la Repubblica

La processione degli ex deportati “Così torturò il boia di Bolzano”

A Verona giudici canadesi in trasferta per affrontare il caso Misha Seifert. Seviziò e uccise in un lager in cui transitarono fra il ’44 e il ’45 10mila detenuti

dal nostro inviato Fabrizio Ravelli

San Martino Buonalbergo – È l’ultima tortura per gli ex deportati del lager di Bolzano. Succede qui, in una grande sala dell’Holiday Inn alle porte di Verona, davanti a una Corte canadese in trasferta, in nome di una macchinosa e normalissima giustizia che ancora deve consegnare all’Italia il boia di quel campo, l’ucraino Misha Seifert. E ai testimoni superstiti, che nella giustizia non disperano, toccano i tormentosi interrogatori dell’avvocato Doug Christie, legale del sadico caporale delle Ss. Un uomo alto ed elegante come un attore – specializzato nella difesa dei nazisti, negazionisti, fratelli ariani ed altra feccia – che fruga nei ricordi di questi vecchi, li mette in difficoltà, li accusa di mentire. Non è uno spettacolo gradevole, anzi diciamo pure che è scandaloso, e forse la sola consolazione sta nel fatto che nessuno vi assiste. Il dibattimento è pubblico, ma il pubblico qui sulle poltrone rosse dell’albergo non ce n’è. Si parla di cose lontane, avvenute sessant’anni fa. E poi, non era già stato condannato all’ergastolo il boia di Bolzano? Sì, esattamente nel novembre 2000, quando il tribunale di Verona gli aveva inflitto nove ergastoli per le torture inimmaginabili e gli omicidi nelle celle di isolamento del «Durchgangslager» di Bolzano il campo dove fra l’estate del ’44 e l’aprile ’45 transitarono circa 10 mila detenuti. Politici, ebrei, zingari, testimoni di Geova, rastrellati, parenti di partigiani.se non tutti finirono ai campi di sterminio fu solo perché la linea ferroviaria del Brennero venne, a un certo punto, bombardata dagli alleati. Misha Seifert, che ha oggi 81 anni, è a casa sua a Vancouver, libero. La condanna italiana è definitiva. Il procedimento di estradizione non è ancora terminato. Ma nel frattempo, secondo la legge canadese, bisogna risolvere un’altra faccenda. Decidere se revocargli o no la cittadinanza che ottenne nel 1951, quando si rifugiò in Canada mentendo sulle proprie origini e tacendo il proprio passato: disse di essere nato in Estonia. Così una Corte presieduta dal giudice James O’Reilly s’è trasferita qui vicino a Verona, e conta di starci almeno due settimane. Un’impresa costosa: tre avvocati della Corona, che rappresentano l’accusa, un collaboratore del giudice, un dimafonista, un usciere. Molti si sono portati i familiari, per qualche giro turistico nelle lunghe pause. Ai testimoni viene data ospitalità in albergo, e si rimborsano le spese. Tutto perfetto e ben organizzato. La bandierina canadese sul tavolo del giudice, sopraelevato. Le toghe nere, le giacchette corte e i bavaglini bianchi. I microfoni per la registrazione, gli schermi per proiettare i documenti. Un clima di fair-play, dove l’accusatore Barney Brucker e l’avvocato Christie si riferisco l’un all’altro dicendo «my friend», il mio amico. Ma il problema è che, per decidere se Seifert merita la revoca della cittadinanza, pure se lui stesso ha ammesso di aver mentito all’immigrazione, si tratta in pratica di rifare da capo il processo. Niente di quel che è emerso nei dibattimenti italiani, e nella procedura di estradizione, ha valore. «Contano solo le testimonianza e prove che si formano qui davanti al giudice», spiega Yves Parent, l’altro avvocato della Corona. Ma non è certo graziosa e sterilizzata la materia del processo. Qui si deve parlare di torture bestiali, di percosse inumane, di frustate, di stupri, di gente straziata con le bottiglie rotte o lasciata morire di fame, picchiata a morte con una sbarra di ferro, tormentata col fuoco. Misha Seifert e Otto Stein, due ucraini, avevano avuto mano libera nelle celle. Il loro superiore e complice di torture ed omicidi era un Ss italiano, Albino Cologna, condannato a 30 anni nel ’46 e poi vergognosamente amnistiato. Gli ex deportati ancora in vita sono undici. Ieri ha deposto Marsina Scala, ex partigiana di Giustizia e Libertà, donna lucidissima e combattiva. Non è stato piacevole, vederla scoppiare in lacrime mentre rievocava quel che vide una notte dalla porta della sua cella, lasciata inavvertitamente socchiusa. Misha e Otto che torturavano un ragazzo sui 18 anni, ficcandogli le dita negli occhi. «Lui gridava no, no, noooo. Quel ragazzo mi ricordava mio fratello, che era a Buchenwald e io non  lo sapevo. La cosa andò avanti per un po’, e io tenni per ore la porta chiusa con la mano per paura che mi scoprissero», ha raccontato la signora Scala piangendo. Ma ancora meno piacevole è stato assistere al controinterrogatorio condotto dall’avvocato Christie. Il giorno prima aveva per tre ore scandagliato nei ricordi di due testimoni indiretti, con domande ossessive su parole pronunciate sessant’anni fa: e quali parole esattamente, e a che ora. Si parlava di una ragazza ebrea annegata da Misha e Otto in un secchio. Da Marisa Scala, in principio, voleva sapere dove stava seduta nel pullman che la portò a Bolzano, e a che velocità andavano i tank di scorta. Poi ha scovato una contraddizione fra i suoi ricordi e quelli di don Andrea Gaggero, un prete che dal campo di Bolzano venne deportato a Mauthausen, sopravvisse, e scrisse un’autobiografia. Una divergenza sulle date. «Lei vuol dire dunque che don Gaggero ha mentito, che era un bugiardo?», ha chiesto Christie. «Io  so che lui mi ha aiutato a vivere, confortandomi dalla cella accanto». «Direi di neo, visto che non era lì». «Allora vuol dire che me lo sono sognato». «Dunque lei insiste a dire che don Gaggero era nelle celle di isolamento?». «Sì, l’ho giurato davanti a questa Corte». «Allora è lei che ricorda male o sta mentendo?». Marisa Scala ha resistito: «Chiedo un po’ di rispetto. Quello era un campo dove la gente moriva. Questa è la nostra storia, la storia tragica dell’Italia che voi non conoscete. Noi tentavamo di salvare la dignità del nostro Paese. Ci sono documenti su quegli anni che dicono una cosa, e documenti che smentiscono. Ma non possiamo dire che sono falsi. Dicono solo che la storia è complessa, e che per ricostruirla sono state spese energie da molti uomini. Se ci sono degli errori, è umano che si così». Il processo va avanti, e l’avvocato Christie avrà modo di esercitare ancora la sua abilità.


Le stragi 

24 marzo 1944

Fosse Ardeatine

Roma, i nazisti fucilano 335 civili per rappresaglia dopo la morte di 32 soldati in un attentato partigiano.

18-19 luglio 1944  

S. Terenzo Vinca

Massa, 220 le vittime dell’eccidio nazista. Due gli indagati, altri tre morti durante le indagini.  

12 agosto 1944  

S. Anna Stazzema

Lucca, i nazisti massacrano 560 persone. La prima udienza del processo il 20 aprile 2004.  

29 settembre 1944 

Marzabotto

Bologna, rappresaglia delle truppe naziste: 800 le vittime. Cinque gli indagati, due morti durante le indagini.  

Da la Repubblica, 29 settembre 2005, per gentile concessione

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