la Repubblica
Fuori
luogo Storia
funesta di un saluto
di
Paola Sorge
Può
un semplice gesto di saluto cambiare un’intera società? Come hanno reagito i
tedeschi all’imposizione del saluto nazista e quanto c’è in esso di
effettivamente “tedesco”? a questi e altri inquietanti interrogativi
risponde il sociologo Tilman Allert che in un fortunato volumetto intitolato
appunto Il saluto tedesco (Der deutsche Gruss, Eichborn), ne
ripercorre la storia funesta e ne analizza i molteplici e minacciosi risvolti.
Figlio adottivo di quello romano, connotato da una formula decisamente
agiografica – il trionfalistico Heil Hitler! – il saluto nazista fu
adottato da Rudolph Hess che nel 1926, ispirandosi al modello fascista, lo rese
obbligatorio per i membri del partito. Nel 1933, l’HH fu promosso a saluto
ufficiale e divenne obbligo quotidiano per ogni tedesco grande e piccolo in ogni
momento della sua vita pubblica e privata; a scuola andava fatto all’inizio e
alla fine di ogni ora di lezione e persino durante la pausa; fu usato anche
nelle lettere dove sostituì in pieno gli ossequi, gli abbracci e i cordiali
saluti di prammatica. In pratica il saluto hitleriano divenne un modo spiccio e
anche comodo di comunicare che faceva fuori tutte le formalità e le
tradizionali forme di saluto usate sino all’avvento di Hitler. «Il saluto
tedesco ti deve diventare naturale. Scordati l’Aufwiedersehen, il Gruss
Gott, il buongiorno se non vuoi essere sospettato», recitava una norma
dell’Associazione Studenti nei primi tempi del regime. Parte integrante della
“riforma sociale” promossa dal Führer, l’Heil Hitler in effetti
aveva trasformato un gesto cordiale e abituale come il saluto in pesante
minaccia, stabiliva una cesura fra gli “uniformati” e i non, distingueva i
tedeschi da tutti gli altri popoli dando loro una connotazione irrimediabilmente
razzista.
Da la Repubblica, 31 dicembre 2005, per gentile concessione