la Repubblica

Quelle stragi nascoste per ragion di stato

di Miriam Mafai

Chi ha deciso, e quando, e su indicazione di quali autorità, di occultare le centinaia di fascicoli relativi alle stragi commesse dalle truppe naziste, negli anni dell'occupazione, contro le nostre popolazioni? I fascicoli, con i relativi rapporti generalmente redatti dall'Arma dei Carabinieri vennero mandati, tra il 1945 e il 1946 , alla Procura Generale Militare della Repubblica, a Roma, che avrebbe dovuto inoltrarli alle Procure Militari di competenza perché avviassero i relativi processi. Nulla di questo avvenne. Qualcuno decise che su quei fascicoli dovesse scendere per sempre il silenzio. Tuttavia non vennero distrutti ma, con la singolare scritta "archiviazione provvisoria" vennero chiusi in un armadio sigillato che avrebbe dovuto restare per sempre segreto. E si deve solo a un caso se, nel 1994, sono emersi da una polvere che durava da quasi cinquant'anni. Si tratta, esattamente, di 695 fascicoli che raccontano di stragi che fecero almeno 15.000 vittime, tutte civili. Ora, a tanti anni di distanza, è assai difficile individuarne i responsabili. Assai difficile, ma non impossibile. E infatti, dopo la casuale scoperta di quei 695 fascicoli e (finalmente !) la loro trasmissione ai Tribunali Militari competenti, almeno tre importanti processi hanno potuto svolgersi e concludersi nel corso dell'anno passato con la individuazione e la condanna dei responsabili, pure se tutti in contumacia. A Torino si è svolto e concluso il processo a carico di un certo Th. Saevecke, responsabile della strage di Piazzale Loreto dell'agosto del 1944, quando 15 detenuti di S. Vittore vennero fucilati e lasciati sulla piazza per ammonimento alla popolazione civile (dopo 24 ore fu consentita la consegna dei cadaveri alle rispettive famiglie solo per l'intervento del cardinal Shuster); sempre a Torino si è concluso con una condanna all'ergastolo il processo per la strage del Passo del Turchino; presso il Tribunale Militare di Verona si è concluso, anche questo con una condanna all'ergastolo, il processo contro l'ucraino Mikel Seifert responsabile della strage compiuta nel campo di lavoro di Bolzano. E' ancora in corso, invece, l' istruttoria a carico dei responsabili della strage di Sant' Anna di Stazzema, uno degli episodi più atroci della occupazione tedesca in Italia, dove vennero uccisi con estrema ferocia ben 500 civili: erano solo donne e bambini (il più piccolo aveva dieci mesi). I fascicoli su queste stragi erano stati occultati per quasi cinquant'anni in quello che qualcuno ha chiamato "l'armadio della vergogna", in uno stanzino protetto da un cancello di ferro al primo piano del palazzo di Via Cesi, sede della Procura Generale Militare. Chi ha voluto, e perché, che su queste stragi non fosse fatta luce, e giustizia, a tempo debito? A questi interrogativi si propone di dare una risposta la Commissione Giustizia della Camera attraverso una indagine conoscitiva (propedeutica ad una eventuale commissione di inchiesta parlamentare) che ha preso l'avvio. La prima ad essere ascoltata è stata la dottoressa Paola Severino, avvocato e docente di diritto penale, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Militare, che dopo la scoperta, nel 1994, dell'archivio segreto, non ha esitato un attimo a rilevarne e denunciarne la illegalità. Ma l'inchiesta interna promossa dal Consiglio della Magistratura Militare se ha chiarito alcuni punti e passaggi importanti, non ha potuto risalire alle responsabilità politiche che avevano consentito una illegalità che si è protratta per quasi cinquant' anni. Non è credibile infatti che i Procuratori Militari Generali che si sono succeduti in quell'ufficio si siano presi, da soli, la responsabilità di occultare quelle carte senza una precisa indicazione delle autorità politiche del tempo. E allora, sono queste responsabilità che vanno individuate e chiarite. E' possibile che non si sia voluto far luce su quei "crimini di guerra", non si sia voluto perseguirne i responsabili per non turbare i buoni rapporti che si andavano stabilendo in quegli anni con il governo di Bonn nell'ambito della comune Alleanza Atlantica. Una superiore ragion di Stato avrebbe suggerito dunque di non portare a un pubblico dibattito, di fronte ai tribunali italiani, i responsabili di quelle stragi, avrebbe suggerito dunque di far scendere il silenzio su quelle vicende. Per questo era necessario che su quei fascicoli scendesse la polvere, che quelle vittime venissero dimenticate. Oggi, anche in ricordo del sacrificio di quelle vittime e per il rispetto che dobbiamo alla nostra storia, abbiamo il diritto di conoscere tutta la verità.

la Repubblica - 10 febbraio 2001


 Scheda  I più clamorosi processi svolti nel nostro Paese - Gli ufficiali nazisti condannati in Italia

ROMA - Ecco una cronologia dei casi più noti di ex ufficiali nazisti condannati in Italia.

20 luglio 1948 

Il tribunale militare di Roma condanna all'ergastolo Herbert Kappler per la strage delle Fosse Ardeatine, a Roma (24 marzo 1944). Il 19 dicembre 1953 la sentenza diventa definitiva. Kappler evade dall'ospedale militare del Celio il 15 agosto 1977 e muore l'8 febbraio 1978 a Saltau, in Germania.

31 ottobre 1951

Il tribunale militare di Bologna condanna all'ergastolo l'ex maggiore delle Ss Walter Reder, ritenuto colpevole della strage di Marzabotto. Reder sarà liberato il 24 gennaio 1985 e morirà a Vienna il 2 maggio 1991.

25 ottobre 1994 

La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere condanna all'ergastolo l'ex tenente della Wermacht Wolfgang Emden e l'ex sergente Kurt Schuster, riconosciuti responsabili di omicidio plurimo aggravato e continuato per la strage di Caiazzo del 13 ottobre 1943.

7 marzo 1998 

La Corte di Appello militare di Roma condanna all'ergastolo Erich Priebke e Karl Hass, ritenuti colpevoli di omicidio plurimo continuato per l'eccidio delle Fosse Ardeatine. La sentenza diventa definitiva il 16 novembre 1998.

15 novembre 1999

A Torino, si conclude con la condanna all'ergastolo il processo a Siegfried Engel, 90 anni, ex comandante delle Ss di stanza a Genova, accusato per gli eccidi liguro-piemontesi del Turchino, della Benedicta, di Portofino e di Cravasco.

la Repubblica - 13 aprile 2001


Scoperto il boia SS di Genova

Friedrich Engel è stato già condannato all'ergastolo in Italia. La comunità ebraica: "Subito l'estradizione" - Si nasconde ad Amburgo, fece massacrare 246 ostaggi

di Anais Ginori e Andrea Tarquini

BERLINO - Vive una tranquilla vecchiaia ad Amburgo Friedrich Engel, il capo delle Ss nella Genova occupata che fece assassinare almeno 246 ostaggi inermi. Lo ha scovato la "Ard", la prima rete tv pubblica tedesca, e il caso potrebbe creare complicazioni nei rapporti bilaterali italo-tedeschi guastando anche la vacanza pasquale del cancelliere Schroeder in Italia. Engel è stato già condannato all'ergastolo due anni fa in Italia, e la comunità ebraica italiana ne reclama l'estradizione. Emanuele Pacifici, figlio dell'allora rabbino capo di Genova: "Engel uccise mio padre. deve essere punito". 

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Germania,  è  vivo il boia di Genova

Friedrich Engel scovato dalla tv tedesca: condannato all'ergastolo in Italia, in patria non è stato colpito da nessun provvedimento - Scoperto ad Amburgo l'ex Ss che fece assassinare 246 ostaggi

di Andrea Tarquini

BERLINO - Si chiama Friedrich Engel, era il capo delle Ss a Genova occupata, fece assassinare almeno 246 ostaggi inermi, ma vive una tranquilla vecchiaia ad Amburgo. Un'inchiesta della Ard, la prima rete tv pubblica tedesca, denuncia lo scandalo, e il caso potrebbe creare complicazioni nei rapporti bilaterali italo-tedeschi guastando anche la vacanza pasquale dei cancelliere Schroeder in Italia. Il caso di Friedrich Engel - per macabra ironia della sorte il nome, in tedesco, vuol dire angelo - è sollevato da Kontraste, un programma di reportage e inchieste. Dal 1945 l'ex ufficiale delle Ss risiede nella metropoli anseatica. Ha ben novantadue anni, e finora non è stato colpito da alcuna condanna in patria. La denuncia non è un'esagerazione di programmi tv in cerca di sensazioni. Il portavoce della procura di Amburgo, Ruediger Bagger, interrogato dall'agenzia di stampa Dpa ieri sera, in sostanza ha confermato tutto per filo e per segno. Friedrich Engel, ha affermato, è indagato dal 1998 da parte della magistratura amburghese. "Ci siamo fatti inviare gli atti dalle autorità italiane, e abbiamo appena ricevuto la loro traduzione; stiamo verificando se la nostra inchiesta a carico di Herr Engel necessiti di ulteriore materiale degli atti giudiziari sul suo conto in Italia". Friedrich Engel infatti, pur vivendo da oltre mezzo secolo un'esistenza tranquilla nella ricca Amburgo, non è incensurato. La giustizia italiana lo ha già condannato all'ergastolo per aver ordinato l'assassinio di 246 persone, detenute dalle autorità occupanti naziste nella metropoli ligure. "Le autorità giudiziarie tedesche invece - affermano i colleghi di Kontraste - sembrano mostrare scarso o nessun interesse a chiamare Herr Engel a rispondere delle sue responsabilità per i crimini di guerra commessi in Italia". La trasmissione cita le testimonianze di tre superstiti, che accusano Engel per le brutali rappresaglie compiute dalle Ss a Genova. Nodo strategico industriale e delle comunicazioni per l'Asse, il maggior porto italiano fu sottoposto al più stretto e spietato controllo delle Ss, della Gestapo e della Wehrmacht. Anche perché era una roccaforte della Resistenza. Retate ed esecuzioni sommarie furono all'ordine del giorno nella città, fino alla sua liberazione da parte di insorti e reparti regolari deI Cln nel 1945. E Friedrich Engel, comandante in campo delle famigerate forze speciali del Terzo Reich nella città, non aveva scrupoli. "Come criminale di guerra - afferma Kontraste - Engel non è certo uno sconosciuto. Eppure le autorità tedesche si sono mosse nel '98 contro di lui solo dopo insistenti accuse che lo inchiodavano, da parte dei media italiani". Il particolare forse più sconcertante del caso, secondo la tv pubblica tedesca, è che negli anni Sessanta si svolse già una prima inchiesta giudiziaria tedesca a carico del camerata Engel per la sua partecipazione alle esecuzioni di ostaggi. Ma nel 1969, accusa la Ard citando Wolfgang Kuhlmann, procuratore capo ad Amburgo, il procedimento fu archiviato. Perché? Il magistrato confessa di non conoscere i motivi di quella decisione. In ogni caso, l'ex ufficiale delle Ss - nota l'agenzia Dpa non deve temere di essere consegnato alle autorità italiane. E' protetto, purtroppo, da leggi ipergarantiste che la Germania si dette dopo la guerra con l'intento di proteggere i suoi cittadini da abusi del potere, ma di cui anche i criminali nazisti approfittano. Ma in Italia le comunità ebraiche e i famigliari delle vittime già promettono battaglia. "Inizieremo subito la pratica per chiedere l'estradizione" annuncia Amos Luzzatto, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche. "Chiediamo al ministro Fassino e al presidente Amato di fare un passo formale nei confronti della Germania. C'è una rete che protegge questi criminali. La guerra è terminata nel 1945 ma giustizia non è ancora stata fatta".

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I precedenti

Kappler e Priebke condanne italiane

Fra i casi più noti di ex nazisti condannati, alcuni casi italiani: Herbert Kappler, Karl Hass ed Erich Priebke, condannati all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, (24 marzo 1944), l'ex SS Walter Reder, ritenuto colpevole della strage di Marzabotto.

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La testimonianza "In Liguria ordinò la strage della Benedicta"

di Gessi Adamoli

GENOVA - Sono passati quasi 60 anni, ma quello di Siegfried Engel a Genova è nome che fa ancora venire i brividi. Raimondo Ricci, deportato a Mauthausen, fu uno dei tanti ad essere perseguitato da quello che le biografiche descrivono come "un perfetto nazionalsocialista". "Era il maggiore delle SS che assunse il commando dell'Ak (Aussenkommandos) di Genova - ricorda Ricci, avvocato, per diverse legislature parlamentare del partito comunista e presidente dell'Istituto Storico della Resistenza in Liguria. Si dedicò con grande efferatezza alla repressione dell'attività partigiana. Engel ed i suoi uomini parteciparono in maniera diretta alle azioni di rastrellamento avvenute ai primi di aprile del 1944 nella zona dei monte Tobbio". Quel massacro prese il nome di eccidio della Benedicta dal nome di un antico romitorio. "In prossimità della Pasqua - racconta Ricci -Engel riunì nel suo studio tutto il personale dipendente, annunciando che il giorno dopo avrebbe avuto inizio un grande rastrellamento. Per quella operazione fu proposto il conferimento ad Engel della croce al merito con spade. Nella zona dell'Appennino ligure compresa tra la Val di Stura e la Val di Lemme, furono un centinaio i giovani, non solo partigiani ma anche semplici renitenti, uccisi non in combattimento, ma dopo essersi arresi ed aver deposto le armi. Furono fucilati il 9 aprile 1944 e gettati in una fossa comune. Nei giorni successivi furono compiuti altri rastrellamenti ed in totale il numero delle vittime arrivò a 145". Ma Engel non è stato solo la "belva della Benedicta". Altri eccidi pesano sulla sua coscienza. "Nel maggio del 1944 ordinò una rappresaglia dopo che al cinema Odeon di Genova, riservato solo ai militari tedeschi, ci furono 5 morti e 15 feriti. La risposta fu analoga a quella delle Fosse Ardeatine, ma la proporzione numerica addirittura superiore: 59 i prigionieri politici prelevati dal carcere di Marassi e fucilati al passo del Turchino. Alla spiaggia dell'Olivetta a Portofino furono 22 i fucilati ed i loro corpi gettati al largo in mare, 20 quelli trucidati a Cravasco".

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L'intervista  - “Chiedo all'Italia di catturare l'assassino di mio padre”

Emanuele Pacifici, figlio del rabbino capo deportato da Engel

di Anais Ginori

ROMA - Emanuele Pacifici, 69 anni. Suo Padre, Riccardo, era il rabbino capo di Genova nel novembre 1943. "Papà lo ricordo sul marciapiede della stazione Principe. Dovevo prendere il treno per Pisa, stavo fuggendo dai rastrellamenti dei tedeschi. Mia madre e mio fratello erano già scappati. Papà mi diede la benedizione sacerdotale. "Io devo rimanere qui" aggiunse. Non voleva abbandonare Genova, la sua responsabilità di maestro della Sinagoga, pensava di aiutare gli altri ebrei. Era fiero e generoso. Ma io, queste cose, le ho capite dopo. E' stata l'ultima volta che l'ho visto, il nostro ultimo saluto. Avevo 12 anni".

"Lui, il custode del tempio e una trentina di ebrei di Genova furono arrestati dalle Ss di Engel. Fu torturato nel carcere di Marassi e poi deportato ad Auschwitz. Un testimone lo ha visto entrare nella camera a gas il 12 dicembre 1943. Purtroppo sulle date non c'è certezza: neanche un certificato di morte mi è rimasto. Poi arrestarono anche mia madre, a Firenze. Io ero in un convento di Settignano e per mesi ho continuato ad aspettarla ogni sera alla finestra. Finché una suora non ha più voluto che passassi così le mie notti. In un mese sono rimasto orfano. Engel e le Ss mi hanno lasciato solo al mondo. Mamma aveva 32 anni, papà 39. Se sono sopravvissuto è grazie a un angelo".

"Voglio giustizia, non vendetta. Un criminale nazista non può stare in mezzo alla gente indisturbato, senza una condanna. I crimini non cadono mai in prescrizione. Quel maledetto Engel deve essere portato qui in Italia, di fronte allo Stato e davanti a me. Lo voglio vedere scontare le sue colpe, anche se ha 92 anni, anche se sta su una sedia a rotelle. Non è troppo tardi per ridare un senso alla mia vita. Sono stato un poveraccio, con un destino infame. Scusatemi se piango, e se urlo. Sono sconvolto. L'aguzzino dei miei genitori è libero e io sono ancora prigioniero del mio dolore".

"Lo Stato italiano non ha mai fatto niente per me. Ho avuto la pensione di orfano di guerra fino a 21 anni. Ho dovuto lasciare la scuola alla quinta elementare. Mio fratello non è voluto rimanere, è andato a vivere in Israele. Ora ho una famiglia, una moglie, Gioia di nome e di fatto, una figlia e un figlio che si occupa della comunità ebraica a Roma. Se guardo il mio passato, vedo una tragedia dopo l'altra. Nel 1982, ero di fronte alla Sinagoga quando ci fu l'attentato. Quasi ho perso un occhio e ho la gola squarciata".

"Non sono un ebreo ortodosso. Durante la fuga della mia famiglia il cardinale di Genova ci diede un grande sostegno. Veramente, dovrei essere ateo, per le cose che mi sono capitate. Ma la mia fede è la forza di andare avanti. Che mi è rimasta nonostante tutto. Da tempo conservo un trafiletto di giornale con il nome di quel boia: Friedrich Engel, comandante delle Ss a Genova. Se fossi in grado di viaggiare andrei a cercarlo ad Amburgo. Lotterò per farlo catturare. Lo chiederò al governo e al presidente della Repubblica. Magari un angelo mi aiuterà a finire la mia vita in pace".

la Repubblica - 14 aprile 2001


Berlino, silenzi e omissioni

Due inchieste su Engel insabbiate in Germania. La comunità ebraica: "Consegnamolo agli italiani"

di Andrea Tarquini

BERLINO - "Non sono io la persona che pensate, lasciatemi in pace", dice Friedrich Engel ai colleghi della tv tedesca. E a chi lo ha chiamato al suo telefono di casa, ieri, prima ha reagito riattaccando subito, poi mandando a rispondere la moglie: "lo non so nulla, noi nonsappiamo nulla". Il giorno dopo il suo smascheramento da parte della tv tedesca, il "boia di Genova" si difende chiudendosi nel silenzio. Teme una riapertura dell'inchiesta a suo carico ipotesi che sembra probabile. "Pensiamo di interrogarlo al più presto", afferma il magistrato Wolfgang Kuhlmann. Il clima politico della Germania rossoverde spinge a muoversi contro un criminale nazista ma anche contro le colpe tedesche del dopoguerra. Perché riemerge uno spaventoso passato perdonista della giustizia sul conto di Engel. Il quale è accusato non solo di massacro di ostaggi ma anche di deportazione di ebrei genovesi verso i campi di sterminio. Ma trent'anni fa due decisioni scandalose, prima l'archiviazione di un'indagine, poi in un altro processo l'assoluzione per decorrenza dei termini risparmiarono all'ex capo delle Ss i conti con la Storia. "Engel non ci vuole parlare, perché sa di non avere nulla di convincente da dire a sua discolpa", afferma René Althammer, giornalista di Kontraste, il programma della tv Ard, che è fra gli autori dello scoop. Aggiungono alla Ard: lui nega, ma le sue foto di allora e di oggi lo inchiodano. Alla comunità ebraica tedesca sale lo sdegno: "Quell'uomo deve rispondere alla giustizia, deve essere consegnato agli italiani", afferma Michael Friedman, uno dei massimi leader ebraici tedeschi , che da bimbo fu salvato da Oskar Schindler. Ma esplode lo scandalo delle inchieste insabbiate in passato. Una prima indagine, relativa alle esecuzioni di ostaggi, fu condotta e archiviata alla fine degli anni Sessanta. Per quale motivo, e con quali appoggi e coperture politiche, la magistratura di Amburgo prese questa decisione? E' quando il giudice Kuhlmann oggi vorrebbe sapere. Ma qualcuno allora non si limitò all'archiviazione. Fece di tutto per bloccare inchieste su Engel per decenni: il fascicolo su quell' inchiesta tedesca a carico del boia di Genova è scomparso, non si trova in nessun archivio della giustizia amburghese. Eppure è esistito: resta la sua catalogazione nel registro degli atti giudiziari. Non è tutto: nel 1971, Engel fu coimputato in un processo contro altri ex Ss, sempre ad Amburgo. Solo nel 1998, l'anno della svolta a sinistra in Germania, agenti dell'Ufficio criminale federale (Bka) riferirono nei loro rapporti di processi a criminali di guerra in Italia in cui il nome di Engel era emerso. E la magistratura cominciò a muoversi. Proprio allora, Engel fece togliere il suo numero di telefono dagli elenchi. A fine 2000 Kuhlmann ha avuto atti giudiziari italiani e testimonianze di superstiti. La convocazione di Engel sarebbe adesso questione di poco, e il vecchio ex Ss senza più complici in alto tace ostinato.

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LA SCHEDA

Perché l'estradizione sarà difficile

L'estradizione di residenti in Germania è vietata dalla Costituzione ma esistono importanti eccezioni. Con paesi alleati e amici (come Ue, Nato, Usa e Canada) e altri stati democratici (Svezia, Giappone, Australia, ecc.) la Germania ha convenzioni - automatiche nella Ue - che accettano l'estradizione. Tocca al governo tedesco decidere se la richiesta è legittima. Poi il governo passa la pratica alla giustizia, cui spetta l'ultima parola.

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"Engel paghi per quei 248 morti"

L'inchiesta - Parla il giudice che ha chiesto l'estradizione dell'ex capo Ss - Il pm militare Rivello: "Nessun dubbio sulle responsabilità"

di Alberto Custodero

TORINO -Arruolato nella Gestapo per meriti politici, non perchè si era distinto come poliziotto. Friedrich Engel (che in Italia si faceva chiamare con il suo quarto nome, Siegfried), oggi novantaduenne, era stato a Berlino per anni a capo dell'ufficio "istruzione politica" dei funzionari della polizia di sicurezza. Fedelissimo delle Ss e "indottrinatore", dunque, non si distinse, almeno all'inizio della Guerra, per un particolare attivismo militare, ad eccezione di una breve parentesi, fra l'aprile e il dicembre del '40, che trascorse ad Oslo, durante l'occupazione della Norvegia. Ricevette anche una decorazione lituana, però non si hanno prove della sua presenza sul fronte Orientale. Insegnante di storia e di educazione fisica, aveva studiato, in Austria, ad Innsbruck, filosofia. Nelle organizzazioni austriache di estrema destra militò fin da ragazzo, quando, a 15 anni, aderì al disciolto (in quel momento), partito nazista, svolgendo "attività politica illegale", ovvero propaganda politica per Hitler. Nel '40 le Ss inflissero tre giorni di punizione per eccesso di velocità. Quello fu l'unico addebito che risulta a carico di Engel, soldato-politico, prima della condanna all'ergastolo inflittagli il 15 novembre del 1999 dal Tribunale militare di Torino per 4 stragi avvenute dall'aprile del '44 al dicembre del '45 nel sud Piemonte e in Liguria nelle quali furono uccise, complessivamente, 248 persone. Il procuratore militare di Torino, Pier Paolo Rivello, ne ha chiesto l'estradizione, ma la Germania (ne ha facoltà), rifiutandola, ha preferito seguire la strada di ripetere il processo ad Amburgo. Le autorità giudiziarie tedesche, tuttavia, secondo alcuni, sembrano mostrare scarso interesse a chiamare Engel a rispondere dei suoi crimini commessi in Italia. Per il procuratore Rivello, al momento "non esiste il caso relativo all'estradizione negata". "Le polemiche - ha spiegato il procuratore - ci saranno se, dopo la celebrazione del processo di Amburgo, già avviato, l'ufficiale nazista non dovesse pagare il conto con la giustizia. Sono fiducioso che si giunga in tempi rapidi alla condanna anche tedesca, visto che le responsabilità sono chiare". Non ci sono dubbi, infatti, che Engel, capo della repressione anti partigiana acquartierato a Genova, presso la Casa dello Studente, abbia partecipato in prima persona al rastrellamento della Benedicta, fra 6 e l'11 aprile del '44. Le operazioni militari erano materialmente effettuate dalla 356esima fanteria della Wermacht. "Compito di Siegfried Engel - ha spiegato Carlo Gentile, storico a Colonia, consulente della procura militare torinese - era quello di selezionare i prigionieri, redigendo l'elenco di quelli da fucilare, da interrogare oppure da deportare". "II rastrellamento della Benedicta - si legge nella sentenza di condanna all'ergastolo del tribunale militare presieduto da Stanislao Saeli - è passato alla storia come la prima grande operazione intimidatoria anti partigiana con la quale i comandi militari germanici decisero di garantirsi la sicurezza delle vie di comunicazione fra la Riviera ligure e la Pianura Padana". Per le operazioni di rastrellamento della Benedicta, le fucilazioni e le deportazioni, a Engel fu conferita la "croce al merito di guerra di prima classe con spade". Quel riconoscimento è stato la prova schiacciante, al processo, della sua responsabilità penale dei massacri. Era un periodo di grande tensione fra partigiani e nazifascisti, quello. Trentatré giorni dopo, a Genova, nel cinema militare Odeon frequentato da marinai, i Gap fecero esplodere una bomba: morirono cinque tedeschi. Gentile ha scoperto in Germania negli archivi militari un'informativa del 75esimo Corpo d'Armata della Wermacht, che, 45 anni dopo, è diventato il principale capo d'accusa contro Engel. "Le vittime dell'attentato dinamitardo all'Odeon - recitava la missiva riservata tedesca - sono salite a 5. Lapolizia di sicurezza sta preparando la massnahme, le fucilazioni di rappresaglia". E il massacro, ordinato dal capo della polizia di sicurezza, Engel appunto, avvenne puntualmente 4 giorni dopo, al Passo dei Turchino: 59 persone, 42 prigionieri politici rinchiusi a Marassi, e 17 partigiani "rastrellati" alla Benedicta, furono mitragliate dai militari della Kriegsmarine, commilitoni dei tedeschi morti all'Odeon. Per il giudice Saeli, "fu un eccidio particolarmente feroce. I prigionieri, legati a due a due, venivano fatti salire a bordo di una fossa scavata nei giorni precedenti da ebrei detenuti e nella quale erano visibili i corpi martoriati delle vittime già fucilate". "Non fu neppure rispettato - ha osservato ancora il magistrato - il rapporto previsto dal bando Kesserling di uno a dieci". Misterioso fu, invece, il movente della terza strage addebitata al capo della Casa dello Studente. Ecco come l'episodio è stato ricostruito nella sentenza dei Tribunale militare torinese. "A Portofino, nella notte fra il 2 e il 3 dicembre del '44, furono fucilati 22 cittadini prelevati dalla IV sezione del carcere di Marassi a disposizione delle Ss. I loro corpi legati l'uno all'altro con filo di ferro furono caricati su alcune barche e gettati in mare al largo con pesanti pietre come zavorra". Una rappresaglia, infine, giustificò l'ultimo eccidio. "Il 22 marzo '45 una pattuglia tedesca cadde in un'imboscata tesa da un reparto della 'brigata Balilla' e otto militari morirono. Nelle prime ore del giorno dopo furono prelevati da Marassi 20 cittadini italiani trasferiti su un camion nei pressi del cimitero di Cravasco e là fucilati".

"Sono fiducioso che si giunga presto anche alla condanna tedesca, visto che non ci sono dubbi sul suo ruolo nelle stragi" "Per i rastrellamenti, le fucilazioni e le deportazioni gli fu conferita la croce al merito di guerra: è la prova della sua colpa"

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Fassino alla Germania "Arrestate Il boia di Genova"

L'Italia chiede a Berlino di celebrare il processo all'ex ufficiale delle Ss Friedrich Engel: è gia stato condannato a Torino per l'uccisione di 248 ostaggi italiani

di Claudia Fusani

ROMA - Vederlo in carcere in Italia è abbastanza difficile. Più probabile una condanna e l'arresto in Germania. Resta anche una terza via, quella che chiedono le comunità ebraiche e che pretendono i familiari delle vittime: riuscire a portarlo in Italia come è già successo con Priebke e fargli scontare la pena agli arresti domiciliari. In ogni caso il gelo diplomatico Italia-Germania sembra, a questo punto, inevitabile. L'imbarazzo di nome Friedrich Engel è stato tenuto fin troppo nascosto. Ora, dopo il servizio-denuncia della tivù tedesca che ha ritrovato il "boia di Genova" nei panni del novantenne appassionato di giardinaggio in una villetta di Amburgo, le buone intenzioni e le richieste ufficiali non bastano più. "Il governo italiano opererà, in ogni modo, perchè alle vittime e alle loro famiglie sia finalmente resa giustizia" si affretta a dichiarare il ministro Guardasigilli Piero Fassino. Che assicura: "Da oltre un anno chiediamo l'estradizione oppure la celebrazione del processo in Germania e quindi l'arresto dell'ex ufficiale".Friedrich, Wilhelm, Konrad, Siegfrid Engel, tanti nomi per il boia delle SS che ha comandato il fronte tedesco nella zona di Genova dal 1944 fino alla fine della guerra ordinando l'uccisione di 248 ostaggi italiani rastrellati per rappresaglia e che da più di cinquant'anni vive tranquillo e beato nel quartiere nobile di Amburgo nonostante le accuse e le condanne all'ergastolo in Italia per crimini di guerra. Il ministro è imbarazzato. Ma ha le mani legate dai codici internazionali. E più che chiedere e sollecitare non può fare. Engel, "l'angelo" delle SS, è stato condannato all'ergastolo dalla procura militare di Torino il 30 marzo dell'anno scorso. E'' lunga la lista degli eccidi da lui ordinati: strage della Benedicta, zona dell'appennino ligure-piemontese, 147 morti; Turchino, 59 vittime; Portofino, 22 morti; Cravasco, altri venti morti. Dal momento che, si spiega in via Arenula, la legge tedesca vieta l'estradizione di un proprio cittadino, con il provvedimento sollecitato dalle autorità italiane "Engel verrebbe arrestato in qualsiasi luogo, a scopo di estradizione verso l'Italia, qualora lasciasse la Germania". Il ministro sta tentando due soluzìoni. L'estradizione, la più difficile, superando i vincoli che già furono superati con Priebke. Oppure l'arresto e la condanna in Germania per i reati commessi n Italia così come prevede la Convenzione europea di estradizione . "La procura di Amburgo - spiega il ministero - ha avviato nel 1998 un'indagine nei confronti di Engel. Sono stati richiesti gli atti in Italia. Da oltre un anno abbiamo sollecitato questo procedimento e una sentenza perché i delitti efferati di cui si è macchiato Engel e per i quali è stato severamente condannato in Italia non possono rimanere impuniti". Il problema è che la Germania non sembra così convinta ad andare fino in fondo. Engel è già stato indagato ad Amburgo nel 1969 ma il suo caso fu archiviato. Nel 1998, mentre la procura militare di Torino avviava il processo, i magistrati tedeschi hanno chiesto copia in Italia degli atti e delle nuove accuse contro di lui. Così come hanno chiesto copia della sentenza. Ma quelle carte devono ancora essere tradotte, dopo più di un anno. Insomma, la Germania se la prende con calma. Eppure è un paese dell'Unione europea che ha rapporti quotidiani con il governo italiano.

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LE ACCUSE

ECCIDI E RAPPRESAGLIE

19 maggio '44, strage del Turchino, 59 morti. 2 e 3 dicembre, eccidio di Portofino: 22 vittime. Il 23 marzo '45, rappresaglia a Cravasco: 20 fucilati. Engel ha subito condanne anche per queste stragi

PIAZZALE LORETO

Il 10 agosto del '44, a Milano, in piazzale Loreto, furono fucilati 15 partigiani. Per la strage è stato condannato all'ergastolo l'ex capo delle Ss Theo Saevecke, morto tre mesi fa.

LE FUCILAZIONI DI CUMIANA

Il 13 aprile del '44, a Cumiana (Torino), i nazifascisti fucilarono 51 civili. L'esecutore della strage, il tenente Anton Renninger, rinviato a giudizio, è morto durante il processo.

LA STRAGE DELLA BENEDICTA

Nell'antico convento a Bosio (Alessandria), divenuto rifugio per gli antifascisti, dal 6 all'11 aprile del 1944 i partigiani resistono a un massiccio rastrellamento. Vengono massacrate 147 persone. Engel, responsabile dell'eccidio, è stato condannato all'ergastolo.

la Repubblica - 15 aprile 2001


Engel, sparito il dossier

 L'ex ufficiale nazista si autodenuncia alla Procura. Parla il capo dei giudici tedeschi che ha indagato il boia
dal nostro inviato Leonardo Coen

AMBURGO - Da "semplice" ragioniere capo di un'azienda che importava legname, come ama dipingersi nelle sue interviste a discolpa, l'ex Ss Friedrich Engel viaggiava moltissimo, sovente in America. Talvolta gli capitava di recarsi in Cile per i suoi affari, in un Paese che con l'Argentina e il Brasile era diventato l'ultima spiaggia dei tedeschi più ricercati dalla giustizia Alleata. Un grosso business, negli anni della ricostruzione postbellica: tant'è che Engel ne trae cospicui vantaggi, se può concedersi il lusso di comprare la villa a Lokstedt, uno dei quartieri più cari di Amburgo. Ma Lokstedt è, guarda caso, anche il quartiere in cui si insediarono dopo la guerra molti ex ufficiali della Gestapo e delle Ss. Spesso, le attività di importexport erano coperture che celavano ben altri interessi. Tramite queste società di importexport gli ex nazisti poterono mantenere una fitta rete clandestina, basata sull'antico legame delle organizzazioni che avevano seminato morte in Europa. E forse, è grazie a questo occulto intreccio di complicità che Engel ha potuto vivere indisturbato per 56 anni ad appena quattro chilometri dal palazzo di giustizia di Amburgo. Le poche volte che cercarono di incastrarlo, ne uscì sempre senza danni. Addirittura, i vecchi documenti giudiziari (risalenti alla fine degli anni Sessanta) che lo riguardano sono spariti: l'ammissione è ufficiale. O meglio: per ora non si sa dove possano essere finiti. Negli scaffali del sotterraneo dove sono ammassati ordinatamente le inchieste di tutti questi anni, manca proprio il suo dossier. Con molta franchezza, uno dei giornali più prestigiosi della Germania - Die Welt - in un fondo è costretta ad ammettere la nuda e cruda verità: "Engel non è mai stato trovato perché nessuno lo ha mai cercato". O meglio: non l'hanno mai voluto seriamente cercare. Così ieri il colpo di scena: Engel dichiara a una tv tedesca di essersi autodenunciato alla procura di Amburgo. Forse non lo hanno voluto cercare, ora saranno costretti a occuparsi di lui. Eccoci al numero 15 della GorchFoch Wall, dove ha sede il grigio palazzo della Staatsanwaltschaften, ossia la Procura di Amburgo. Il procuratore capo Martin Koenhke affida il caso al procuratore Wolfgang Kuhlmann: "È un'inchiesta che non è mai stata chiusa". Quando era stata aperta? Le spiegazioni col crisma dell'ufficialità sono di un terzo procuratore che si chiama Ruediger Bagger, ed è il portavoce della Procura di Stato: "In questo modo i miei colleghi possono lavorare senza intralci". Ha preparato un comunicato di ventitré righe in cui ricostruisce in sommi capi il versante tedesco del processo di Torino all'ex Ss, culminato in Italia con la sua condanna all'ergastolo e in Germania con un bel niente. In breve, secondo la Procura di Amburgo, nel maggio del 1997 la procura militare di Torino chiede che i tedeschi interroghino Engel: "Ma non arriva nessuna risposta è il polemico appunto di Bagger potevano inviarci gli atti ed Engel sarebbe stato incriminato, perché quei documenti ci sarebbero serviti per giustificare l'incriminazione". Comunque, con una lettera, il 23 ottobre del 1997 Engel viene convocato in Procura ed egli si presenta col suo avvocato: però non parla. Si avvale della facoltà di non rispondere, perché prima vuole acquisire la conoscenza documentale delle accuse. Il 5 novembre dello stesso anno la Procura di Amburgo informa gli italiani della richiesta di Engel: "Non abbiamo più sentito nulla". Come scaricabarile, mica male. "All'inizio del '98, succede che nel corso di un procedimento giudiziario contro un altro ex nazista in corso a Dortmund, salti fuori il nome di Engel, sospettato di stragi commesse in Italia. Muore l'imputato e la procura di Dortmund trasferisce l'indagine a carico di Engel a noialtri. Facciamo gli accertamenti su Engel, con la cooperazione della Kriminalamt. Nell'ottobre del 1999 chiediamo sostegno giuridico agli italiani. Nel maggio del 2000 ci arrivano 15mila pagine, la sentenza del processo di Torino e gli atti relativi. Scegliamo di tradurre solo le parti più interessanti. Parallelamente continua il lavoro di scavo nei confronti di Engel. Lo scorso gennaio inciampiamo in un foglietto di carta scritto a mano". Premessa. Nel '67 la procura di Amburgo apre un dossier su Engel per motivi che non si conoscono. Due anni dopo l'inchiesta viene archiviata. Bagger mostra il foglietto che si riferisce all'archiviazione del fascicolo, datato 31 maggio 1969. Il mistero è racchiuso in due sigle: quella di partenza, 147 YS 31/67. E quella finale: AZ 147 YS 12/69: "Prima o poi troviamo tutto, non vi preoccupate cerca di tranquillizzarci il procuratore Bagger evidentemente le carte relative ad Engel sono state riposte non secondo la numerazione, bensì secondo le analogie con altri casi simili".  

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Il boia di Caiazzo vive a Coblenza
Emdem ordinò l'eccidio di 22 civili nel '43 ora organizza feste di Carnevale
dal nostro inviato Giovanni Marino

CASERTA - Se chiedete di Wolfgang Emdem, dell'ex tenente della Wehrmacht, nel paesino di Ochtendung - non distante da Coblenza - vi indicheranno un anziano allegro e scanzonato. Un vecchietto che trascorre i suoi ultimi anni organizzando feste di Carnevale. Ma dietro quel sorriso, quella ostentata bonomia, si cela il boia della strage di Caiazzo. Si nasconde la ferocia di un uomo che il 13 ottobre del '43 ordinò il massacro di ventidue innocenti in un piccolo comune del casertano. Quasi tutti donne e bambini. Un boia impunito, nonostante una condanna all'ergastolo ormai passata in giudicato. "È  frustrante, ma la situazione dell'ex tenente tedesco è identica a quella di Engel, solo che quest'ultimo coltiva fiori, mentre Emdem fa il coordinatore delle feste di Carnevale; per quanto assurdo possa essere è il punto di riferimento per chi cerca svago e gioia, per bambini e mamme, che forse neppure sanno di quali crimini si è macchiato; ma lui non è cambiato affatto, non è pentito di quell'eccidio", spiega con amarezza Paolo Albano, il procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere che non lasciò cadere gli spunti delle ricerche di due storici: l'italoamericano Joseph Agnone e il casertano Giuseppe Capobianco. A questo tenace magistrato si deve l'indagine che, nel '94, portò alla condanna di Emdem e dell'ex sergente Kurt Schuster al carcere a vita. Colpevoli di aver assassinato ventidue innocenti sotto i colpi delle mitragliatrici. "Peggio - ricorda l'inquirente - le vittime furono oggetto di assurde sevizie e crudeltà, furono infilzate anche con le baionette. A una bimba, tre anni appena, fu amputata una gamba, ritrovata solo a distanza di giorni nel granaio di una masseria. Poi, i loro corpi furono dati alle fiamme". Una strage ammessa dallo stesso Emdem. "Lo interrogai in Germania dove, purtroppo, il reato è stato dichiarato prescritto. Mi disse di aver ordinato l'esecuzione e la giustificò affermando che fra quei ventidue vi erano partigiani che aiutavano il nemico - dice il procuratore - una evidente falsità: Emdem scatenò la sua furia omicida perché, pochi giorni prima, era stato censurato dai propri superiori per una croce di guerra che non gli spettava. Il tenente pensò di riscattarsi agli occhi dei suoi capi inventando il pretesto che quei ventidue avessero lanciato segnalazioni luminose al nemico. C'è di più: prima della strage i militari tedeschi tentarono di violentare le donne che erano nella masseria. Trovarono decisa resistenza. Anche questo contribuì a scatenare la barbarie dei tedeschi". Il procuratore sottolinea l'ultima beffa: "Ho visto una sua foto su un giornale tedesco: Emdem era ritratto con cappellino colorato e trombetta, gioioso nella sua veste di capocerimonia del Carnevale. Ma quando dico che, nell'animo, non è cambiato, mi riferisco alle sue lucide affermazioni rese durante l'interrogatorio. "Rifarei esattamente quello che ho fatto, se mi ritrovassi nelle stesse condizioni di allora", mi rispose sprezzante, già certo che il suo orrendo crimine sarebbe rimasto, di fatto, impunito. Aveva ragione lui, purtroppo". Il procuratore Albano non si fa illusioni. "La Germania non concede l'estradizione per queste vicende, a meno che l'imputato non lasci la Germania. Ed Emdem avrà pure ottanta anni, però, è sveglio e attento a non commettere passi falsi: prima della condanna è stato visto in vacanza a Riccione, a godersi il nostro mare e il nostro sole. Dopo, ha rinunciato a qualsiasi visita italiana, ben consigliato dai suoi avvocati e si è ritirato nel suo paesino, dove, prima ha fatto l'imprenditore edile ed adesso fa il coordinatore delle feste di Carnevale, con cappellino e trombetta...".

la Repubblica, 18 aprile 2001


Tempi lunghi per il caso Engel - la Procura: "Servono sei mesi"

In Germania sulla vicenda del "boia di Genova" scoppia la polemica politica - Indagini lente ad Amburgo, improbabile anche l'arresto

di Leonardo Coen

AMBURGO - La sezione della Procura di Amburgo che si occupava dei crimini di guerra era composta da vent’otto magistrati: gran parte di essi sono ormai in pensione. Altri sono deceduti. Quelli in vita però sono facilmente rintracciabili. "L'abbiamo fatto", precisa il procuratore Ruediger Bagger, "ma non è venuto fuori nulla". Possíbile che abbiano perduto la memoria? Che non sappiano dove sia finito il dossier Engel? Che abbiano paura a raccontare come le inchieste che lo riguardassero venissero bloccate ed insabbiate? Sul foglietto scoperto tra le carte dell'archivio giudiziario che prova l'esistenza di un fascicolo a carico di Friedrich Engel c'è il nome di una procuratrice, quella che il 31 maggio del '69 annuncia l'archiviazione degli atti relativi ad Engel, avvenuta poi nel luglio dello stesso anno. E' ancora viva questa signora P.? L'hanno ascoltata? "Lavoriamo a pieno ritmo", svicola Bagger, "stiamo vagliando la documentazione giunta dall'Italia". Giunta undici mesi fa: di cui sono state tradotte appena cento pagine, delle 15mila inviate: "Avremo bisogno di altro materiale di prova per capire come mai Engel neghi ogni suo coinvolgimento in tre dei quattro luoghi dove gli sono state riconosciute responsabilità nei massacri", aggiunge il procuratore che poi precisa: "Ci vorranno almeno sei mesi per decidere". Forse anche l'arresto. Non è abbastanza il meticoloso ed imponente lavoro compiuto dalla procura militare di Torino? O il processo, le testimonianze e quant'altro raccolto sugli eccidi e le rappresaglie delle Ss comandate dallo spietato Engel? L'atteggiamento formalista della Procura di Amburgo, appare inquietante, pretestuoso: perpetua i silenzi e le omissioni del passato sugli scandalosi appoggi di cui Engel godette tra le fila della magistratura per oltre mezzo secolo. Ma forse c'è una imbarazzante spiegazione. Il vecchio "boia di Genova" sa troppe cose e non conviene far davvero luce sulle sue protezioni. Questo l'implicito messaggio che si ricava dalla strategia mediatica messa in atto da Engel. L'ex Ss si ostina, non senza arroganza, a legittimare la sua impunità, fino a vantare stretti contatti con l'episcopato cattolico quando stava a Genova nel '44 e a rivendicare in parte la salvezza del porto genovese. La novità è che ad alzare la voce contro il torpore giudiziario di Amburgo ci si sono messi i partiti. Tutti, non solo i socialisti e i Verdi. Segno che la vicenda è diventata politica. Non è solo il cancelliere Schroeder a pretendere ordine e giustizia in un Palazzo sospettato di ingiustizia, se si trattava di ex nazisti. I liberali dell'Fdp di Amburgo, per bocca del giurista Burkhardt Mueller-Sonksen, individuano la polemica nella questione dell'estradizione: l'articolo 16 della nostra Costituzione la vieta nei confronti dei nostri cittadini. Ciò ridicolizza la Germania. Non possiamo pretendere di chiedere i criminali serbi se poi non possiamo perseguire i nostri criminali condannati in altri Stati. Dobbiamo dimostrare la massima trasparenza dinanzi all'opinione pubblica di tutto il mondo. A questo ci obbliga il nostro passato". Più spregiudicato il professore Ulrich Karpen, esperto di diritto statale e presidente del comitato giuridico della Cdu (il partito cristiano democratico). Vuole portare il caso Engel all'esame del Parlamento di Amburgo (che è città Stato) "a meno che non ci siano delle spiegazioni soddisfacenti da parte della Procura. Si deve far piena luce sui crimini di guerra attribuiti ad Engel". Più severa Heike Sudmann, del gruppo Regenbogen (ossia Arcobaleno). Mette in guardia la Procura di Amburgo, l'ammonisce ad agire: "Non ha mostrato alcun interesse nel chiarire e nel perseguire questi fatti". Come lunedì prossimo, a Monaco di Baviera. "Probabilmente uno degli ultimi processi contro ex criminali di guerra", scrivono i giornali tedeschi. Alla sbarra l'austriaco Anton Malloth, comandante Ss della fortezza di Theresienstadt, famigerato lager destinato ai prigionieri politici. E' accusato di omicidio (in tre casi), di tentato omicidio, di torture. Ha 89 anni, è malato di cancro. Era stato condannato a morte dalla repubblica cecoslovacca nel '48, nel '49 stava per essere estradato da Innsbruck a Praga ma per un vizio formale della procedura (ritardo della documentazione) venne rilasciato. Si rifugiò a Merano da dove fu espulso qualche anno fa per il passaporto scaduto. Il primo aprile del 1999 è prosciolto per mancanza di prove. Ma spunta un nuovo testimone e alla fine del '99 il caso viene riaperto: Malloth, nonostante l'età, finisce in galera. Engel è avvisato.

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Forse espulso dal Canada "Misha" boia di Bolzano

La caccia dei giudici italiani ad altri  due criminali di guerra - La polemica - L'ex sottufficiale potrebbe perdere la cittadinanza ed essere consegnato all'Italia

di Andrea Tarquini

BERLINO - Sono almeno altri due i criminali di guerra nazisti ricercati dalla giustizia italiana per massacri di civili compiuti durante l'occupazione, e attualmente liberi all'estero: Michael "Misha" Seifert, già sottufficiale delle Ss nel Lager di Bolzano, attualmente residente in Canada, e Wolfgang Lehnigk-Emden, il "boia di Caiazzo", che vive in Germania. Nel caso di Seifert, una soluzione del caso è possibile. L'Italia ha già spiccato contro di lui due mandati di cattura e avviato da tempo la procedura di estradizione presso le autorità canadesi. E a fianco di questa procedura, spesso lenta e farraginosa, "Misha" è oggetto di un'altra azione giudiziaria: rischia l'espulsione dal Canada per aver fornito false informazioni sul suo luogo di nascita quando, nascondendo il suo passato, ottenne la cittadinanza e quindi il soggiorno illimitato canadesi. Il caso di Lehnigk - Emden è invece più complesso. Seifert è accusato di aver percosso e torturato a morte almeno diciotto prigionieri nel campo di Bolzano. Le sue vittime furono bastonate a sangue, prese a calci e pugni, torturati nel modo più efferato, e in alcuni casi lasciate morire per fame e per conseguenza dei maltrattamenti. Seifert è tuttora in Canada, ma potrebbe presto perderne la cittadinanza. La sua espulsione sarebbe dunque possibile, e poiché egli non ha più la cittadinanza tedesca, potrebbe venir consegnato alle autorità italiane. L'errore, o la menzogna, che potrebbe costargli cara, è quella sul suo luogo di origine: "Misha" non è originario dell'Ucraina, come egli dichiarò arrivando decenni fa in Canada, ma dell'Estonia. Ben millecinquecento chilometri di distanza tra il luogo di nascita dichiarato e quello reale sono più che sufficienti a condannarlo.

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Dalle Fosse Ardeatine alla drogheria in Carinzia

L'ex tenente nazista fece saltare le grotte dopo il massacro - Schubernig indagato in Italia, libero in Austria

di Giovanni Maria Bellu

ROMA - C'è un altro criminale nazista in libertà. Si chiama Wilheim Schubernig, ha 86 anni, e ha vissuto un sereno dopoguerra in Carinzia dopo aver partecipato, in Italia, il 24 marzo del 1944, al massacro delle Fosse Ardeatine. Poco più di tre anni fa, Repubblica lo individuò a Sankt Vit an der Glan, una cittadina medievale a pochi chilometri da Klagenfurt. E Schubernig si ammalò. Quando poi la magistratura militare italiana l'ha accusato formalmente di omicidio plurimo aggravato - gli stessi reati per i quali è stato condannato Erich Priebke - le sue condizioni di salute sono peggiorate. Così la strana storia di Schubernig - criminale di guerra dimenticato nella terra di Heider - è diventata una storia molto italiana: la storia di un processo eterno. Da due anni vengono periodicamente fissate udienze davanti al giudice delle indagini preliminari, e dall'Austria arriva un certificato medico che dice: Wilheim Schubernig non è nelle condizioni di partecipare. Allora l'udienza viene rinviata, non si può fare altrimenti. L'ultima della serie era fissata per lo scorso 21 marzo. I giudici militari attendevano, entro quella data, i risultati dei nuovi accertamenti medici chiesti per rogatoria alle autorità austriache. Non sono arrivati ma, al solito, l'udienza è saltata. Se ne riparlerà il 25 settembre. Il 24 marzo del 1944, invece, erano saltate le imboccature dei le grotte dove Kappler, Priebke, Hass, e Wilheim Schubernig, avevano ammassato i corpi delle 335 persone uccise in esecuzione di un ordine di rappresaglia impartito da Adolf Hitler in persona. E, secondo l'accusa, era stato proprio Schubernig a trovare l'esplosivo utilizzato per tentare di nascondere il massacro. Insomma, si può affermare fondatamente che quel giovane tenente, destinato a diventare un notabile carinziano, un rispettato commerciante della sua città, aveva la piena consapevolezza del fatto che alle Cave Ardeatine, come si chiamavano prima che i nazisti le trasformassero in Fosse, era stato compiuto un crimine di guerra. Tre anni fa, Schubernig stava male soltanto secondo la moglie, una donna molto più giovane di lui che riuscì, con successo, a impedire che i giornalisti lo avvicinassero. I vicini di casa ricordavano di averlo visto passeggiare tranquillamente, in compagnia di un cane, fino a pochi giorni prima. E' molto noto nel luogo dove vive. La sua individuazione lasciò un po' tutti di stucco. Nessuno aveva mai avuto il minimo sospetto che quel signore alto, asciutto, sempre educato e gentile, l'ex proprietario della miglior drogheria della città, avesse le mani sporche di sangue. La procura militare di Roma, come con Priebke, non ha mai mollato la presa. Però, per Schubernig, non ha trovato un analogo sostegno politico e istituzionale, come se si fosse ritenuto il processo contro Erich Priebke sufficiente ad appagare la voglia di giustizia. Ma i familiari delle vittime, gli esponenti della comunità ebraica, non sono d'accordo. E quando sentono la storia di Schubernig reagiscono con grande sorpresa: "E' un fatto sconvolgente - dice Leone Paserman, presidente della comunità di Roma - e c'è da augurarsi che tutti s'impegnino affinché a favore di questo personaggio non scattino protezione di tipo burocratico e formale". Riccardo Pacifici, vicepresidente nazionale dell'associazione Figli della Shoah, lancia una proposta: "Se non è possibile giudicarlo in Italia, perché non se ne occupa l'Austria? Questa vicenda offre una grande opportunità alle autorità della Carinzia, allo stesso Heider, per dimostrare che i sospetti su certe nostalgie sono del tutto infondati". L'individuazione di Schubernig fu una conseguenza delle indagini avviate amargine del caso Priebke. L'arresto del boia a Bariloche, in Argentina, ridiede vita a una serie di documenti dimenticati negli archivi. Anche a un elenco di dodici nomi che comprendeva quelli diKarl Hass e di Erich Priebke le cui posizioni, nel 1962, erano state archiviate perché, erano "risultate negative tutte le possibili indagini dirette alla loro identificazione e al loro rintraccio". Il procuratore capo, Antonino Intelisano, si pose una domanda: "Se è stato possibile dopo tanti anni individuare Priebke e Hass, non sarà forse possibile trovare anche qualcun altro di quei personaggi?" Così l'elenco - che al settimo posto aveva il nome di un "non meglio identificato Schubernig" - cominciò a circolare tra le polizie del mondo. E qualcuno si ricordò del distinto droghiere di Sankt Vit an der Glan.

la Repubblica - 19 aprile 2001


La tranquilla vecchiaia del boia nazista di Chiusa

Vive a Darmstadt il capitano di cavalleria della Wehrmacht perseguito dai giudici piemontesi e processato anche a Salò

Geometra in pensione, accusato della strage del '44

di Alberto Custodero

DARMSTADT - E' il processo più vecchio della storia giudiziaria italiana quello contro Heinrich Schubert, ex Rittmeister, capitano di cavalleria della Wehrmacht. L'ex ufficiale nazista, oggi ottantacinquenne e stimato geometra in pensione a Darmstadt, è accusato dai procuratori militari di Torino, Pier Paolo Rivello e Paolo Scafi, di "omicidio contro cittadini italiani" per gli eccidi avvenuti, il 19 dicembre del 1944, a Chiusa Pesio, in provincia di Cuneo. Furono 14 in tutto le vittime, ma fra queste c'era anche il dottor Carlo Alberto Ferrero consigliere della Corte d'Appello di Torino. Il magistrato, denunciato della Brigate Nere fasciste per aver definito "prive di fondamento giuridico" le sanzioni a carico dei famigliari dei renitenti alla leva, fu catturato dagli uomini di Schubert, costretto a girare per il paese con un cartello al collo con la scritta "traditore" e le mani legate dietro la schiena. Quindi fu frustato in faccia fino ad essere sfigurato e, infine, senza alcun processo, fucilato. La morte dell'alto funzionario dell'amministrazione giudiziaria della Repubblica Sociale Italiana scosse e indignò gli stessi ambienti fascisti. Dopo appena 44 giorni, infatti, arrivò la reazione della Repubblica di Benito Mussolini. Adriano Sisto, avvocato generale di Salò (già agonizzante), trovò ancora la forza di chiedere conto a Schubert, capitano del "reparto esploratori" della 34esima Divisione, ed ai suoi superiori, di quella barbara esecuzione. Il processo sull'omicidio dell'alto magistrato, avviato dalla giustizia fascista in un periodo nel quale la Repubblica di Salò al nord, era alleata con i tedeschi, era stato poi istruito, dopo la Liberazione, l'11 febbraio del 1946, dal ministro della Guerra del Regno d'Italia che aveva chiesto di "procedere contro il capitano di cavalleria Schubert" e altri 3 ufficiali, SchIemer, Klingemann e Gherardt. La Repubblica italiana ha poi proseguito l'indagine per 14 anni (gli omicidi a carico di Schubert sono nel frattempo lievitati a 14), fino a quando, nel 1960, non si sa perché, fu archiviata dalla procura militare. La pratica è stata riaperta (dopo la vicenda Priebke), nel '97 e si trova ora nella fase conclusiva. L'unico imputato ancora vivo è Schubert, un tranquillo e distinto pensionato con qualche problema di salute, alto, i capelli bianchi gli occhiali. Repubblica lo ha raggiunto a Darmstadt, città di 140 mila persone a pochi chilometri da Francoforte dove vive libero dal Dopoguerra, in una elegante villetta. Ha costruito ciminiere che si vanta di avere venduto agli italiani, è tornato molte volte in Italia e ha "buoni amici" a La Spezia. A giudicare dal simbolo che domina la porta d'ingresso (un ferro di cavallo all'interno di uno scudo), non deve aver perso la passione per i reparti di cavalleria. Di sicuro, nonostante l'età e i malori, non ha perso l'aggressività. Anche se per lui (stanco e malato), ha parlato la moglie, 83 anni. "Che cosa volete da mio marito dopo tutto questo tempo?", ha detto la donna, ignara del fatto che il processo contro l'ingenieur Schubert ha attraversato la storia d'Italia. "La procura militare di Torino - ha aggiunto - lo accusa di avere commesso alcuni reati. Ma lui è estraneo a quelle vicende. Stiamo lavorando per trovare le prove della sua innocenza. Fate attenzione a non confondere i fatti: siamo vecchi,ma non stupidi. E se per colpa vostra la nostra salute avrà conseguenze, vi chiederemo 20 mila marchi di danni". Strano atteggiamento, quello dei capitano di cavalleria Schubert: minaccia di chiedere i danni ai giornalisti solo perché gli hanno parlato. E poi si stupisce se la procura militare di Torino gli chiede conto (seppur con un pò di ritardo), dei "danni" da lui e dai suoi uomini provocati in Italia durante l'Occupazione tedesca. Le prove a suo carico, dei resto, le aveva raccolte un testimone molto particolare in tempi non sospetti, il maresciallo Aristide Pelissero, il sottufficiale che comandava la stazione dei carabinieri di Chiusa Pesio quando il reparto di Schubert si recò là, nel dicembre del '44, per dare la caccia ai partigiani "autonomi" delle formazioni "R", temutissime dai tedeschi perché erano in contatto con gli anglo americani che su quelle montagne avevano organizzato numerosi "lanci". Ecco cosa aveva scritto, qualche mese dopo la Liberazione, il maresciallo Pelissero nel libro Ricordi di un carabiniere. "Nel dicembre del '44 gli avventurieri della criminale colonna nazista agli ordini del capitano dei granatieri Schubert, durante le spietate persecuzioni, uccisero 13 lavoratori". E poi: "Il 18 dicembre il medico Condemi si presentò al comandante tedesco chiedendo il permesso di raccogliere i cadaveri dei civili e dare loro sepoltura. Ma ottenne un netto rifiuto dal capitano Schubert, che gli rispose che i morti dovevano ancora rimanere -esposti per esempio alla popolazione amica dei banditi". Ma sulla 34esima Divisione della quale faceva parte il capitano Schubert ha dedicato approfonditi studi Carlo Gentile, studioso di crimini nazisti e consulente della procura militare torinese. "I fatti dei quali è accusato Schubert - ha spiegato il professor Gentile - sono ben poca cosa se confrontati con tutti i crimini commessi dalla 34esima Divisione della Wehrmacht che ha seminato morte e distruzione nelle province di Cuneo e di Imperia. Secondo i miei studi, quei soldati tedeschi hanno fucilato quasi 400 persone, civili e partigiani, e a volte anche bambini". Fra quei morti ci sono anche le 80 vittime del "boia" di Albenga che non hanno mai ottenuto giustizia. Quella divisione di fanteria, secondo lo storico Gentile, "era più feroce di tante altre perché era una delle poche giunte in Italia dopo tre anni di fronte orientate In Russia avevano imparato a usare le maniere forti e a cercare soluzioni radicali. Evidentemente avevano continuato a comportarsi così anche in Italia, altrimenti non si giustificherebbero i 400 morti civili in vallate la cui presenza partigiana non giustificava tanta violenza e ferocia"

ENGEL Comandante delle Ss a Genova, 92 anni, vive libero a Amburgo

"MISHA" Michael Seifert, il boia di Bolzano, è residente in Canada

PRIEBKE Condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine, ha oggi 87 anni

la Repubblica - 24 aprile 2001

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