la Repubblica
Berlino ’45, l’interrogatorio segreto
Dall’archivio
riservato di Stalin i verbali finora inediti delle domande fatte dai sovietici a
Goering, Doenitz e Keitel. Dai documenti i capi nazisti appaiono diversi dai
detenuti depressi di Norimberga, non considerano ancora tutto perso. Il Cremlino
temeva che il suicidio del Fuehrer fosse uno sceneggiata, così ordinò di
indagare
di
Giampaolo
Visetti
MOSCA - Hermann Goering, successore designato di Adolf Hitler. Karl Doenitz, erede del Fuehrer e ultimo presidente della Germania nazista. Wùhelm Keitel, capo della Wehrmacht e dell'esercito tedesco, incaricato di firmare la resa agli Alleati. A 60 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, spunta il loro primo racconto dell' orrore. Una testimonianza inedita, custodita fino ad oggi nel "Dossier 97", dell'archivio riservato di Josif Stalin. A trovarla, nel fondo speciale dell’ “Nkvd Mvd" di Mosca (i servizi segreti precedenti al Kgb sovietico), il quotidiano del governo russo Rossiskaja Gazeta. La sterminata raccolta di documenti, che conserva le comunicazioni segrete tra il 1944 e il 1953, è stata desecretata dieci anni fa. Finora però nessuno aveva avuto accesso al primo racconto della sconfitta da parte dei gerarchi di Hitler. I verbali degli interrogatori non furono utilizzati al processo di Norimberga e sparirono. Il 28 e il 29 giugno 1945, Goering, Doenitz e Keitel furono sentiti come prigionieri di guerra. Contro di loro non erano però ancora state formulate accuse e dunque gli interrogatori furono considerati semplici colloqui. I più stretti collaboratori del Fuehrer erano internati in una palazzina di Mondorf, una stazione termale tedesca al confine con il Lussemburgo. Caduto il regime, le sorti della Germania e del nazismo non erano ancora definite. Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Russia, si contendevano trattati di pace e spartizione dell'Europa. Stalin voleva avere notizie e resoconti di prima mano. Diede così ordine a Molotov e a Beria di indagare riservatamente sulle ultime ore di Hitler e sui mesi che avevano segnato la sua disfatta. Non si fidava dei racconti ufficiali, temeva che il suicidio del Fuehrer fosse una sceneggiata. Il "Dossier 97", nei fogli 99-109 con la sigla in codice R-9401, contiene anche il rapporto sull' operazione-interrogatorio. Ad ottenere il permesso da Eisenhower fu il generale Zhukov, comandante dell'Armata Rossa. Il 16 giugno americani e russi concordarono un elenco di dieci collaboratori di Hitler da ascoltare. La delegazione sovietica era guidata dal capo dell'Nkgb, Potashov. Ottenne due giorni di tempo e la possibilità di interrogare separatamente dieci gerarchi. «Tutti i prigionieri - si legge nel rapporto a Stalin - vivono agiatamente in stanze proprie. Mangiano insieme, sono riposati e abbronzati, vestono ancora le divise con Ia svastica. A un mese dalla sconfitta non considerano ancora perduta la partita». Goering, Doenitz e Keitel rispondono alle domande con fierezza. Spiegano in modo sarcastico perché, tra Reims e Berlino, la resa fu firmata di fatto tre volte: il 5, l'8 e il 9 maggio, per obbedire a ordini diversi di Eisenhower, Montgomery e Stalin. E perché solo il 23 maggio il generale americano Lowell, a nome di tutti gli Alleati, depose il governo tedesco di Doenitz a Flensburg. Il valore storico del documento consiste però nel tono del racconto, nello stupore, dei gerarchi tedeschi per la fine del Fuehrer. A raccontare gli accordi traditi, la lotta per la successione, non sono i prigionieri depressi di Norimberga. Sono ancora militari fedeli ad Hitler, soggetti al suo carisma folle, convinti di poter guidare il Paese dopo la fine della guerra.
“Attaccare
l’Urss? Io ero contrario”
La
guerra contro Mosca, il destino del Fuehrer, la successione. Le prime parole
dopo la cattura. Forse per difendersi da chi li stava interrogando, tutti e tre
i prigionieri negano le proprie responsabilità sull’allargamento del
conflitto a Est. Nessuno può testimoniare direttamente della morte del Fuehrer,
ma sia Goering che Doenitz ne sembrano certi.
Quelli
che seguono sono i
passi salienti
del «Dossier 97», con i verbali segreti delle deposizioni di Karl Doenitz,
Hermann Goering e Wilhelm Keitel.
28-29
GIUGNO 1945: Interrogatorio di Karl Doenitz
Sono
un colonnello dell'esercito rosso. Lei è pronto a darci risposte
veritiere?
«Sì,
sono pronto a dare risposte sincere».
Ha
partecipato all'elaborazione dei piani militari?
«Prendevo
parte solo ai progetti contro le potenze marittime: Inghilterra e America. Non
ho lavorato ai piani contro l'Urss».
Cosa
pensa dell' aggressione della Germania contro l'Unione sovietica?
«È
stata una cosa inattesa. Mi trovavo nel golfo di Biscaglia e badavo
all’Ovest. Non ci pensavo nemmeno ad una guerra con la Russia. Ne abbiamo
parlato tra ufficiali, eravamo molto preoccupati. Temevo di dovermi scontrare
con un nemico nuovo e forte. Non conoscevo i rapporti di forze tra l'armata
tedesca e quella russa».
Quando
si è reso conto che per la Germania la guerra era perduta?
«Il
30 aprile ho ricevuto una lettera da Hitler. Scriveva che ero il suo successore.
Da quel momento ho pensato solo a porre fine alla guerra il più in fretta
possibile».
Questa
è la versione ufficiale: qual è il suo parere personale?
«Sono
giunto alla conclusione che abbiamo perso la guerra quando i nemici hanno
stabilito la supremazia nel cielo. Le incursioni dell'aviazione annientavano
le nostre comunicazioni e distruggevano i nostri centri industriali. Era il 1944».
Cosa
sa del destino di Hitler?
«Posso
dedurlo dai telegrammi che ricevevo dal suo bunker. Il 30 aprile mi ha scritto
che in caso di morte, io sarei stato nominato suo successore. Il telegramma
era firmato da Martin Bormann (segretario di Hitler e responsabile de facto del
Partito nazista, ndr). Il primo maggio ho ricevuto un secondo
telegramma: diceva che il testamento del Fuehrer era entrato in vigore e che
Bormann intendeva venire da me. Ho capito che Hitler era morto».
Qual
era l'atteggiamento di Himmler verso il testamento di Hitler?
«Era
sconvolto. Gli ho detto che dovevamo separarci perché volevo formare un governo
composto da tecnici, non da politici. Era il 6 maggio, a Flensburg. Di lui non
so più niente».
Lei
approvava la politica di Hitler?
«Come
soldato dovevo eseguire gli ordini del Fuehrer. Ho ricevuto solo ordini che si
riferivano ai miei compiti. Hitler è stato un uomo eminente. Era capo dello
Stato e tutti i soldati erano vincolati a lui dal giuramento».
Sembra strano che lei sia stato poco informato sui piani politici e militari. Come poteva Hitler nominarla suo successore?
«Il
Fuehrer voleva designare Goering. A fine aprile però tra i due sono sorte
divergenze. A quel punto Hitler non ha più voluto un politico, ma un soldato».
Interrogatorio
di Hermann Goering
Come
ha reagito allo scoppio della guerra tra Germania e Unione sovietica?
«Sono
inorridito. La nostra aviazione
era impegnata contro gli inglesi. Avrei
dovuto spostare metà degli aerei sul fronte orientale. Ho tentato di dissuadere
il Fuehrer, ma lui accarezzava l'idea di una guerra contro la Russia».
Come
si concilia questo con le sue affermazioni, tipo «l'Urss sarà schiacciata»?
«Non
troverete un solo discorso pronunciato con questo spirito. Non si trattava di
odio o di amore verso l'Urss, ma dell'opportunità di un attacco. Ammetto però
di essere sempre stato un avversario della vostra ideologia».
Hitler
concordava con lei le questioni di Stato e di partito?
«Questioni
di Stato sì; di partito no. Da quando segretario del partito è diventato
Bormann, mio avversario accanito, ho smesso di occuparmene. Sono stato escluso
dal partito nel 1943. Mai ho potuto influire su Hitler come Bormann,
che chiamavamo "piccolo segretario,
grande intrigante e grande porco"».
Come
erano i suoi rapporti con Hitler?
«Ottimi
prima del 1941. Poi sono crollati. Hitler mi ha cacciato dal governo, espulso
dal partito e condannato a morte. Il 22 aprile il Fuhrer ha detto che rimaneva
a Berlino e che sarebbe morto lì. Uno dei generali gli ha chiesto se
occorreva impiegare le truppe del Fronte occidentale per difendere Berlino dai
russi. Ha risposto: "Che lo decida il Reichsmaresciallo". Il generale
gli ha domandato: "E se l'esercito non vorrà obbedire a Goering?"
Hitler ha risposto: "Ormai combattere è inutile, dobbiamo scendere a un
compromesso. E Goering lo farà meglio di me"».
Perché
non è stato designato successore di Hitler?
«Ho
mandato un telegramma chiedendo: "Poiché lei ha deciso di rimanere a
Berlino, la prego di informarmi se io divento suo successore e se ho la libertà
di agire in politica interna ed estera, come richiesto dagli interessi di
Stato. Se non ricevo risposta sarò costretto a supporre che lei non è libero
di decidere". Bormann era a Berlino e ha presentato la cosa come un
complotto».
Quale
era la situazione nel quartier generale di Hitler?
«Era
vietato parlare di capitolazione. Ancora il 20 aprile Hitler parlava della
possibilità di una vittoria. Per capirlo bisogna tornare al luglio 1944. Dopo
l'attentato Hitler ha avuto una seria commozione cerebrale. Rifiutò il
ricovero. La stessa sera accolse Mussolini e parlò alla radio. Da allora
cambiò:
perdeva l'equilibrio, gli tremavano una mano e una gamba, non era più lucido».
Cosa
pensava della sua teoria razziale?
«Nella
forma rigida in cui veniva impostata da Hitler, non l'ho mai condivisa. Per
quanto riguarda la questione ebraica, molti nel partito mi consideravano
amico degli ebrei. Ho aiutato molte famiglie ebree. Per questo ho avuto molte
disgrazie: non ho mai creduto che fossimo dei semidei».
Interrogatorio
di Wilhelm Keitel
Quando
è iniziata la preparazione dell'invasione dell'Urss?
«Nel
1941 sapevamo che nella primavera
l'Unione Sovietica aveva concentrato le sue forze sul confine. Ci siamo
preparati per difenderci. Poi abbiamo deciso di anticipare l'attacco e di
distruggere le forze armate sovietiche con un blitz improvviso. I nostri
piani non prevedevano la conquista totale della Russia. Dopo la distruzione
dell'Armata Rossa, si pensava solo a un'amministrazione militare».
Cosa
pensa delle capacità militari di Hitler?
«Sapeva
trovare le soluzioni giuste ai problemi operativi e strategici. Riusciva a
orientarsi in modo intuitivo nelle situazioni più complicate. Ma non sapeva
come realizzare concretamente le operazioni. Così decideva sempre troppo
tardi».
Fino a quando è rimasto con Hitler?
«La
notte del 23 aprile sono partito da Berlino per il fronte. Il 24 ho tentato di
tornare in città ma non ho potuto atterrare. Il 22 avevo iniziato a dubitare
delle sue condizioni psichiche. Il 25 mi ha ordinato di partire per
Berchtesgaden:
è stato molto duro e alla fine mi ha letteralmente cacciato dalla stanza.
Uscendo ha detto a Jodl: "È il crollo"».
Da la Repubblica,
12 maggio 2005