la Repubblica

Intervista a Joachim Fest, autore del libro "La disfatta" la ricostruzione degli ultimi giorni della vita del Fuhrer
Adolf Hitler incubo del secolo
di Andrea Tarquini

Francoforte - La sconfitta nella prima guerra mondiale e l'umiliazione di Versailles sono cause da non dimenticare, riflettendo sulla presa del potere da parte di Adolf Hitler. Ecco il monito dello storico Joachim Fest, che Repubblica ha intervistato in occasione dell'imminente settantesimo anniversario dell'ascesa del Fuhrer. Anche in occasione dell'uscita in Italia del suo ultimo libro, La disfatta - Gli ultimi giorni di Hitler e la fine del Terzo Reich (Garzanti, pagg. 167, euro 16), abbiamo voluto ascoltare il più autorevole studioso del fenomeno Hitler.

Come fu possibile l'arrivo di Hitler al potere?

"Non ci sono risposte semplici a una domanda così complessa. Ma la sua vittoria ha a che fare con il rifiuto interiore della sconfitta del 1918 da parte dei tedeschi. E con l'umiliazione di Versailles. Il trattato definì la Germania unica responsabile del primo conflitto mondiale: ciò, credo, irritò e ferì i tedeschi più profondamente che non tutte le pur pesanti riparazioni di guerra. La demagogia di Hitler sfruttò sempre questa 'vergogna'. Certo, altre cause non sono da dimenticare: l'inflazione, l'impoverimento dei ceti medi. E la crisi economica internazionale che soffocò la ripresa degli anni Venti. Weimar fu percepita come una sequenza di catastrofi, per questo la gente non l'accettò mai".

Colpa delle potenze vincitrici, insomma?

"Non solo, ma anche. Le promesse dell'America di Wilson, di trattare con magnanimità la Germania, furono dimenticate. I francesi sfogarono solo i loro bisogni di vendetta. Non voglio dare ai francesi la colpa dell'ascesa di Hitler, ma certo gestirono la pace nel modo meno saggio possibile. Mai in Europa ci fu un Trattato di pace così ingiusto e irragionevole".

Allora lo scrittore conservatore Martin Walser ha ragione, affermando che senza Versailles non ci sarebbe stato Hitler?

"Bé, ha sottolineato in modo troppo drastico questa sua opinione. Ma Versailles ebbe un ruolo essenziale. Ci furono comunque anche altre concause. Una di queste, una conditio sine qua non, fu Hitler stesso, la sua personalità. In nessun altro paese europeo emerse una persona così incivile, così barbara, e tanto capace di inscenare se stesso e la sua ascesa con una tattica demagogica e senza scrupoli, ignorando le regole della civiltà. Il vostro stesso Mussolini al confronto era una persona civile".

Lei è soddisfatto del confronto della Germania di oggi con quel passato?

"No. La storiografia scientifica si è allontanata dalla gente, non si fa leggere. E i media, specie la tv, si ostinano a diffondere una collezione di superficiali banalità. Lo stesso fa la scuola. E questo è il problema: i giovani dicono spesso di non poterne più di sentire sempre le stesse cose. La Storia rinarrata in modo superficiale e moralista forse è una necessità, ma non convince".

Cosa manca ai giovani?

"Riflessioni più problematiche, non sempre ripetizioni. Sento spesso dire dai giovani 'non ne possiamo più di sentir sempre e solo ripetere dell'Olocausto, di Auschwitz'. Il rischio è altrimenti di stimolare reazioni negative. O annoiare".

Quali sono secondo lei i grandi punti irrisolti della riflessione storica?

"In realtà ormai si è affrontato tutto. Di alcuni temi però si è parlato meno: del 20 luglio, la congiura dei generali che fu il culmine della Resistenza. O le conseguenze della guerra scatenata da Hitler: i bombardamenti sulle città tedesche, la deportazione in massa dei tedeschi dall'Est. Sono temi relativamente trascurati".

La pubblicistica sui bombardamenti e sulla deportazione dall'Est secondo lei non rischia di equiparare i crimini del nazismo alle brutalità belliche degli Alleati?

"Sa, sono lieto che la Germania resterà sempre grata agli americani e agli inglesi per aver liberato il nostro paese e l'Europa dal rivoltante orrore del nazismo. Ma mi chiedo: dovevano farlo in quel modo? Era necessario radere al suolo Chemnitz e Wuerzburg, Potsdam o Dresda? Era necessario bombardare in Italia la città vecchia di Palermo?"

La disfatta del '45 come ha segnato i tedeschi?

"Più di Versailles. Li ha spinti a smettere subito di pensare a Hitler e al nazismo, li fece sentire destati da un incubo. Si è detto che hanno rimosso per anni. Dovevano pensare ad altro, alla ricostruzione, sono fuggiti nell'inconsapevolezza. I sessantottini lanciarono la grande menzogna, di avere, solo loro, denazificato la Germania. Ma il trauma pesa ancora oggi, i padri lo tramandano ai padri. La morale e il moralismo dei tedeschi oggi sono quasi ossessivi: fanno dire a qualche amico straniero che in passato volevamo soggiogare il mondo con le armi, oggi con i dettami morali. E irritiamo oggi come ieri".

Quale fu la ferita più grave per il mondo: Hitler o Stalin?

"Quanto al numero delle vittime, senz'altro Stalin. Ricordi il Libro nero del comunismo. Ma Hitler resterà il cattivo per eccellenza, anche grazie alla tetra scenografia del suo regime: le parate, le feste col fuoco, le uniformi nere delle Ss". 

Scusi, e l'Olocausto?

"Sì, certo. Come tedesco, io mi sento molto più coinvolto dal passato chiamato Olocausto che non dai crimini staliniani. D'altra parte, per le vittime, non fa molta differenza essere sterminati in nome di un'ideologia che pretende di salvare il mondo o in nome di teorie razziste. Tutte le vittime hanno diritto alla memoria".

Come riuscì Hitler a sedurre un civile paese europeo?

"I tedeschi non votarono per l'Olocausto, ma per un uomo forte che garantisse l'ordine, più lavoro, la fine della guerra civile. Quando votarono per lui non potevano immaginare che avrebbe gettato il paese nella guerra, che avrebbe attaccato la Polonia, la Francia, l'Urss, che avrebbe pianificato un genocidio. Come gli italiani quando dissero sì a Mussolini, con tutte le differenze tra i due personaggi, i tedeschi non avevano l'esperienza di cosa vuol dire scegliere una dittatura".

Ma quanti, poi, seppero della repressione e del genocidio e approvarono?

"Molti pensarono che la Giustizia era a volte iniqua, che qualcuno spariva, ma molti pensarono: alla fine il diritto sarà garantito, intanto regna l'ordine. La verità si prese una dura rivincita".

E i vicini di casa o gli amici che sparivano da un giorno all'altro?

"Ricordo l'esperienza di mio padre. Era pubblico funzionario, fu licenziato, e mai riassunto perché rifiutò di iscriversi al partito nazista. Aveva amici ebrei, li vide sempre più perseguitati e soli. Dal nostro negoziante ebreo di fiducia papà mandava spesso noi ragazzi a far la spesa per aiutarlo. Ci andavamo ogni sabato, parlavamo di libri col vecchio ebreo. Papà ascoltava spesso Radio Londra. Ricordo ancora quella sera di Natale del '42, quando andò in onda l'unica trasmissione Bbc sull'Olocausto durante la guerra. Papà prima pensò che fosse solo propaganda, ma poi fu scosso. E siccome, da disoccupato, aveva molto tempo libero, si mise a indagare di persona: voleva sapere, non aveva più pace. Solo dopo la guerra, mi disse che al termine di tre mesi di ricerche, aveva appurato che il genocidio era in atto. E mi confessò il suo atroce senso d'impotenza. Dopo il '45, fu troppo facile per molti dipingersi come gli eroi che non avevano saputo essere".

Lei ha dedicato un libro importante alla Resistenza tedesca, al 20 luglio. Perché fu un fatto così elitario e di minoranza?

"Perché solo pochi ebbero la forza di carattere necessaria. Quando un regime del genere è al potere, è impossibile sconfiggerlo dall'interno. Una Resistenza contro Hitler avrebbe potuto avere successo solo prima di quella fatidica fine gennaio del '33. Dopo no. Ripenso ancora a mio padre: lui e i suoi amici sapevano di essere sorvegliati. La Gestapo perquisì casa nostra una ventina di volte, controllò ogni carta".

Una maggioranza di complici?

"Non una maggioranza: i nazisti attivi furono il 15-20 per cento della popolazione. Ma tanto bastava ad avere il paese in pugno. E' un dato antropologico: la maggioranza si schiera col più forte, e con lui vuole marciare. Chi è forte, ha il potere e vince, ha prestigio, è attraente, seduce. Chi è debole no. E' così dai tempi biblici e da Atene, così è l'umanità. Guai a quando si lascia gli uomini usare la forza senza risponderne al Diritto".

E dopo il '45 si dissero tutti antinazisti...è una metamorfosi analoga a quella dei molti che - in Italia e altrove - a sinistra, dopo il 1989, dissero di non essere mai stati comunisti?

"Fatte le debite differenze, sì. Ma essere comunisti in Italia non creava pericoli: era un modo di essere all'opposizione. In tutta l'Europa occidentale molti chiusero gli occhi sui crimini del sistema sovietico".

Insisto, nel caso tedesco non le sembra ci sia stata complicità di massa con Hitler?

"Non mi pare. I rapporti polizieschi dell'epoca sulla Notte dei Cristalli avvertirono il regime che quella brutale azione non era affatto popolare tra la gente comune. Ma come potevano opporsi? Anche tra noi in famiglia sapevamo bene con quali, e quante, persone, dovevamo stare attenti a non dire nulla di compromettente".

E il resto d'Europa?

"Io più volte indagai su perché mai la Bbc parlò una volta sola dell'Olocausto. Ma i dossier sul caso sono scomparsi, o sono coperti da segreto. Il mio amico Lord Weidenfeld, il noto editore, non ha dubbi: fu una scelta dettata dall'antisemitismo. Lo stesso che mosse molti francesi durante l'occupazione".

Negli anni Trenta Hitler riscosse molte simpatie anche fuori dalla Germania: perché?

"Pensi, nel '38 un gruppo di francesi propose persino di conferirgli il Nobel per la pace... i dittatori allora erano popolari. Così come Mussolini era ammirato per i treni in orario. Il mondo appariva caotico e minaccioso, un po' come ai giorni nostri. L'Uomo Forte sembrava rassicurante. Mussolini fu il primo, poi venne il barbaro, esotico Stalin, poi Hitler, e molti altri. Fu anche un surrogato di sentimento religioso".

E' così anche oggi o è diverso?

"Cambiano costumi di scena e quinte, ma gli uomini restano uomini. Oggi, almeno, la situazione appare più promettente in Europa: il processo di unità europea rende impossibili dittature e guerre, crea una certa stabilità. Ma appena fuori dai confini europei, i conflitti sono rimasti uguali. Il clash of civilizations è molto più acuto di prima, e l'insicurezza non abbandona il mondo".

Come giudica i silenzi della Chiesa su Hitler?

"Tutti fallirono contro Hitler: sindacati, socialisti, cattolici....anche la Chiesa. Non seppe essere migliore. Un monsignore a Napoli mi ha narrato che Pio XII tentò più volte di esorcizzare Hitler, ma invano: l'esorcizzato deve sapere e approvare. Ma avrebbe dovuto alzarsi con la sua voce di denuncia. Invece non lo fece. Riteneva Stalin una minaccia peggiore. Ma non è un alibi".

Da la Repubblica, 18 gennaio 2003, per gentile concessione

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