la Repubblica

“Antisemitismo, problema europeo”

Elie Wiesel: “I valori della Ue per aiutare i paesi dell’Est” - Parla il Nobel per la Pace: l’Occidente deve aiutare i nuovi arrivati in Europa a combattere il fenomeno

di Andrea Tarquini

Berlino - Sessant'anni di spartizione dell'Europa hanno impedito a lungo, a est, di affrontare l'antisemitismo. L'Europa occidentale deve aiutare l'Est sul percorso della Memoria come hanno fatto i tedeschi con se stessi nel dopoguerra. Lo afferma Elie Wiesel, Nobel per la pace e grande voce della cultura ebraica internazionale.

Professor Wiesel, cosa ha provato vedendo inaugurare il memoriale a Berlino?

«È un fatto enorme: la Shoah fu decisa e diretta a Berlino, ora finalmente quel memoriale è sorto».

Una svolta peri tedeschi?

«No, un'espressione della loro maturità. I miei studenti tedeschi hanno una sensibilità commovente. Vanno oltre il senso di responsabilità, provano un senso di colpa immotivato: i discendenti degli assassini non sono assassini».

La spartizione dell'Europa fu negativa per la lotta all'antisemitismo?

«L'antisemitismo non è morto con la Liberazione. È vivo e minaccioso all'Ovest come all'Est. A Mosca hanno appena bruciato una sinagoga, altrove discorsi antisemiti o tombe profanate con le svastiche sono all'ordine del giorno».

Per i nazionalismi dell'Est l'antisemitismo è un messaggio importante?

«Ogni estremismo ha bisogno di odio, in politica come in religione. E di appropriarsi di odi antichi ai suoi fini. E l'antisemitismo è la forma più antica di odio collettivo. All'Est fino al 1989 il tema fu tabù. Stalin, che creò l'Impero, era un antisemita maniacale, e i piccoli Stalin ai suoi ordini lo emularono. I processi staliniani degli anni Cinquanta in Cecoslovacchia, Ungheria, Romania furono processi antisemiti».

L'antisemitismo cioè è sopravvissuto all'Impero di Stalin come ai Lager nazisti?

«Sì; l'antico veleno è sopravvissuto. L'antisemitismo all'est appare ancora violento e virulento. Ma sono ottimista: entrare davvero nell'Europa allargata, dopo mezzo secolo di spartizione, vuoi dire assimilare valori europei, imporsi una disciplina europei».

I tedeschi, per la coscienza del passato, devono farsi esempio e garanti della lotta all'antisemitismo a est?

«Ogni nazione deve voler diventare un esempio. In Europa tutte le nazioni con un passato democratico dovrebbero aiutare quelle nazioni che invece nel dopoguerra non lo hanno avuto. E un imperativo, cessata la spartizione».

L'Unione europea fa abbastanza?

«La Ue si è data un codice di valori, definisce chiaramente le tendenze da combattere. I governi e gli intellettuali - guardi alla Francia ­sono impegnati».

Il revival nazionalista in Russia è un pericolo per gli ebrei?

«Alcune delle decisioni di Putin mi appaiono problematiche. Il suo concetto di democrazia non è il mio. Bisogna riconoscergli che denuncia e attacca l'antisemitismo in molte occasioni. La Russia aveva pieno diritto di celebrare la sua vittoria su Hitler e il suo immenso tributo di vite umane, ma vedo tendenze estremiste preoccupanti. Recentemente 120 membri del Parlamento hanno proposto di vietare ogni organizzazione ebraica».

Dopo la spartizione, l'antisemitismo è una malattia incurabile in Europa?

« È una malattia sociale, filosofica, morale. Cominciando dall'asilo, bisogna spiegare ai bambini che l'antisemitismo è un male, che ha portato a crimini orrendi, che gli uomini sono tutti uguali. E una terapia necessaria all'Est come all'Ovest, ovunque».

Da la Repubblica, 12 maggio 2005, per gentile concessione

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