la Repubblica
Usa, verrà espulso il "boia di Treblinka"
John Demjanjuk era stato accusato di essere un criminale nazista. Scagionato, si è scoperto che ha lavorato in altri re campi di concentramento. Ha 30 giorni per fare ricorso, ma tutto dice che sarà costretto a lasciare il paese
di Arturo Zampaglione
New York – Per trent’anni John Demjanjuk ha negato di essere «Ivan il Terribile», la feroce guardia carceraria del campo di concentramento di treblinka, e si è opposto strenuamente ai tentativi del governo americano di deportarlo e a quelli di Israele di giustiziarlo. Ma Demjanjuk, che ha già 85 anni e si sposta in sedie a rotelle, rischia ora di perdere l’ultima battaglia. L’altro ieri, infatti, Michael Creppy, il magistrato responsabile per le questioni di immigrazione, ha infatti ordinato la sua espulsione dagli Stati Uniti. L’ex-carceriere nazista potrà presentare un ricorso entro 30 giorni, ma tutto lascia pensare che sarà rispedito in Ucraina, la sua terra d’origine, o, - in caso di rifiuto di Kiev – in Germania o in Polonia. «Finire in Ucraina è come essere buttato in una vasca con i pescecani», aveva sostenuto l’avvocato di Demjanjuk, John Broadley, lasciando intendere che sarebbe stato torturato o giustiziato. Ma il giudice Creppy ha confermato l’ordine di deportazione. Nato a Dubovye Makharintsy nel 1920, Demjanjuk (che allora si chiamava Iwan) fu arruolato nell’armato rossa e poi fatto prigioniero nel 1942 dall’esercito nazista. Sbarcò negli Stati Uniti nel 1952, prendendo la cittadinanza americana 6 anni più tardi. Viveva assieme alla moglie Vera e ai figli in una tranquilla cittadina dell’Ohio, lavorava in una industria dell’auto. Ma nel 1977 gli agenti federali lo smascherarono. Fu accusato di essere «Ivan il Terribile» e di aver mentito sul passato nazista nei documenti per la naturalizzazione. Gli fu subito tolta la cittadinanza americana. Poi nel 1986 Demjanjuk fu estradato in Israele, processato e condannato a morte. Solo in seguito, nel 1993, la Corte suprema israeliana stabilì che si trattava di un errore di identità: qualcun altro – non lui – era la guardia sadica di Treblinka, responsabile di migliaia di morti e di terribili torture. Fu dunque rimandato negli Stati Uniti e gli restituita la cittadinanza. Ma solo per poco. Nel 1999 il ministero della Giustizia di Washinghton aprì infatti un altro procedimento nei suoi confronti, denunciando l’attività in tre campi di concentramento. Nel 2002 gli tolto di nuovo il passaporto e vennero avviate le procedure per la deportazione. «È innocente. E perché accanirsi se gli mancano pochi anni di vita? », si lamenta la moglie Vera. «Non c’è alcuna sete di vendetta, ma solo una esigenza di giustizia, per troppi anni disattesa», dicono dal centro Simon Wiesenthal.
Da la Repubblica, 30 dicembre 2005, per gentile concessione