la Repubblica
La lezione del marzo '44
Gli scioperi antifascisti e la retorica della lega.
I cinquant’anni della Resistenza e i nuovi punti di
riferimento scelti dagli amministratori. Le radici della polemica sulle
celebrazioni e la storia di quei giorni fra paure e coraggio
di
Mario Santagostini
Nello scrivere la storia non si deve mai formulare un
giudizio netto e pretendere che sia quello definitivo. Può sempre accadere
qualcosa che cambia e prospettive, rimette tutto in discussione. Dominano dunque
il mutamento, l'instabilità. Immaginiamo allora - oggi ci vuole poco - un
periodo complesso. Emergono nuovi soggetti politici. Azionano nuovi
stili di governo. Anche se è di moda travestire la gestione del potere da
asettico, neutrale efficientista o francescano pragmatismo,
chi arriva al vertice fa entrare nella storia idee, valori che si fanno strada
nella comunità. Si lotta e si è lottato, per affermare o combattere quei
valori.
Si sbaglia
a dire che non c’è più memoria
storica di quei fatti
In fondo, la polemica intorno alla resistenza di alcuni
piccoli e grandi nuovi amministratori locali ha qui le sue radici.
Commemoriamo o non commemoriamo? Domanda non ingenua. Ideologica,
profondamente. Segnale di una lotta per il potere ancora in corso, e in
forme nemmeno tanto leggere. Forse, si sbaglia a dire che non c'è più memoria
storica: niente si cancella fino a quando non intervengono decisioni politiche.
Bisognerà, al contrario, dire che a una memoria se ne sta sostituendo un'altra:
è una operazione culturale. E questo lo si deve vedere anche nei semplici e in
apparenza innocui problemi amministrativi, nelle microrisse dei consigli
comunali. Chi perde, avrà buone ragioni di lamentarsi. Chi vince, non potrà
travestire il successo con il pareggio dei bilanci, unicamente. Direbbe bugie.
Parlo di questo e di altro con Gianfranco Petrillo, storico della Milano
contemporanea, autore (anche) di La capitalazione del miracolo (Franco
Angeli). «Se, afferma, le dichiarazioni ufficiali corrispondessero ai fatti,
nessuno avrebbe da obiettare sulla posizione assunta dal gruppo regionale
leghista a proposito degli stanziamenti per il cinquantennale della Liberazione del 1995: niente celebrazioni retoriche,
ma studi, perché di verità non ce n'è una sola. Peccato però che la Lega,
mentre Bossi promette pallottole a Berlusconi, a casa del Cavaliere spari sui
partigiani. Ad Arcore infatti la giunta leghista ha soppresso il modesto
contributo annuale di cui sempre godeva l'Anpi. Invece, proprio a cinquant'anni
di distanza dalla Resistenza, superata l'indigestione retorica degli anni
Settanta, rimane la necessità di comprendere e far comprendere la profondità
del movimento popolare da cui nacque la
Repubblica democratica. Per questo erano nati gli Istituti di storia della
Resistenza, come quello provinciale milanese che ha sede a Sesto San Giovanni e
presso il quale io lavoro da oltre vent'anni. Ė strutturato con un grande
archivio di documenti multimediali, una biblioteca specializzata e soprattutto
una ricca collana di ricerche e di studi che inseriscono la Resistenza milanese
nel tessuto generale della storia contemporanea, senza pregiudizi e paraocchi ».
Milano non restò compatta. Ci fu una minoranza
timorosa
Dunque, Milano nel '44 sciopera compatta... «No, non era compatta. Ha sempre sbagliato chi ha voluto far credere che quello sciopero fosse l'espressione di una città totalmente antifascista. Molto forte e socialmente significativa era una minoranza che ne aveva paura, e che sia pure in modo mediato, continuava a sostenere il regime ormai moribondo. Lo dimostrò il rapido successo, acutamente messo in luce dalle ricerche di Luigi Ganapini, del prestito da un miliardo di lire lanciato proprio l'11 marzo '44 dal prefetto e podestà Piero Parini «Per la Milano di domani». Parini individuava nel Comune una sorta di piccola patria localistica, una «repubblica ambrosiana» che con la pretesa di essere autonoma dalla Repubblica Sociale Italiana faceva finta di prendere le distanze dal Fascismo. Così la Milano benpensante si difendeva dai lavoratori in sciopero. Insomma, si vede che anche la Lega ha una storia: nei momenti di stretta e difficoltà prevale l'istinto alla conservazione degli interessi immediati, quotidiani. Eh sì, la verità non è mai una sola».
Da la Repubblica, 9 marzo 1994, per gentile concessione