, e per il numero di bambini e donne straziati e sterminati, era stata avviata dagli americani nel settembre del 1944, ma non era arrivata, fu detto, all'individuazione di responsabili. In ogni caso Kasselring si difese delle accuse di stragi negando di aver saputo di atrocità commesse contro le popolazioni civili. Al massimo, disse, poteva essersi trattato di qualche disfunzione". Del processo, emblematico, che avrebbe dovuto diventare la "Norimberga italiana" e che invece rimase un episodio isolato, lo studioso riproduce tra l'altro i passaggi più importanti attraverso le cronache e i commenti dei giornali del tempo, tra cui vari pezzi del "Nuovo Corriere" diretto da Romano Bilenchi. Fatti e commenti che sono per Tognarini l'occasione di ribadire la tesi da lui a più riprese sostenuta (fin da uno storico convegno svoltosi ad Arezzo nel 1987) che le stragi nazifasciste, che si svolgono lungo i due assi della Cassia e dell'Aurelia, fanno parte di una strategia. "Non sono episodi casuali, come viene sostenuto nel processo - afferma - Non sono la reazione agli attacchi dei parti-giani da parte di soldati esasperati, ma una fredda e calcolata operazione di sterminio. Lo dimostrano i colloqui tra Kesselring e Wulff, che si mettono d'accordo sulle rappresaglie e in qualche modo si contendono il comando della repressione della Bandenkrieg. Lo dimostrano i manuali che circolavano su come impiccare i partigiani, su come far convergere la popolazione civile in uno spazio aperto, nella piazza davanti alla chiesa o nel cortile di una villa per poi eliminare tutti a colpi di mitragliatrici. Un rituale che si è crudelmente ripetuto nelle tante stragi che hanno segnato l'estate toscana di sangue del 1944 in base a una strategia precisa che scatta spesso anche a prescindere degli attacchi dei partigiani, come terrorismo preventivo per scoraggiare i civili dal sostenerli.

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LE STRAGI DEL '44

La compagnia della morte

"I ragazzini delle SS insanguinarono la Toscana"

Non solo Marzabotto e Sant'Anna. La giustizia rimessa in moto dopo 58 anni cerca di spiegare i trecento massacri che nessuno ricorda più" - Parla lo storico Carlo Gentile collaboratore dei tribunali: "Molti responsabili sono ancora in circolazione: ma sarà difficile"

La giustizia si è rimessa in moto dopo decenni. E dai documenti è riemerso il passato. Le istruttorie finalmente riaperte mettono nero su bianco vecchie colpe e responsabilità. E consentono, con un ritardo di ben 58 anni e con una perdita irrecuperabile di dati e di testimonianze dirette, di chiedere conto di efferatezze e atrocità mai dimenticate. Quelle compiute dagli ufficiali delle divisioni naziste oggi, nel caso in cui siano ancora vivi, per lo più pensionati ottantenni dediti al giardinaggio che nell'estate 1944 attraversarono con le loro compagnie la Toscana, durante la "ritirata aggressiva" verso il nord Italia. Alcuni degli ufficiali superstiti della strage di Sant'Anna di Stazzema oggi hanno finalmente un nome. E anche per Marzabotto l'inchiesta è stata riaperta. Ma, insieme alle due stragi maggiori, la procura militare di La Spezia, responsabile dei procedimenti per tutti gli eccidi, sta indagando sugli altri episodi - ne sono stati contati 269, di cui 240 nella sola estate del 1944 - E sono attivamente al lavoro anche gli uffici della procura tedesca di Ludwigsburg. Di entrambe le procure è consulente uno storico italiano quarantaduenne, Carlo Gentile, che vive da più di vent'anni in Germania: "Non meno di 2000 persone - dice - il 20% circa della cifra complessiva delle vittime delle stragi naziste sono state assassinate in un periodo brevissimo di tempo, tra la fine di luglio e la fine di settembre 1944, ed in aree relativamente ristrette: una parte della provincia di Pisa, la Versilia, le Alpi Apuane e la Lunigiana da un lato, l'area dell'Appennino dominata dal Monte Sole fino alla periferia di Bologna dall'altro».

C'è un motivo per una simile concentrazione di massacri?

"A legare le varie stragi c'è un filo conduttore: l'unità che li ha perpetrati. In questa zona operò infatti la 16a Divisione "Reichsfhrer SS" (Panzergrenadier), che si distingueva per la sua spiccata crudeltà. Ai posti di comando c'erano SS provenienti da campi di concentramento, ufficiali che si erano macchiati dei peggiori crimini di guerra sul fronte orientale, compiendo stragi di ebrei oppure di partigiani della Bielorussia o dei Balcani. Una divisione "maledetta" di circa 16.000 unità, per lo più ragazzi di 17- 18 anni costretti a entrare nelle SS, che nei primi giorni di luglio, vengono gettati nel calderone dei combattimenti nell'area di Cecina, Rosignano e infine Livorno. Intorno al 20 luglio la divisione raggiunge Pisa e la linea dell'Arno, attestandosi sulla riva settentrionale. Ed è a questo punto che vengono consumate, da parte dei vari battaglioni tra cui quello famigerato di Walter Reder (che però è estraneo alla strage di Sant'Anna), le peggiori violenze contro la popolazione civile".

Un lungo elenco.

"Recano tra l'altro la firma della 16a divisione la strage nella casa di Giuseppe Pardo Roques, presidente della Comunità ebraica di Pisa, che costò la vita a dodici persone, rapinate e massacrate da una pattuglia di SS su probabile delazione fascista. Il 2 agosto 23 civili vengono uccisi a San Biagio al Tondo. Il 7 agosto in un rastrellamento del Monte Pisano sono arrestate poco meno di 200 persone, 69 delle quali nei giorni seguenti saranno assassinate a piccoli gruppi in varie località nei pressi del Lago di Massaciuccoli. È del 12 agosto la strage di maggiori dimensioni, il massacro di centinaia di civili a Sant'Anna di Stazzema. Seguono due eccidi in Versilia a metà mese (Migliarino e Nodica). Il 19, in una rappresaglia, sono massacrati a Bardine di San Terenzio 53 civili rastrellati in Versilia, 107 persone sono assassinate a Valla, nel corso della stessa azione, totalizzando 160 uccisi per vendicare i 16 militi SS, vittime di un agguato partigiano avvenuto in quel luogo due giorni prima. Il 24 e 25 agosto un'operazione di rastrellamento investe la valle del Lucido: Vinca e numerosi altri villaggi sono distrutti, la strage fa quasi 200 vittime civili. Tra fine agosto e primi di settembre altri eccidi colpiscono nuovamente la Versilia e il Monte Pisano: Filettole, Ripafratta, Massaciuccoli, Compignano e Massarosa; il 2, poi i dintorni di Nocchi e Camaiore. Il 10 settembre sono fucilate in varie località nei pressi di Massa 74 persone, una parte delle quali rastrellata sul Monte Pisano e in Versilia. Il 16 settembre circa 150 detenuti del carcere di Massa sono fucilati a San Leonardo al Frigido. Lo stesso giorno per rappresaglia a Bergiola Foscalina sono uccise 72 persone".

Un altro settore di grosse stragi è l'aretino. Qui chi operava?

"Le stragi nell'aretino a partire da Vallucciole (Stia), 108 morti, a cui fanno seguito tra le altre Civitella della Chiana, San Pancrazio, Cavriglia, Bucine, sono addebitabili ai reparti della divisione "Goering" (non SS ma aeronautica) che aveva delle analogie con la 16a. Anche qui reclute giovanissime (classe 1925) e ufficiali che avevano alle spalle esperienze estreme. Un ufficiale era per esempio Heinz Barz, individuato come responsabile della strage di Civitella, ma nel frattempo deceduto. Membro della polizia e guardia del corpo di Goering aveva ripulito la polizia berlinese dai "rossi" prima di recarsi sul fronte orientale per azioni di pulizia etnica".
Le indagini riusciranno ad arrivare ad altri responsabili?

"Un paio di dozzine di persone sono ancora in circolazione. Ma bisogna vagliarne posizione e responsabilità. Un lavoro non semplice a 58 anni di distanza dai fatti".

la Repubblica - 14 aprile 2002


Il presidente tedesco in Italia - Ma il passato non si cancella

di Battistini e Meletti

Un tedesco, il presidente della Repubblica federale tedesca è venuto a Marzabotto dove si concluse la "marcia della morte" di Walter Reder, ufficiale delle SS, comandante del sedicesimo battaglione della divisione corazzata Reichsfuhrer, un austriaco come Hitler. Aveva perso una mano in Polonia, nascondeva il moncherino sotto un guanto nero. Joharmes Rau, un tedesco, il presidente della Repubblica federale tedesca, è venuto a Marzabotto per esprimere agli italiani ma anche ai suoi concittadini il suo "profondo senso di dolore e di vergogna". ROMA - È iniziata con una importante dichiarazione comune sul futuro dell'Unione europea la visita del presidente tedesco Johannes Rau in Italia. Assieme a Carlo Azeglio Ciampi, Rau ha tenuto in Campidoglio, nella sala in cui fu firmato il Trattato di Roma, un discorso in cui i due capi di Stato delineano le loro idee per l'evoluzione dell'Unione. Rau e Ciampi formulano auguri di buon lavoro alla Convenzione presieduta da Giscard d'Estaing: con essa, affermano, l'Ue fa "un passo importante" verso la definizione di quella Costituzione Europea che proprio Rau e Ciampi hanno lanciato per primi. Questa Costituzione "dovrebbe prevedere una Federazione di Stati nazione e dovrebbe altresì confermare l'irreversibilità del processo di integrazione". Inoltre i due presidenti incoraggiano a realizzare con decisione e senza rinvii l'allargamento, concludendo entro l'anno le trattative con i paesi dell'Europa orientale, Cipro e Malta, paesi con i quali i negoziati sono più avanzati. L'auspicio italo-tedesco è duplice: "Che i nuovi Stati possano aderire all'Ue prima delle elezioni europee del 2004; che per quella data sia già disponibile un nuovo Trattato europeo". Ma una tappa decisiva nella visita italiana di Rau sarà la tappa di oggi a Marzabotto, il comune vittima del nazismo in cui i soldati tedeschi in ritirata alla fine della Seconda guerra mondiale si resero responsabili del massacro indiscriminato di decine di civili, fra cui donne, vecchie e bambini. Ieri il sindaco Andrea De Maria ha ricordato i 216 bambini, le 316 donne e i 172 ultrasettantenni sterminati dai nazisti assieme ai partigiani della Brigata Stella Rossa. Per il sindaco di Marzabotto il presidente Rau è "l'erede politico della tradizione democratica che è sempre stata presente nella storia della Germania".

la Repubblica - 17 aprile 2002


Il tormento dei sopravvissuti "Come è difficile perdonare"

Fra i parenti delle vittime: forse questa ammissione arriva troppo tardi - Riccardo Marchioni: era ora, per troppi anni i nostri parenti sono stati chiamati "banditi Franco Lanzarini: quei vecchi che ho visto in tv sono ancora delle Ss e devono pagare

di Jenner Meletti

MARZABOTTO - Il più commosso è Riccardo Marchioni, fratello di don Ubaldo che era parroco proprio qui a San Martino, nella chiesa che è stata portata via dalle bombe e dal tempo. I presidenti della Repubblica italiano e tedesco gli danno la mano, e Ciampi gli dice: "Coraggio, abbiamo la stessa età". Lui riesce a dire appena: "Grazie", e quando i presidenti già stringono altre mani riesce a raccontare. "Era ora che arrivassero, e dicessero parole chiare. Per troppi anni mio fratello e gli altri sono stati chiamati "banditi". Per i tedeschi tutti erano banditi, anche le donne e i bambini, anche i preti come mio fratello. Il presidente tedesco ha detto che prova dolore e vergogna: almeno quell'offesa è cancellata". Stanno tutti in prima fila, i trenta superstiti, schiacciati dagli anni e soprattutto dai ricordi. "In questo prato una volta c'erano tre case, la canonica e una villa padronale. Per troppi anni non abbiamo trovato nemmeno il coraggio di passare da queste parti". Franco Lanzarini era sfollato proprio nella villa. "Ci portarono in cortile e dissero: dobbiamo fucilarvi. Io dissi. "Mamma chinati, così moriamo assieme". Avevo nove anni. Ricordo che avevo paura ma guardavo con passione un sidecar tedesco. Non ne avevo mai visti. Noi, chissà perché, siamo stati risparmiati. Ma altri quarantasette fra donne, bambini e vecchi che erano qui furono ammazzati nel fienile e bruciati".  Sono tutti a chiedere, ai superstiti che aspettano i presidenti, se le scuse sono accettate e se può esserci il perdono. "Quei vecchi che ho visto in televisione - dice Lanzarini - non possono essere perdonati. Sono ancora delle SS e debbono pagare. Il gesto del presidente Rau è invece importante. Se viene qui, significa che anche in Germania è arrivato finalmente il tempo di fare i conti con il passato"."Ho visto anch'io - dice Fernando Piretti, che rimase due giorni nell'oratorio di Cerpiano fra i morti, e si salvò assieme a una bambina e a una suora - quei vecchi nazisti intervistati in televisione. Sembravano cacciatori che raccontavano le loro imprese. "Ho visto una lepre e ho sparato. Se ne passa un'al-tra, sparo ancora" . Quelli che li hanno ammazzato mia madre e tutti i miei amici, che non avevano ancora die-ci anni, io non li posso certo perdo-nare". Il cielo a tratti è scuro e butta pioggia, come in quell'autunno del '44. Francesco Grani, che allora aveva 16 anni, a Steccola di San Martino ha perso la madre, il fratello e la sorella. "I nazisti mi hanno anche bruciato la casa e dopo la guerra ho dovuto vendere tutto per due lire. Voglio raccontare questo per fare capire il mio stato d'animo. Ecco sedevo essere sincero, anche oggi non mi sento accettare le scuse di un presidente che rappresenta chi ha massacrato la mia famiglia. Forse è arrivato troppo tardi. E poi per 58 anni nessuno ha dato una mano a me e agli altri! che nelle stragi abbiamo perso tutto". Si ascolta il presidente Rau, in quella lingua che su queste colline mette ancora i brividi. L'interprete traduce e quando c'è la condanna delle "iene con la divisa nera" le vecchie mani si alzano nell'applauso. "Le ho viste bene, quelle divise", dice Francesco Pirini, 76anni. "Arrivarono a Cerpiano in fila indiana, io ero nascosto in un fosso. Buttarono le bombe nell'oratorio pieno di bambini. Quando nel gennaio 1985 ci fu il referendum per il perdono a Walter Reder io dissi no, perché quella belva doveva morire in galera. Adesso sono cambiato. Accetto le scuse e perdono anche quei vecchi alla Tv tedesca: hanno detto che loro hanno fatto solo la guerra e hanno eseguito gli ordini. Qualcuno deve cominciare, con questo perdono. Altrimenti l'odio si accumula e arrivano altre stragi, come in questi giorni in Palestina". Accanto a lui, Emore Bianchi, 78 anni, la coccarda dei  superstiti ben in vista, dice sì con la testa, che è d'accordo. "Però è dura, lo sa, molto dura. Bisognerà riuscire a dimenticare troppe porcherie e non è certo facile". In una lapide sono ricordate le parole di Hitler. "Dobbiamo essere crudeli, dobbiamo esserlo con tranquilla coscienza". La prova è nel vicino cimitero, dove le croci di ferro messeti terra furono trapassate dalle pallottole che uccidevano i bambini. Alcuni sopravvissuti non si vedono da troppi anni e si sono  abbracci e commozione: "In quel settembre dice Enrico Beccari, 67 anni - noi bambini traversammo un torrente in piena, di notte, e le donne ci legarono con una fune per non perderci.Un paralitico restò sulla riva, fu trovato morto dopo la guerra. Ma anch'io adesso perdono, perché ho una speranza: che il mondo vada meglio, e nessuno debba più soffrire come noi.

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"Marzabotto, dolore e vergogna"

L'emozione del capo dello stato tedesco che chiede perdono per la strage: "Quegli assassini con le divise nere come le iene" - Cerimonia con Rau e Ciampi sul luogo dell'eccidio - "Mi inchino davanti alle vittime dei nazisti" Il presidente italiano: Europa risposta di pace

di Giorgio Battistini

MARZABOTTO - "Mi inchino davanti ai morti". Johannes Rau, presidente della repubblica federale tedesca, è arrivato fin quassù tra le colline umide e verdissime dell'appennino bolognese per chiedere perdono. Per la prima volta perdono a nome della Germania, e direttamente sul luogo del più tremendo eccidio nazista. Una lama di sole a tramonto accende appena profili gravi dei due presidenti che celebrano questo storico rito del perdono e della memoria. Ciampi e Rau, affiancati su una piccola pedana, nella cornice di colline dolci e insanguinate dalla follia nazista oltre mezzo secolo fa. Davanti a loro una ventina di superstiti carichi d'anni, il passo debole, alcuni inchiodati sulla sedia. "Provo un profondo senso di dolore e vergogna", confessa il presidente venuto da Berlino ricordando come "Cinquantotto anni fa dei tedeschi hanno portato violenza e immenso dolore a Marzabotto". Oggi e "quasi impossibile immaginare quello che accadde in quel freddo e cupo 29 settembre del 1944" quando "arrivarono gli assassini che indossavano l'uniforme nera, come le iene, per cancellare ogni traccia di vita umana". Ciampi ascolta in silenzio. Presente eppure defilato. Quasi volesse lasciare microfono e prima fila al protagonista diretto del "gran gesto", la storica richiesta di perdono. Tanti anni dopo. Sono arrivati insieme, sulla stessa berlina. Hanno deposto insieme un'unica corona, con le bandiere italiana e tedesca, nel sacrario dei caduti. Sono rimasti in raccoglimento, da soli, lunghi minuti dentro quella cripta. Parla prima Ciampi ricordandogli "atti di crudeltà disumana, frutto di una folle ideologia luciferina". "Mai più", dice, "odio, sangue tra i popoli d'Europa". "Non era facile sperare che dopo la guerra fosse possibile trovare tutta questa forza di riconciliazione e ricostruzione comune. Oggi sembra di vivere in un altro mondo, tutto un altro mondo", dirà poi. L'Unione europea si fonda "non sul tempo che affievolisce il ricordo ma sulla memoria che deve dare anima alle istituzioni". Ecco il senso vero del "mio sistematico pellegrinaggio nella memoria", da Cefalonia a Marzabotto. Toccano a Rau le parole più dolorose. "La colpa personale ricade solamente su chi ha commesso quei crimini. Le conseguenze di una tale colpa devono affrontarle le generazioni successive". Ed è la ragione che ha portato qui il presidente tedesco, poco prima di concludere la sua visita di Stato in Italia. lI gran silenzio nel quale calano le sue parole è interrotto da tre applausi e dalle grida d'una donna ("vergogna, vergogna"), subito allontanata. "Un orrore così è difficile da esprimere a parole" dice ancora Rau, dando atto ai superstiti d'aver "conservato e tenuto vivo il ricordo delle vittime del massacro" non per odio o vendetta ma per "amore del futuro, del nostro futuro comune". Poi l'avvertimento ai giovani: "ogni generazione deve acuire di nuovo e ininterrottamente lo sguardo per individuare ideologie criminose, piene di disprezzo per la vita umana prima che possano conquistare il potere sugli uomini". E quel che accadde qui 58 fa "è parte della nostra storia comune e ci dà mandato per un futuro comune di pace". Gran gesto quello di Rau, assicura Ciampi, "cemento delle fondamenta della futura Europa". Su queste colline ("simbolo del martirio della nostra patria") "venne lasciata mano libera ai criminali per delitti che tutti vogliamo ancora puniti dalla giustizia". Si riferisce ai 2900 fascicoli piombati quarant'anni fa negli "armadi della vergogna" e ritrovati nel '94. Sono inchieste sui crimini di guerra insabbiate e congelate per non dispiacere troppo agli alleati Nato.

La Repubblica - 18 aprile 2002


Il Canada cattura Seifert il boia del lager di Bolzano

Ha 78 anni e vive a Vancouver dal 1951. Riconosciuto colpevole di torture e omicidi, la giustizia italiana ne ha chiesto l'estradizione - Criminale nazista condannato all'ergastolo in Italia

di Paola Bernardini

VANCOUVER - Dopo mezzo secolo è stato arrestato il caporale delle SS Michael Seifert, detto Micha, condannato all'ergastolo dal tribunale militare di Verona per stupro, torture e omicidi di ebrei, partigiani e prigionieri rinchiusi nel campo di concentramento di Bolzano. Seifert è stato fermato da quattro agenti delle Giubbe Rosse mentre con la moglie Christine usciva da una chiesa nella zona est di Vancouver. Il Canada, dove il "boia di Bolzano" era emigrato nel 1951 nascondendo il suo passato di feroce camicia nera fedele alla Germania hitleriana, ha accolto la richiesta di estradizione avanzata dall'Italia e ha proceduto con l'arresto. Oggi comparirà davanti la Corte Suprema della British Columbia: il giudice Linda Loo dovrà decidere sulla libertà provvisoria su cauzione. "L'arresto è un primo passo verso l'estradizione. Serve ad assicurare alla giustizia la disponibilità fisica della persona", ha commentato il procuratore di Verona Bartolomeo Costantini, la cui inchiesta permise alla fine degli anni Novanta di rintracciare Seifert in Canada. "Una volta confermato il provvedimento giudiziario spetterà al governo canadese concedere l'estradizione". L'avvocato del ministero della Giustizia di Ottawa, Roger McMeans, nell'udienza che si è tenuta subito dopo l'arresto, ha chiesto la detenzione di Seifert fin quando il caso sarà deciso appellandosi al "pericolo di fuga". Per il difensore, Doug Christie, l'ex caporale SS deve essere rimesso subito in libertà. "E' un 78enne in precarie condizioni di salute che necessita di cure per il cuore, tanto che si sta valutando la possibilità di un intervento chirurgico per applicargli un pace-maker. La sua reclusione sarebbe un abuso e un grossolano esempio di cattiva amministrazione della giustizia", ha detto. Seifert ha vissuto fino ad oggi da pensionato al 5471 Commercial Street di Vancouver . Nessuno sapeva del suo passato macchiato di sevizie e torture in quei campi di concentramento di Bolzano, tra il 1944 e il 1945. Con la moglie Christine e il figlio John, Micha era solito seguire le funzioni e le attività religiose nella Holy Family German Parish, dove mercoledì è stato arrestato. Ma ora Seifert non può più nascondersi. Nel novembre del 2000 la procura militare di Verona l'ha condannato in contumacia all'ergastolo ritenendolo colpevole di nove dei quindici capi di imputazione di cui era accusato, tra i quali figuravano la morte di 18 prigionieri nel lager di Bolzano. E il giudice gli impose anche il pagamento di 100 milioni di lire all'Associazione Partigiani d'Italia e all'Associazione Deportati che si erano costituiti parte civile. Come si legge nella sentenza, Seifert "torturò, violentò e uccise con crudeltà e premeditazione". Nella motivazione della condanna a vita spiccano anche le violenze a una quindicina di uomini che si erano dichiarati antifascisti, intellettuali, omosessuali e a donne di ricercati. A Bolzano passarono undicimila persone tra ebrei, famiglia di soldati disertori, partigiani, deportati politici. Molti vennero trasferiti nei campi di sterminio di Auschwitz e Mathausen. Il Canada ha già avviato l'iter per la richiesta di estradizione avanzata dall'Italia: Ottawa ha tolto la cittadinanza a Seifert dopo aver verificato che quando emigrò dalla Germania il 14 agosto del 1951, nascose il suo passato da nazista. Già a quei tempi le leggi canadesi proibivano l'ingresso ad ex membri delle SS, a criminali, e Micha mentì. Per ottenere la cittadinanza fornì infatti false generalità dichiarando di essere nato a Narwa, in Estonia anziché in Ucraina. In seguito a controlli e documenti rintracciati in archivi tedeschi il governo di Ottawa, nel novembre del 2001, ha avviato la pratica per l'espulsione. E ora Micha deve pagare il suo vecchio conto con quei fantasmi della Seconda Guerra mondiale.

MICHA
Condannato all'ergastolo dal tribunale di Verona per stupri, omicidi e torture commessi nel lager di Bolzano tra il 1943 e il 1945. Ottawa gli ha già tolto la cittadinanza. Il suo avvocato ha chiesto la libertà provvisoria su cauzione.

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I CRIMINALI NAZISTI

ADOLF EICHMANN

Venne catturato nel 1960 dai servizi segreti israeliani in Argentina. Trasferito segretamente in Israele fu processato e impiccato nel 1962

HERBERT KAPPLER

Condannato all'ergastolo in Italia per la strage delle Fosse Ardeatine. Evase dal carcere del Celio nel 1977, morì nell'anno dopo in Germania

ERICH PRIEBKE

Individuato nel '97 in Argentina, viene estradato in Italia e condannato all'ergastolo per le Fosse Ardeatine nel 1998

ALBERT MEIER

E' uno dei quattro sottoufficiali delle SS che presero parte alla strage di Marzabotto individuati in Germania all'inizio di Aprile

la Repubblica - 3 maggio 2002


Il "boia di Genova" alla sbarra in Germania

Aperto il processo all'ex Ss Engel per la strage del Turchino

di Andrea Tarquini

BERLINO - Cinquantasette anni dopo la disfatta hitleriana, la Germania Processa il "boia di Genova". È il primo processo a un criminale nazista che sì tiene grazie alla denuncia di un'inchiesta della televisione, quella tedesca. Friedrich Engel, ex ufficiale delle Ss oggi 93enne, è da ieri alla sbarra ad Amburgo per crimini di guerra. È imputato della strage del Turchino: 59 civili italiani furono assassinati come rappresaglia per un attentato dei partigiani contro soldati tedeschi. Da decenni viveva indisturbato nella metropoli anseatica, finché gli investigative reporters della Ard, guidati da René Altermann, non lo hanno scovato l'anno scorso ad Amburgo. "Non sono stato io a ordinare le esecuzioni", si è difeso Engel rispondendo alle domande del procuratore Kuhlmann. "Mi oppongo, contesto questa incriminazione", ha aggiunto. Ma fu lei a scegliere prigionieri destinati all'esecuzione?, ha insistito il magistrato. E l'ex maggiore Engel ha dovuto ammettere: "Si, fui io a sceglierli, uno a uno". Accadde il 19 maggio 1944. L'ordine di Hitler fu durissimo, non scritto. Le forze occupanti tedesche avrebbero dovuto compiere una rappresaglia per la morte di sei soldati della Reichskriegsmarine, uccisi al cinema da una bomba posta dai partigiani. I prigionieri scelti da Engel, incatenati, furono portati nella zona del Turchino, alle porte di Genova. Furono fucilati a gruppi di sei. "Morirono da eroi, senza un lamento", ricordò poi il maggiore. Che ieri però ha respinto molte delle accuse. "Sul luogo delle esecuzioni fui solo un osservatore", ha detto. Ha riconosciuto un solo errore, quando il giudice gli ha chiesto perché i civili assassinati furono 59 e non 60: "Forse ci sbagliammo, ne portammo sul luogo dell'esecuzione uno in meno". Dopo la guerra, Engel riuscì a rifarsi una vita tranquilla in Germania. Un'inchiesta a suo carico nel 1969 fu archiviata per insufficienza di prove. Nel 1999 un tribunale militare italiano a Torino lo condannò in contumacia all'ergastolo per un'altra strage, in cui furono massacrati 246 ostaggi. L'anno scorso, lo scoop della Ard ha costretto la magistratura tedesca a riaprire il caso.

la Repubblica - 8 maggio 2002


Rilasciato dai giudici canadesi Seifert, il "boia di Bolzano"

"Prove inquinate dai pregiudizi": l'estradizione in Italia sarà difficile

ROMA - Michael Seifert, il "boia di Bolzano", è stato rimesso in libertà senza neppure il pagamento della cauzione da un tribunale canadese, nonostante la condanna all'ergastolo da parte di una corte italiana per i crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale. Il giudice della Corte d'Appello della British Columbia, John Lambert, ha stabilito che, nonostante la gratuità e violenza dei reati per i quali Seifert è stato condannato, questi risalgono a 57 anni fa. «Da quando è entrato in Canada, nel 1951 - ha sottolineato il giudice Lambert - è sempre andato in chiesa e nel quartiere in cui ha abitato si è fatto una reputazione di brava persona». Il suo rilascio mina le basi del procedimento per l'estradizione in Italia. La Corte d'Appello ha di fatto accolto le motivazioni dell'avvocato, secondo il quale i giudici italiani hanno usato prove che nessun tribunale canadese riterrebbe valide perché «inquinate da pregiudizi». Un esempio per tutti: tra le 11 foto usate a Verona per il riconoscimento, quelle di Seifert erano più grandi di quelle degli altri nazisti.

la Repubblica - 26 maggio 2002


Una verità sepolta per 50 anni dentro gli armadi

"Il Parlamento faccia luce sulle stragi naziste"

di Simona Poli

Per cinquant'anni sono rimasti chiusi negli armadi. I nomi dei gerarchi nazisti che durante l'occupazione ordinarono stragi di civili, massacri di interi paesi, che materialmente parteciparono a omicidi, stupri, violenze, torture. Per cinquant'anni le voci dei testimoni costretti ad assistere impotenti a quei crimini, di quelli che riuscirono a salvare la vita, dei padri e dei fratelli degli uccisi sono state sigillate dentro le pagine dei fascicoli ritrovati per caso in un archivio della procura generale di Roma. Un armadio, appunto, che aveva le ante rivolte verso il muro. Dentro c'erano i rapporti buttati giù in fretta dagli alleati anglo-americani durante i giorni della liberazione. Nomi, fatti, racconti, numero delle vittime, posti in cui cercare allora i cadaveri, oggi le loro ossa disperse. Fino al'94 anche le stragi toscane erano sepolte vive, non solo quelle di cui si sa, si ricorda, si studia sui libri di scuola. Anche quelle senza storia, senza memoria, senza colpevoli neppure presunti. Per questo ieri il presidente del consiglio regionale Riccardo Nencini e il vicepresidente Enrico Cecchetti hanno voluto incontrare gli ottantadue sindaci di paesi colpiti da 281 stragi naziste tra il '43 e il '45 e i parlamentari toscani, tra cui i ds Valdo Spini, Vittoria Franco e Carlo Carli, a pochi giorni dalla discussione alla Camera (fissata il 17 giugno) sull'istituzione della commissione d'inchiesta che faccia luce sulle cause di un, silenzio durato cinquant'anni. "Il nostro obiettivo è quello di sollecitare non solo un'indagine sulle ragioni dell'insabbiamento degli armadi della vergogna ma anche di spingere perché venga potenziata la procura militare di La Spezia, che ha competenza anche sui crimini compiuti in Toscana, che sta indagando su Sant'Anna di Stazzema", spiega Cecchetti. "E' importante anche creare un coordinamento tra la Toscana e le altre regioni e lavorare insieme all'Istituto storico della Resistenza per la raccolta dei documenti". Carli ha proposto di inviare a Roma una delegazione di istituzioni toscane per parlare con tutti i gruppi.

la Repubblica - 4 giugno 2002


Sulle stragi incontro con la Procura

I crimini nazifascisti

PROSEGUE la mobilitazione in Toscana per far piena luce sui crimini nazifascisti. «Abbiamo un appuntamento importante e ravvicinato - dice Enrico Cecchetti, vicepresidente del Consiglio regionale e coordinatore del gruppo di lavoro di cui fanno parte anche quattro sindaci in rappresentanza degli 82 Comuni interessati a quelle tragiche vicende - a giorni incontreremo la Procura militare di La Spezia che indaga sulla strage di Sant'Anna di Stazzema e su altre decine di efferati episodi avvenuti in Toscana. Porteremo la testimonianza del forte interesse della Toscana al raggiungimento della verità ed inoltre garantiremo il sostegno e la collaborazione della Regione affinché la Procura sia dotata dei mezzi necessari a portare a compimento le istruttorie». L'impegna della Toscana è stato supportato anche da un ordine del giorno approvato dalla Conferenza dei Presidenti di tutti i Consigli regionali italiani.
la Repubblica - 26 giugno 2002


Nazismo, condannato Engel il boia di Genova
Sette anni di reclusione all'ex capo delle SS a Genova per il massacro del Passo del Turchino: morirono 59 civili
Oggi ha 93 anni: per più di 50 ha vissuto indisturbato in Germania

AMBURGO - Friedrich Engel è colpevole. L'ex capo delle SS a Genova, accusato della strage di 59 civili italiani al Passo del Turchino nel maggio 1944 e conosciuto come il "boia di Genova" è stato condannato oggi dal tribunale di Amburgo a sette anni di reclusione. Engel, che ha 93 anni, con tutta probabilità finirà dunque i suoi giorni in prigionia, dopo aver vissuto per più di 50 anni indisturbato in Germania: solo lo scorso anno, quando la televisione tedesca Ard lo aveva ritrovato, la giustizia del suo paese si era messa in moto. Nella sua arringa il pubblico ministero Joschen Kuhlmann aveva chiesto l'ergastolo per Engel: aveva accusato l'ex comandante delle SS di aver dato l'ordine di massacrare 60 civili italiani come rappresaglia (col rapporto di uno a dieci) a un attentato compiuto dai partigiani in un cinema di Genova nel quale sei soldati della Marina tedesca morirono e altri 15 furono feriti. A essere fucilati furono 59 civili, prelevati dal carcere genovese di Marassi dove erano detenuti: un uomo si salvò probabilmente per un errore compiuto dalle SS al momento del rastrellamento. Engel non ha negato di aver partecipato al massacro, ma in aula ha voluto ridimensionare le proprie responsabilità, sostenendo di non avere avuto altra scelta se non quella di eseguire gli ordini. L'ex SS secondo il suo difensore si sarebbe limitato a preparare la lista dei civili da fucilare, e al Turchino sarebbe stato un semplice osservatore. Per tutta la durata del dibattimento ha comunque mantenuto un atteggiamento sprezzante e distaccato. Friedrich Engel è stato condannato all'ergastolo in Italia nel 1999 per le stragi della Benedicta, di Portofino, del Turchino e di Cravasco, le peggiori perpetrate dai nazisti in territorio ligure: in tutto morirono 246 persone. Engel è stato inoltre l'autore e il mandante di una serie di rastrellamenti di civili nella zona: moltissimi furono deportati nei campi di sterminio, mentre le loro case e i loro campi venivano distrutti. La sua condanna però non aveva avuto nessun effetto: la legge tedesca infatti non prevede l'estradizione di cittadini tedeschi condannati all'estero. L'identificazione di Engel, e il successivo processo in Italia, sono state possibili grazie alla scoperta nel 1994, durante le indagini su Erich Priebke e il massacro delle Fosse Ardeatine, nei sotterranei della Procura militare di Roma del cosiddetto "armadio della vergogna": nel mobile erano conservati migliaia di incartamenti sulle stragi nazi-fasciste in Italia. Tutti erano stati archiviati nel 1960 con la dicitura "archiviazione provvisoria" .

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"Un criminale di guerra che non hai mai fatto autocritica"
Lo storico Franzinelli spiega le responsabilità di Engel. E la lezione che da questa sentenza si può trarre per il futuro
di Francesca Caferri

ROMA - Il filo rosso che porta alla condanna di Friedrich Engel parte da un polveroso sotterraneo di Palazzo Cesi, sede della Procura militare di Roma. E lì, in un armadio chiuso, con le ante rivolte verso il muro, protetto da una cancellata anch'essa chiusa, che per 34 anni sono stati sepolti migliaia di documenti e di testimonianze sulle stragi nazi-fasciste in Italia. Ed è da quell'armadio, scovato dai magistrati che indagavano su Erich Priebke e sulla strage delle Fosse Ardeatine, che sono emerse carte decisive per la condanna del "boia di Genova". A quell'armadio lo storico Mimmo Franzinelli ha dedicato un libro: "Le stragi nascoste" ricostruisce la vicenda degli eccidi e della loro memoria dal 1943 al 2001. Per questo lavoro Franzinelli è oggi considerato uno degli storici italiani più autorevoli del periodo della fine della Seconda guerra mondiale.

Franzinelli, che senso ha oggi condannare un vecchio di 93 anni per fatti accaduti quasi 60 anni fa?

"Vorrei dire subito che durante questo processo ci siamo trovati di fronte a una persona che, nonostante l'età, è lucidissima, nel pieno possesso delle facoltà mentali. Una persona che dapprima ha negato ogni responsabilità nei fatti che gli erano contestati, poi, quando ha capito che le prove lo inchiodavano, ha ammesso di aver avuto un ruolo, cercando però di minimizzarlo. Un criminale di guerra che non ha mai fatto autocritica, e ha anzi difeso la giustezza morale e giuridica degli avvenimenti di cui è stato protagonista. Non punirlo oggi, significava ammettere che l'aveva fatta franca: questo non è ammissibile, anche a rischio di esporsi ad accuse di accanimento".

Engel si è difeso affermando che non poteva disubbidire agli ordini: questa giustificazione può essere considerata valida?

"No. Ci sono documenti tedeschi che propongono Engel per un'onorificenza militare per come aveva gestito l'operazione del Turchino e che gli riconoscono dunque un ruolo di primo piano. Il fatto di aver compilato le liste dei condannati da fucilare non va inoltre inteso, come vorrebbe far credere Engel, come un compito secondario. È piuttosto un riconoscimento. Quella delle liste era una questione delicata, che veniva affidata solo a chi conosceva e controllava il territorio e i prigionieri politici. Engel, da capo della polizia politica tedesca nella zona, fu scelto per questo ruolo".

Avrebbe potuto in qualche modo sottrarsi?

"Nella prima fase della sua difesa, quando negava la sua partecipazione all'eccidio, Engel disse. 'Ritenevo la rappresaglia sbagliata, per questo me ne sono tenuto fuori'. Oggi noi sappiamo che non se tenne fuori: quella sua frase allora, suona come il segno che se avesse davvero voluto avrebbe potuto ritirarsi".

Che significato può avere questa sentenza per il futuro?

"Io vorrei che fosse accolta in Italia come stimolo e come fattore di autocritica. Vorrei che offrisse lo spunto per indagare sui crimini commessi da ufficiali italiani all'estero nel periodo della guerra, su cui esiste un'ampia documentazione. Vorrei che noi italiani non ci vedessimo solo come vittime di crimini di guerra, ma anche come responsabili, e che facessimo i conti con questa parte della nostra storia".

la Repubblica - 5 luglio 2002


Amburgo: l'ex ufficiale SS Friedrich Engel, 93 anni, condannato per strage. Non andrà in cella

Fece fucilare 59 prigionieri sette anni al "boia di Genova" - Da nazista ordinò l'eccidio del Turchino nel maggio 1944 L'accusa aveva chiesto l'ergastolo "Sono innocente"

di Vanna Vannuccini

AMBURGO - Sette anni di prigione a Friedrich Engel, il "boia di Genova", già condannato due anni fa in contumacia in Italia dal Tribunale militare di Torino per gli eccidi della Benedicta, di Portofino, di Cravasco e del passo del Turchino. Ma l'ex ufficiale nazista, che oggi ha 93 anni, molto probabilmente non sconterà la pena in carcere, proprio per l'età avanzata. Engel doveva rispondere dell'esecuzione di 59 persone, da lui prelevate dal carcere genovese di Marassi e giustiziate per rappresaglia sul Passo del Turchino nel maggio del '44. L'esecuzione era stata particolarmente crudele. I condannati furono costretti a passare, legati a gruppi di sei, su delle passerelle gettate su una fossa comune che avevano dovuto scavare la sera prima e scavalcare il cumulo di cadaveri di chi li aveva preceduti."Davanti a un tribunale è come essere davanti a Dio", ha commentato Engel pochi minuti prima della sentenza. "Voglio l'assoluzione e, comunque, chiedo una sentenza senza pregiudizi. Non posso pentirmi di una cosa di cui non sono responsabile. Non ho avuto modo di intervenire. Anche se in tutti questi anni. ho pensato alle 59 vittime. Sono rimasto molto commosso da quello che era successo". Engel ha sempre respinto ogni addebito. Ha sostenuto che l'ordine dell'esecuzione era giunto direttamente da Berlino, da Hitler in persona, ed era stato impartito dal comando della marina tedesca, Marinai erano infatti i sei soldati uccisi da una bomba che i partigiani avevano fatto esplodere nel cinema Odeon di Genova. "Mia era stata solo la responsabilità di compilare l'elenco delle persone da fucilare", aveva detto, sostenendo in un primo momento di non aver neppure "visto" l'esecuzione, poi si era corretto, affermando che la fucilazione era stata condotta "in modo umano". Ma è stato smentito da testimoni oculari. Un medico di Darmstadt, all'epoca guardiamarina a Genova, ha raccontato ai giudici che non solo Engel aveva diretto l'esecuzione ma si era reso personalmente responsabile di dare il colpo di grazia a uno dei condannati sopravvissuto al primo colpo. Se si fosse trattato di "esecuzione umana", Engel non avrebbe potuto essere condan-nato. L'omicidio semplice sareb-be già passato in prescrizione. Quello aggravato invece non vie-ne prescritto. E la rappresaglia era considerata legge di guerra. Su questo aveva puntato la difesa, chiedendo l'assoluzione, mentre la pubblica accusa aveva chiesto l'ergastolo. I giudici di Amburgo hanno scelto una terza via, condannando l'ex SS a sette anni.

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LE TAPPE

MAGGIO '44

Vengono fucilati 59 civili al Turchino: è la rappresaglia per i 5 soldati tedeschi uccisi dai partigiani in un cinema di Genova

1999

Il Tribunale di Torino condanna Engel all'ergastolo per le 246 vittime di quattro eccidi, tra questi c'è quello del Turchino

2001

I giornalisti dell'emittente televisiva tedesca "Ard" scoprono Engel nella vasa di Amburgo dove aveva vissuto per oltre cinquant'anni

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"È una pena offensiva"

Ennio Odino, 78 anni: "Non ce l'ho con Engel ma con chi lo ha coperto"

di a.z.

GENOVA - Ennio Odino ha 78 anni ed è l'unico sopravvissuto alla strage del Turchino, quella per cui ieri il tribunale di Amburgo ha condannato Friedrich Engel a sette anni: "Non ce l'ho con lui, ma con chi ha nascosto i fascicoli dei crimini nazisti: sono loro che dovrebbero essere processati", dice Odino, che si salvò perché davanti al plotone d'esecuzione stava aiutando un compagno ferito a restare in piedi e il suo corpo gli fece da scudo. Cadde e si finse morto. Nella città dei Martiri del Turchino, la sentenza è come un pugno nello stomaco. A mostrarsi più distaccati sono proprio coloro che dalla strage riuscirono a salvarsi. Odino, che dice: "Per quello che mi riguarda Engel può rimanere a coltivare il suo orto, ma il processo era importante per stabilire la verità". L'altro grande vecchio della Resistenza, il vice presidente dell'Anpi Raimondo Ricci che ad Amburgo è stato testimone dell'accusa, (era nella lista dei prigionieri), dice: "Sono soddisfatto: è, stata affermata la piena responsabilità di Engel e la stia crudeltà. Ma non condivido il principio di non irrogare l'ergastolo". Sono invece incredule le reazioni della città: "Sembra quasi una presa in giro, è una pena offensiva", dice il presidente della Provincia, Alessandro Repetto. Il sindaco, Giuseppe Pericu: "Ci aspettavamo una pena rilevante, visto che la sentenza riconosce Engel colpevole". Per il presidente della Regione, Sandro Biasotti: "viene da chiedersi se per arrivare ad una sentenza del genere e riaprire le ferite dei familiari, sia valsala pena di fare il processo".

la Repubblica - 6 luglio 2002


Stragi nazifasciste: S. Anna Stazzema, nel 2002 indagine chiusa

La Procura militare di La Spezia è impegnata a chiudere l'istruttoria sull'eccidio di Sant'Anna di Stazzema entro quest'anno ed a portare avanti gli altri procedimenti nel corso del 2003. È quanto riferisce la delegazione del coordinamento toscano per l'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sullo stragi nazifasciste, che oggi ha avuto un incontro a La Spezia col procuratore militare La Spezia, Marco De Paolis, alla presenza dei procuratore generale presso la corte militare di appello di Roma, Vindicio Bonagura. La procura - riferisce sempre la delegazione guidata dal vicepresidente dei consiglio regionale Enrico Cecchetti -  ha spiegato di non avere uomini e mezzi per seguire le indagini su 63 stragi nazifasciste, oltre alle difficoltà burocratiche delle procedure da attivare in Germania. L'organico prevede quattro giudici e otto agenti di pg, ma procura è costretta a svolgere tutto il lavoro con solo un procuratore capo ed un uditore cori funzioni di sostituto e due agenti a tempo pieno più uno part-time. La procura militare ha assicurato però il massimo impegno per recuperare il tempo perduto ed arrivare alla scoperta della verità. "Davanti a questa precisa presa di posizione - dichiara Enrico Cecchetti - il nostro coordinamento, forte dell'impegno di tantissimi amministratori locali e regionali e dei parlamentari dei nostri territori, premerà con le istituzioni statali competenti affinché dal centro arrivi il necessario sostegno e gli indispensabili mezzi a chi lavora per rendere giustizia, dopo oltre 50 anni, a tanti italiani che hanno perso i loro parenti in modo così barbaro". A questo scopo il coordinamento toscano, nei prossimi giorni, organizzerà iniziative di sensibilizzazione nei confronti dello autorità competenti: il Consiglio della magistratura militare ed il ministero della Difesa per far arrivare a La Spezia il personale previsto in pianta organica e i ministeri di grazia e giustizia e degli affari esteri affinché attivino la massima collaborazione burocratico-amministrativa con la Germania. 

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Stragi nazifasciste: delegazione Toscana a Procura di Spezia entro l'anno chiusa l'istruttoria su Sant'Anna di Stazzema

Non hanno uomini e mezzi per seguire le indagini su 63 stragi nazi-fasciste, in più ci sono le difficoltà burocratiche delle procedure da attivare in Germania, ma la Procura militare di La Spezia si e' impegnata a chiudere l'istruttoria sull'eccidio di Sant'Anna di Stazzema (560 vittime) entro quest'anno e a portare avanti gli altri procedimenti nel corso del 2003. Lo ha riferito oggi il procuratore militare di La Spezia, Marco De Paolis, alla presenza del procuratore generale militare della Repubblica presso la Corte militare di Appello di Roma, Vindicio Bonagura, ai rappresentanti del coordinamento toscano, che, in un incontro alla Procura militare della città ligure, hanno chiesto di far luce sul crimini dell'estate dei 1944 compiuti dal nazi-fascisti. La delegazione, guidata dal vicepresidente dei Consiglio regionale della Toscana, Enrico Cecchetti, era composta dal  presidente della Commissione Cultura, Loriano Valentini, dal parlamentare Ds Carlo Carli, dai sindaci di Stazzema, Castelnuovo Val di Cecina, Larciano e Cavriglia, dal presidente dell'Istituto storico della Resistenza in Toscana, Ivan Tognarini, e dal presidente dei Comitato per la verità sull'armadio della vergogna, Franco Giustolisi. Invece dei 4 giudici e degli 8 agenti di polizia giudiziaria previsti organico, la Procura militare di La Spezia è costretta a svolgere tutto il lavoro, ordinario e straordinario, con un solo procuratore capo, un uditore con funzioni di sostituto procuratore, 2 agenti a tempo pieno più uno part-time. Oltre alle 63 indagini sulle stragi nazifasciste la competenza della Procura militare, oltre a La Spezia, copre i territori delle regioni Toscana ed Emilia-Romagna e delle province di Pescara e Ancona. Eppure, proprio per superare la già grave e imbarazzante vicenda del cosiddetto armadio della vergogna (dove per decenni sono stati insabbiati 695 fascicoli su 2.274 crimini nazi-fascisti con oltre 15mila vittime) e ridare autorevolezza alle istituzioni repubblicane, la Procura militare ha assicurato il massimo impegno per recuperare il tempo perduto e arrivare alla scoperta della verità. "Davanti a questa precisa presa di posizione - ha dichiarato Cecchetti - il nostro coordinamento, forte dell'impegno di tantissimi amministratori locali e regionali e dei parlamentari dei nostri territori, premerà con le istituzioni statali competenti perché dal centro arrivi il necessario sostegno e gli indispensabili mezzi a chi lavora per rendere giustizia, dopo oltre 50 anni, a tanti italiani che hanno perso i loro parenti in modo così barbaro". A questo scopo il coordinamento  toscano, nei prossimi giorni, organizzerà iniziative di sensibilizzazione nei confronti delle autorità competenti: con il Consiglio della magistratura militare e il ministero della Difesa per far arrivare a La Spezia il personale previsto in pianta organica e con i ministeri di Grazia e Giustizia e degli Affari Esteri perché attivino la massima collaborazione burocratico-amministrativa così la Germania, in modo da assicurare alla giustizia i responsabili delle stragi.

la Repubblica - 1 agosto 2002


Fosse comuni e impiccagioni le foto-choc delle stragi naziste

Sull'Espresso le immagini dagli archivi Usa. I parenti delle vittime: "Sia fatta giustizia" - I soldati americani raccolsero negative testimonianze dagli scampati ai massacri

di Raimondo Bultrini

ROMA - Donne bambini e vecchi tirati fuori dalle case e fucilati. Uomini impiccati a pali e cancelli, poi fatti a pezzi da nazisti e fascisti. Sono le foto mai viste delle stragi compiute tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. Immagini, provenienti dagli archivi americani e pubblicate in esclusiva su L'Espresso in edicola da oggi che documentano gli orrori avvenuti durante la fuga degli uomini di Hitler, spalleggiati dai repubblichini di Salò. Si riapre l'"Armadio della Vergogna" su cui non è mai stata fatta verità in Italia: né sui nomi degli assassini e né sui loro reati. Le fotografie sono state raccolte dai soldati statunitensi ai prigionieri tedeschi e ai pochi testimoni scampati. Custodite a Washington tra i materiali del Dipartimento della Difesa. Molte foto riprendono l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema (12 agosto 1944, 560 civili trucidati): una gigantesca fossa comune; il teschio di una bimba di quasi 2 anni accanto al cadavere della mamma. Sono scatti del parroco Giuseppe Evangelista, accorso nel paese all'indomani della strage. Altre immagini riprendono un padre, Narciso Polmonari, che guardai resti della figlia Ines uccisa e bruciata dai tedeschi; uomini impiccati ai pali con il filo di ferro a Casalecchio di Reno, alle porte di Bologna; ancora fosse comuni a Marzabotto. Verità e giustizia. A Stazzema, medaglia d'oro della Resistenza e sede del Parco della Pace, si è costituito un comitato che ha promosso la battaglia per arrivare alla Commissione d'inchiesta in Parlamento. Il governo della Toscana, la regione che ha avuto il maggior numero di vittime durante le stragi (oltre 4 mila, un terzo di quelle del resto d'Italia) ha avviato una raccolta di nuova documentazione e ha incontrato il procuratore generale militare Vindicio Bonagura per sollecitare un intervento.

la Repubblica - 8 agosto 2002


Fucecchio, ciak si gira - rivive la strage del padule

Un film autobiografico  - Firenza Guidi "Mia madre trovò i corpi, li trascinò, li lavò: poi ha taciuto tutta la vita"

(di b.m.)

La memoria che non passa si può solo condividere. Nel 1995 Firenza Guidi ha portato a Massarella uno spettacolo teatrale in cui raccontava dell'eccidio del padule di Fucecchio, compiuto dai nazisti in fuga il 23 agosto 1944. Sette anni dopo l'attrice e regista di origine toscana è tornata sui luoghi della strage per trasformare quello spettacolo in un cortometraggio, intitolato "Se ci fosse acqua". Più che di accanimento professionale, si tratta di una terapia privata. Ave Guidi e Frida Del Bino, le giovani donne che Firenza Guidi fa parlare, cantare, piangere e sperare per un'intera notte, chiuse in un granaio mentre fuori va in scena l'inferno, sono rispettivamente sua madre e sua zia: "Nell'eccidio ho perso uno zio e il nonno - racconta. E' stata mia madre, all'epoca una ragazzina di 17 anni, a trovarne i cadaveri: li ha presi, li ha messi su una carriola, li ha lavati e vestiti, tutto da sola. Ma di questa storia non ho saputo nulla finché non sono stata adulta. Me l'ha raccontata mia madre una quindicina di anni fa, e forse è stato proprio il modo in cui l'ha fatto, quasi clinico, senza nessuna retorica, che mi ha spinta a scrivere". "Se ci fosse acqua" è prodotto dall'International Film School di Newport, dove Firenza Guidi sta portando a termine un master, e interpretato da Alessandra Cariesi e Cristina Ferniani, le stesse attrici protagoniste dello spettacolo teatrale: " Ho voluto loro perché a distanza di sette anni le ho trovate ancora perfette. Anche se nel passaggio dal teatro al cinema il lavoro è cambiato, è diventato molto più intimo. Non più autentico, perché c'è un'autenticità anche nel teatro, però con la telecamera si riesce ad andare dentro l'anima delle persone, e il mondo che racconto è appunto un mondo intimo, uno scenario di guerra visto con gli occhi delle donne, un momento tragico nel contesto di una vita quotidiana che poteva essere anche allegra". La memoria che non passa ha portato Firenza Guidi dalla Scozia, dove vive ormai da quindici anni, fino al padule in cui affondano le sue radici. E dove ha scoperto che la storia, da queste parti, non è stata archiviata da nessuno: "Per lo spettacolo teatrale ho fatto due anni di ricerca tra la gente del luogo. Una volta riaperta la ferita, tutti ne volevano parlare, soprattutto le donne. Ogni giorno veniva qualcuno a raccontarmi qualcosa o a portarmi delle fotografie, che hanno creato poi la base della mostra affiancata allo spettacolo teatrale. Le cose che mi hanno raccontato erano molto pratiche e vive, senza alcun sentimentalismo. È stata un'esperienza che ci ha ammutoliti, al punto che all'inizio volevo intitolare lo spettacolo "Il padule del silenzio". Finché hanno dovuto fare hanno fatto, finché hanno dovuto parlare hanno parlato, ma quando la tragedia è successa, non c'era più niente da dire".

la Repubblica - 3 settembre 2002

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