la Repubblica
L’inglese
che fece la pace con Hitler
Neville
Chamberlain e l’epistolario inedito con le sorelle – In Inghilterra è
uscito un nuovo volume che raccoglie parte delle duemila lettere. I racconti e i
giudizi del primo ministro alla vigilia della Conferenza di Monaco del 1938
di
Roberto Festorazzi
Fortunatamente,
Neville Chamberlain non amava il telefono.
Dobbiamo infatti a questa idiosincrasia
personale la circostanza fortunata di possedere oggi circa duemila lettere che
lo statista inglese, ideologo dell'appeasement, scrisse alle sorelle Hilda e
Ida, tra il 1915 e l'anno della sua morte, il 1940. Puntualmente, ogni
settimana, anche negli anni in cui Chamberlain abitò al numero 10 di Downing
Street, le due signore ricevevano posta dal fratello. La maggior parte di
queste lettere sono ancora inedite e rappresentano un documento di valore
inestimabile
in quanto ci permettono di indagare la personalità del premier inglese che
voleva la pace con i dittatori. Alle sorelle, infatti, Chamberlain raccontava
le proprie impressioni su Hitler e
su Mussolini, confidava le sue
intenzioni, esternava dubbi e considerazioni
sulla sua politica. In Inghilterra è appena uscito il quarto volume della
raccolta di questi documenti, i
cui originali si trovano
all'Università di Birmingham.
L'opera (The Neville Chamberlain
Diary Letters) è curata da
Robert Self per l'editore Ashgate e si riferisce al periodo 1934-1940. Si tratta
degli anni culminanti della carriera politica di Chamberlain, che dal maggio
1937 al maggio '40 ricopre la carica di primo ministro.
La consultazione del volume è destinata perciò a rivelarsi un viaggio
alla scoperta dell'appeasement, delle sue motivazioni e delle sue
contraddizioni. Chamberlain descrive con sottile umorismo britannico i suoi
incontri con Hitler e Mussolini. Ne sottolinea i tratti umani, che nel caso del
primo suscitano disgusto, mentre nell'altro conquistano l'interlocutore. Ma,
per quanto lo statista inglese si sforzi di entrare in sintonia con l'ambiente
tedesco, si comprende come il vecchio parlamentare aduso ai passi felpati e ai
riti della più antica democrazia del mondo si senta a disagio tra i fasti
guerrieri del «nuovo verbo» nazionalsocialista. Eppure. Chamberlain
scrive alle sorelle, reduce dal primo colloquio con Hitler, avvenuto nel rifugio
alpestre di Berchtesgaden due settimane prima della Conferenza di Monaco, che
molta gente si sorprenderebbe nello scoprire il fato debole, sentimentale, della
personalità del dittatore. Quando gli venne comunicato che Chamberlain
desiderava
incontrarlo urgentemente, il Führer si offrì di andare egli stesso a Londra:
«Non è possibile lasciare che un uomo di quell'età debba fare un viaggio così
impegnativo». Poi, a una considerazione più attenta, abbandonò l'insano
proposito di recarsi nella capitale britannica.
Non è questa la sede per analizzare
compiutamente le problematiche dell'appeasement, che pesa ancora come un
macigno nella coscienza storica dell'Occidente. Tuttavia, almeno due aspetti
meritano di essere sottolineati alla luce di questi documenti. Il primo è
che l'approccio pacificatore di Chamberlain trova origine nel suo profondo
anticomunismo e nella totale diffidenza nei confronti dell'Unione Sovietica.
Senza il robusto pregiudizio antibolscevico, comune del resto a larga parte
dell'establishment britannico e dell'élite non governativa di quel Paese, non
ci sarebbero stati né Monaco, né, per reazione, il patto Ribbentrop-Molotov
che segnò la sopravvivenza, sotto altra specie, dello spirito degli accordi
siglati nella capitale della Baviera il 30 settembre 1938. Dalla lettura degli
atti e dei documenti diplomatici, emerge infatti sempre più chiaramente che
l'accordo nazi-sovietico dell'agosto 1939 fu la risposta di Stalin
all'isolamento
imposto all'Unione Sovietica dal Regno Unito e insieme la continuazione, in
chiave antiinglese, di quell'accanita gara a voler negoziare con Hitler.
Chamberlain, dunque, cercò di orientare secondo i propri fini la carica
dirompente della Germania nazionalsocialista, offrendole «mano libera» per la
conquista del Lebensraum, lo spazio vitale a
Est. Fu l’esistenza di un «nemico
comune», il pericolo bolscevico, a convincere il premier inglese
dell’opportunità di impiegare la forza tedesca come un ariete puntato, al
cuore
dell'Unione Sovietica. Lo stesso
Chamberlain
in una lettera alle sorelle del
26 marzo 1939, così descrive il suo irriducibile atteggiamento anticomunista:
«Devo confessare la mia
profonda diffidenza nei confronti della Russia. Non ho nessuna fiducia nella
sua possibilità di mantenere un'effettiva capacità offensiva anche qualora
lo volesse. E inoltre nutro profondi sospetti sulle sue motivazioni ad agire
che mi pare abbiano poco a che fare con la nostra idea della libertà e che
siano finalizzate soltanto a seminare zizzania. Per di più la Russia è
odiata e vista con sospetto da molti dei piccoli Stati, in particolare, da
Polonia, Romania e Finlandia, cosicché la nostra eventuale collaborazione con
essa potrebbe costarci la simpatia di quelle Nazioni che ci potrebbero
aiutare assai più concretamente se fossimo capaci di tenerli dalla nostra
parte». Il secondo gruppo di motivazioni sottese all'appeasement, attiene a
una radice più etica, e meno politica, anche se va riconosciuto che Chamberlain
appare guidato, perfino dominato, da leggi machiavelliche nella sua azione di
statista. Egli stesso, pur negando di voler essere l'uomo della pace a
qualunque costo, si sente
sovrastato,
quasi schiacciato, da una grande responsabilità: è consapevole del fatto che
una sua eventuale decisione di scatenare la guerra avrebbe
conseguenze incalcolabili anche per le generazioni future. Se è perciò
vero, come ha scritto Renzo De Felice, che l'Occidente, al tempo di Monaco,
non era ancora moralmente pronto a entrare in conflitto con la Germania,
appaiono destinate ad assumere una certa rilevanza, nella valutazione degli
atti di Chamberlain, alcune considerazioni di carattere prudenziale che lo
avrebbero ispirato. Dall'esame di queste carte private, giunge conferma del
fatto che il premier inglese appare ossessionato dal pencolo di una guerra che
possa seminare morte e distruzione, a livelli apocalittici senza precedenti
nella storia umana. La sua ansia è simile a quella degli statisti che, alcuni decenni
più tardi, si dichiareranno
angosciati dallo scenario di un conflitto atomico. Di ritorno dal suo secondo
incontro
con Hitler, avvenuto a Bad Godesberg pochi giorni prima della Conferenza di
Monaco, il primo ministro sorvola l’estuario del Tamigi in direzione di
Londra e immagina un bombardiere tedesco carico di morte che viaggia sulla sua
medesima rotta; si domanda, con orgasmo, quale gradi di protezione si possa
garantire alle migliaia di case
disseminate al di sotto e avverte che non vi sia alcuna giustificazione valida
per immaginare oggi una guerra che prevenga quella di domani. Nel 1937, gli
esperti avevano stimato che, nel corso dei primi sessanta giorni di guerra
aerea, seicentomila persone sarebbero morte, mentre un milione e duecentomila
sarebbero rimaste ferite. Cifre
tali da preoccupare chiunque non fosse un guerrafondaio. Peraltro verso, va
riconosciuto che il grave limite di Chamberlain fu quello di fidarsi di Hitler e
della sua «parola d'onore». Alle sorelle, dopo le conversazioni di
Berchtesgaden, scrive infatti: «Nonostante la durezza e la ferocia che ho
colto sul suo volto, ho ricavato l'impressione che sia il genere di persona su
cui si può fare affidamento una volta che abbia dato la sua parola». Mai
giudizio fu più affrettato e fallace.
“MUSSOLlNI
HA SENSE OF HUMOR!”
Il
racconto un giorno dopo i
colloqui di Roma
Downing
Street, 15 gennaio
1939
Mia
cara Hilda,
.
sono
rientrato puntualmente questo pomeriggio e... non so davvero da dove iniziare il
racconto della mia visita veramente straordinaria. Posso cominciare col dirti
che ho raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissato, e anche oltre, e che
sono molto soddisfatto perché questo viaggio ha definitivamente rafforzato le
chances della pace. Per riferirti la mia prima impressione su Mussolini, l'ho
trovato franco e pieno di riguardi nei nostri confronti e per di più è dotato
di un senso dell'umorismo piuttosto attraente. È poi una circostanza di tutto
rilievo che Halifax, il quale era venuto con l’idea che (Mussolini) non gli
sarebbe piaciuto, sia tornato con un'impressione veramente positiva. Mussolini
ha evitato accuratamente di sollevare qualunque argomento che ci potesse
mettere in imbarazzo. Sebbene ci abbia detto con franchezza che non intende
avviare negoziati con la Francia finché l'affare spagnolo non sia concluso,
egli non ha mai menzionato Tunisi, la Corsica, Nizza, Gibuti o il Canale di
Suez. Ha fornito, con enfasi, assicurazioni sul fatto che intende stare ai
patti con noi e che desidera la pace, pronto a usare la sua influenza per
mantenerla.
Da la Repubblica, 28 novembre 2005, per gentile concessione